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« Messaggio #152Come Volevasi Scongiurare »

Post N° 153

Post n°153 pubblicato il 14 Maggio 2008 da noesis0

di riflessioni e rispecchiamenti 

Che cosa significa quando una persona, che pure ti conosce da anni, ti saluta trapassandoti con lo sguardo, come se non ti avesse mai visto prima? Non so cosa significhi, ma so che cosa questo produce: fa succedere che ci si vede riflessi in occhi che hanno cambiato colore, che hanno cambiato espressione, che hanno modificato la tonalità della propria luce, come se vedessero un mondo diverso, popolato di altri tipi di esseri umani, dispiegato lungo altre traiettorie. Davvero altre. Talmente altre che ti ritrovi a chiederti se ad alcuni punti del cammino valga davvero la pena interrogarsi sulla vita e sui sentimenti.

 

In tutta quest’altalena di rifrazioni spazio-tempo-emotive, mi sto anche impegnando a trovare un vestito da cerimonia adatto ad una serie di occasioni che mi si prospettano nei mesi a venire. Io so bene che tipo di modello vorrei indossare, ed è pure uno di quelli che quest’anno girano molto per le vetrine. Peccato vi siano giusto una qualche decina di piccoli problemini, collaterali al mio desiderio di trasformarmi in Cenerentola Per Un Giorno, ma non per questo meno insidiosi. Simili insidie si lasciano ben riassumere dal concetto di “vestibilità”, il parolone preferito dalla carissima Commessa Del Negozio, nonché il termine che concretizza in modo esemplare lo iato tra te, ragazza-in-cerca-di-abito-elegante, e il famoso Manichino Del Negozio, che per tutto il tempo ti guarda impavido dalla vetrina, in posa inamidata e con piglio da esperto indossatore. Del tipo: moltissimi esseri umani di sesso femminile tendono alla lamentela sul fatto che la moda odierna promuove il corpo magro e striminzito, stile “a casa non mi dan tanto da mangiare”. Ora, io sono perfettamente d’accordo, se parliamo delle passerelle. Ma poi, giusto la settimana scorsa, proprio mentre gironzolavo in una bellissima città dell’Umbria ricca di negozietti carinissimi, ho avvistato un abitino che mi sarebbe garbato assai comprare. Così sono entrata e ho chiesto di provarlo. Ho visto, certo, l’espressione falsamente entusiasta della Commessa, ma credevo fosse una deformazione facciale, o al massimo professionale. Invece no, cara mia, era proprio rivolta alla mia ridicola temerarietà! E l’ho realizzato per l’appunto infilandomi il suddetto vestito: che, lasciatemelo dire, mi sarebbe stato proprio da favola, se solo fosse stato di 5-6 taglie più piccolo. Ma era già una esse. Riprova, sarai più fortunata. E la prodiga Commessa, eufemisticamente: “Si beh, diciamo che non lo vesti proprio benissimo…”. Benissimo? Diciamo pure che non lo vesto proprio, perché, come lo metto, entra da una parte e cade giù dall’altra…Iniziavo pure ad amareggiarmi un pochino, io che più di una volta nella mia vita avrei desiderato essere stata, diciamo così, più nelle grazie di Madre Natura. Ma poi sono uscita dal negozio e, varcando la soglia, sono passata dietro alla vetrina. Eccallà, il trucchetto: il manichino anoressico “vestivabene”  l’elegantissimo capo di abbigliamento solo perché tale capo era fermato sulla schiena da ben tre aghi di sicurezza…ho tirato un sospiro di sollievo e, almeno fino a stamattina, ho cessato di sentirmi eccessivamente essenziale nelle mie forme e sfigata nelle mie ricerche. Tuttavia l’odissea psico-fisica è ricominciata proprio oggi pomeriggio, quando mia madre si è inventata di “accompagnarmi a prendere il vestito”: evento storico (in sottofondo si udivano persino le fanfare a festa, o forse erano ancora quelle degli alpini?) ma anche preludio di una tragedia già annunciata, almeno per la sottoscritta. Il fatto che l’unica alternativa fosse stare chiusa in camera a correggere la tesi mi ha sconfortato ai limiti della sopportazione, così ho accettato la sua proposta e ci siamo avventurate nella selva dei Negozi, dove regnano sovrane le Commesse-che-possono-darti-una-mano. Dopo cinque boutiques, lunghe code in auto sotto il sole, l’incontro con tutte le specie di Commesse Venete possibili e immaginabili e una sonora litigata con mia madre che non approva le scollature troppo profonde, ma neanche i vestiti troppo chiusi, ma neanche quelli troppo trasparenti, e - dulcis in fundo - nemmeno quelli marroni, posso trarre alcune conclusioni istruttive per la prossima puntata (e ci sarà una prossima volta, perché il vestito non l’ho ancora trovato, ovviamente). Ad esempio, che il modello “caramella” mi fa sembrare davvero Candy-Candy, ma coi capelli neri, il che suscita in me pessime reminescenze; che il modello “confetto” mi fa sembrare un “fru-fru” che cammina (il “fru-fru” è quello che sapete anche voi: suvvia, non fate finta di non conoscerlo!); che il modello “fantasia”, anche se “fa molto primavera”, allo stesso tempo mi fa sembrare mia nonna quando andava nell’orto, un cinquant’anni fa circa; che il modello “impero” mi fa sembrare un davanzale ambulante e totalmente instabile, soprattutto nella zona “davanzale vero e proprio”, dove (ahimè) c’è poco da esporre; che il modello “anni ‘60” (quello che si allaccia dietro il collo) mi fa sembrare una Britney Spears del tutto mancata, e scusate se a questa visione non ho riso di gioia; infine, che il modello “Giuditta” svilisce troppo la mia naturale solarità, più che mai spontanea in questa stagione dell’anno: qual è il modello “Giuditta”? E’ quello in cui io, dopo tre ore di camerino e dopo aver sviluppato tecniche da contorsionista mai viste prima per infilare e sfilare gli abiti più improbabili che la Commessa sembra accatastarmi addosso perché ormai ha preso velocità e non riesce più a fermarsi, mi soffermo davanti allo specchio “vestendo” alla meno peggio l’ultima creazione di Rob Cavally, e mi rimiro compiaciuta tenendo in mano la testa penzolante della suddetta Commessa.

Se qualcuna di voi ha bisogno di lavoro, conosco un Negozio in cui adesso cercano personale…

 
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