Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram
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Se noi ci identifichiamo con la nostra sofferenza, siamo totalmente invasi e cerchiamo di difenderci come meglio possiamo, ma con pochi risultati effettivi. La sofferenza, invece, ci può permettere di comprendere che non siamo ciò che è sofferenza: noi siamo, in qualche maniera, i conoscitori di questa sofferenza. Questo è un punto di grande significato. Quando lasciamo che la percezione della sofferenza sia totale, a quel punto c’è una presenza sensibile e la pura sensazione di dolore. Applicando l’osservazione al nostro corpo ci rendiamo conto che osserviamo l’immagine che abbiamo di esso. Allora abbandoniamoci, rilassiamoci e lasciamo emergere una percezione sempre più profonda, nitida.
Possiamo dire che allora incominciamo a liberarci di gran parte della sensibilità. La sofferenza, come la sofferenza psichica è uno dei segnali indicatori che ci permette di collocarci. Quando tutto fila liscio, pacifico, tutto sembra naturale, crediamo di averne diritto. Ma prima o poi fa irruzione la sofferenza che ci spiazza o sconvolge, ma ci dà anche la possibilità di situarci in un’ ottica diversa.
E’ unicamente questa ottica, questa reale centratura che rappresenta una posizione liberatrice, che ci offre una opportunità per l’eliminazione del dolore psichico, in modo che l’organismo corpo mente ritrovi, di nuovo, il suo equilibrio, dato che la sofferenza non è, in sostanza, che la rottura dell’Armonia.
Ogni tentativo di agire chimicamente sulla sofferenza è poco efficace, meramente sintomatico, superficiale. Allora si pensa di farsi aiutare e s’interpella qualcuno per chiedere aiuto, conforto, consolazione… per lenire la sofferenza.
Questi, tuttavia, dovrebbe conoscere la natura dei fenomeni interiori affinché possa davvero aiutarci. Se conosce veramente la natura delle cose che funzionano armoniosamente, la sua presenza e il suo ausilio permettono di favorire questa natura a rientrare nell’ordine. Ma è molto importante che noi si assuma consapevolmente l‘attitudine che consente di reintegrare l’equilibrio; perché questo disequilibrio non proviene dalla natura stessa, ma dalla presenza di un senso dell’io, di un individuo identificato con l’organismo corpo-mente. Questa individuo isolato crea il conflitto, la disarmonia. Quando osserviamo veramente la sofferenza ci distacchiamo anche dall’individuo che pensiamo d’essere e in questa posizione che è la nostra essenza, che è presenza consapevole, questa coscienza unitaria permette ad ogni cosa frammentata di ricomporsi nell’ordine, nell’armonia generale.
La sofferenza nasce dacome viviamo le cose in noi, come se si riferissero ad una idea di noi stessi. In questo modo, possiamo definirla, ma dal momento in cui siamo integrale osservazione, la situazione si riferisce invece alla Totalità. L’osservazione stessa non è né positiva né negativa, è neutra fino ad un certo punto ma, alla fine di processo osservante, ecco che noi ci scopriamo fonte di beatitudine! Per trovare ciò che siamo basilarmente, è necessario perciò prima passare per una osservazione contemplativa dell’oggetto la sofferenza. Quando l’oggetto si dissolve nella osservazione meditativa, noi restiamo assorbiti dall’osservazione. E quando ciò accade, la sofferenza, dolcemente e incredibilmente se n’é và, lasciandoci interiormente guariti da essa. .
Intendiamo dominarla, piuttosto che accettarla, è vero. Questo non ci permette di lasciarla andare: anzi, ciò accresce il nostro coinvolgimento. Non la lasciamo andare anche perchè su essa fondiamo la nostra identità. Il nostro ego la utilizza paasivamente o attivamente per confermarsi, per sentirsi separato. In qualche modo non ne può fare a meno per esistere.
La fine della sofferenza non ci può essere, ma la nostra identificazione sì. Ciao! :-)
quando osservi ,è vero svanisce l'oggetto dell,osservazione,questo l'ho sperimentato,la mente non riesce a seguire i suoi soliti percorsi,ma subito fa suo questo"risultato",ti porta magari nell'autocompiacimento,a volte rimanendo assorbito nell'osserazione mi è uscito un sorriso,come dire,ma guarda un pò...la mente....se ricordi avevo publicato un post sulla sofferenza,che concludeva dicendo che il fine del cammino spiritualenon quello di trovare la verità o eliminare disagi o sofferenza queste sono finalità dell'ego,si paragona ancora ciò che è a ciò che dovrebe essere,cosi' il camino spirituale si trasforma facilmente nel suo contrario.grazie di questi spunti che io trovo sempre veri..un abbraccio.
Hai messo in evidenza un frequente ostacolo alla espansione della Consapevolezza: l'autocompiacimento.
Nel momento in cui ci si autocompiace, ci si identifica nuovamente e si da energia al circolo vizioso. Sono d'accordo con te anche in merito al riconoscimento che pure il cercare la "verità" o eliminare i disagi siano mere finalità dell'ego che, attraverso queste particolari strategie, si auto alimenta, si auto perpetua continuamente. Per invertire questa dinamica, si deve diventare consapevoli dei più sottili giochi dell'ego il quale, come ultima spiaggia, va a nascondersi dietro la ricerca o evoluzione "spirituale". L'attenzione non è mai troppa, ma esercitata in modo rilassato e non serioso, faticoso. Direi, piuttosto che è da fare in modo giocoso e divertente. Grazie, Amico. Ricambio l'abbraccio. :-)
proprio ora stavo riflettendo sul chi osserva cosa...è lo stesso osservatore che si riappropria della cosa osservata...il testimone praticamente è l'Ego quando si identifica? la Coscienza identificata?...mamma mia allora non se ne esce...non c'è separazione :-) e mo?
No, questo te lo dico oer esperienza meditativa: il Testimone non è l'ego quando s'identifica. Se così è non è più Testimone impersonale, Pura Consapevolezza senza soggetto che si attacca all'osservato, fosse anche il senso di essere testimone. Quando ti accade l'esperienza reale del Testimoniare, disidentificato sia dal vedente che dal veduto, realizzi definitivamente che non sei la mente. Sei la Coscienza senza attributi, senza qualificazioni. Certamente, il meccanismo mentale può anche subdolamente appropriarsi di uno pseudo testimone, ma questo succede solo perchè in realtà si è persa la consapevolezza osservante che questa sensazione non è altro che una furbizia dell'ego per non "morire" alla sua falsa, illusoria, realtà. L'ego non può essere testimone di se stesso. E' la Coscienza che è testimone dell'ego, della mente. Quindi è Altro da questi "oggetti osservati ed il testimoniarli realizza questa trascendenza.
Non è semplice spiegarlo, lo so, andrebbe sperimentato. Poi, sai come le parole spesso sono fuorvianti e ti rimettono nel circuito della speculazione concettuale. E mo? Meditate gente, meditate seriamente, altrimenti è difficile... Un sorriso :-)
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