Giovedì 3 dicembre 1970
Intanto passa il tempo e sono già le nove e un quarto. Siamo già in ritardo, sarà questo il primo segno che preannuncia come tutto l'apparato di forza e di sicurezza sia più apparente che reale e non saprà nè potrà resistere allo scontro con i sedici imputati e con la pubblica opinione spagnola e mondiale.
Anche i militari di Franco sono in ritardo. Passa ancora qualche minuto ed un tenente in uniforme si avvicina a noi giornalisti e ci invita ad entrare. Sulla porta presentiamo la nostra "tessera speciale per assistere alla causa 31/69". La controllano, la rigirano, chiedono un documento d'identità e quindi ci dicono di raggiungere un poliziotto in borghese che ci dovrà perquisire. Per arrivare dal poliziotto dobbiamo attraversare la sala d'ingresso, rimontare alcuni gradini, transitare lungo un corridoio: i mitra dei "baschi verdi" ci indicano la strada da percorrere, sono delle frecce indicatrici veramente originali. Il poliziotto in borghese ci chiede chi siamo, apre le nostre borse, fruga tra le carte in cerca di un'arma, di una macchina fotografica, di un magnetofono e forse di un qualche apparecchio di spionaggio che possa servire a raccogliere o a trasmettere quanto sarà detto o quanto avverrà in aula. Ci frugano nelle tasche, nel portafoglio, ci fanno aprire i pacchetti di sigarette appena comperati ed ancora chiusi, ci perquisiscono sotto la giacca. E' una perquisizione a fondo, da carcere duro. Quindi ci lasciano andare e sempre seguendo quelle originali frecce indicatrici, dobbiamo attraversare tutto l'interno del palazzotto per raggiungere un cortile freddo e senza sole dove vengono riuniti in gruppi separati i giornalisti ed il pubblico. Tra il pubblico riconosciamo qualche collega giunto dall'estero che ha dovuto fare la coda come tutti gli altri, fin dalle sette del mattino, in quanto non in possesso della tessera speciale.
Ci guardiamo attorno. Siamo nel cortile in cui qualche ora prima era entrato il pullman blindato con a bordo i 16 imputati. Ora vediamo la cancellata dall'interno. La chiude una grossa catena che ogni cinque minuti viene controllata da un tenente dei "baschi verdi".
Da un lato del cortile un muro; dal lato opposto le vetrate a colori della sala del tribunale, il portico e la scalinata da cui si accede agli uffici amministrativi del governatorato. Di fronte alla cancellata un'alta parete, tutta finestre, di quattro piani. Finestre chiuse, dietro ad ognuna delle quali si può scorgere un militare in posizione di vigilanza; soltanto una finestra al terzo piano è aperta. Vi sporge una mitragliatrice montata su un treppiedi e puntata verso l'angolo dove siamo riuniti noi giornalisti. Ci guardiamo veramente sorpresi e colpiti: non sapevamo di essere considerati così pericolosi.
Intanto passa il tempo e militari di varie armi, di varie uniformi, ognuno armato a modo suo, continuano ad entrare e uscire dal cortile, osservando, vigilando, sorvegliando.
Alle nove e trenta ci chiamano in aula. Un primo gruppo di otto, quindi un secondo gruppo. Ci rendiamo conto che siamo in più di undici ad entrare, che è avvenuta una seconda spaccatura nell'apparato di rigore e severità annunciatoci prima del processo, che anche alcuni inviati speciali giunti all'ultimo momento hanno potuto entrare senza le credenziali tanto lesinate a Madrid. E ci rendiamo conto che questa è una prima vittoria nostra e della pubblica opinione mondiale, ma allo stesso tempo cerchiamo il perchè (e non riusciamo a trovarlo) un governo dittatoriale come quello di Franco abbia compiuto un così grossolano e madornale errore.
Inviato da: chiaracarboni90
il 23/05/2011 alle 16:25
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il 25/03/2009 alle 08:59
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il 25/03/2009 alle 08:58
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il 25/03/2009 alle 08:47
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il 25/03/2009 alle 08:46