Blog
Un blog creato da vabales il 05/03/2008

QuartaParete

VISIONI e APPUNTI TEATRALI in Festival a cura di Valerio Balestrieri

 
 

AREA PERSONALE

 

LETTERA22- PERFORMANCE

LE TROIANE
di Euripide
regia Annalisa Bianco e Virginio Liberti

MY Showreel

lo spettacolo che ha inaugurato l'edizione 2008 del Festival e sancisce la nascita della prima Compagnia Teatrale Europea. La messinscena non cede all'illusione di poter fare un viaggio a ritroso nel tempo o di rintracciare una forzata attualità nel testo greco di Euripide.

Durata: 100 minuti
Target: spettatore  ABITUE' dai 30 anni in su
- Da vedere

 

NTFI - PERFORMANCE

SIN SANGRE
da Senza sangue di Alessandro Baricco
regia Juan Carlos Zagal



La narrazione dell’omonimo romanzo di Alessandro Baricco diviene, per Juan Carlos Zagal, il simbolo di un inquietante desiderio di ricostruzione della memoria: un vortice di passioni che si scatenano sotto forma di vendetta, amore, solitudine, eternità, fatalità, angoscia.

Durata: 90 minuti
Target: spettatore  EXPERT dai 30 anni in su
- Interessante

 

NTFI - PERFORMANCE

REGINELLA
di Lina Sastri

Con Reginella Lina Sastri propone un concerto raffinato tessendo una trama fitta tra musica e teatro, dove protagonista assoluta è la canzone napoletana.

Duata: 90 minuti
Target: spettatore  AMATORE dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

LEI. CINQUE STORIE PER CASANOVA
di Paola Capriolo, Benedetta Cibrario, Carla Menaldo, Maria Luisa Spaziani, Mariolina Venezia
progetto e regia Luca De Fusco

E' un ciclo di cinque testi originali che raccontano una controstoria possibile delle settecentesche Memorie di Giacomo Casanova. I monologhi sono stati commissionati a cinque scrittrici italiane che danno voce alle donne di cui Casanova racconta la seduzione, che conosciamo solo nella versione del nobile veneziano e che ora ci è riferita dalla parte delle donne (forse) sedotte.

Durata: 120 minuti
Target: spettatore  ABITUE' dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

DON GIOVANNI O SIA IL CONVITATO DI PIETRA
di Giovanni Bertati
uno spettacolo ideato e costruito da
Piermario Vescovo e Antonella Zaggia



Il lavoro propone una rilettura moderna delle forme del teatro settecentesco, soprattutto nobiliare e “di palazzo”, dell’opera per musica “in miniatura” per bambocci e orchestra da camera.

Duata: 90 minuti
Target: spettatore  EXPERT dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

EXPLOSION#17 HAPPY NEW YEAR
video-installazione di Loredana Longo
produzione Napoli Teatro Festival Italia



Da qualche anno la Longo lavora sul tema della distruzione in una chiave molto singolare che lei stessa definisce “estetica nella distruzione”: si tratta di una visione romantica del significato della parola (nella sua accezione di fascinazione al tema della morte).

Durata: 20 minuti
Target: spettatore  AMATORE dai 25 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

STORM/O
performance di Giuliana Lo Porto

Infiniti i rimandi simbolici: l’aspetto umano, la presenza animale e vegetale insieme; la metamorfosi ovidiana come figura espressiva del dolore; l’immagine del mostro e del non ordinario che da sempre suscitano sfumature ambivalenti, timore e curiosità, repulsione e fascino.

Durata: 20 minuti
Target: spettatore  EXPERT dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

MÉDÉE
di Max Rouquette
regia Jean-Louis Martinelli

La Médée di Martinelli porta in scena l’incontro tra il testo di Rouquette e l’Africa. Come osserva il regista nel suo diario di viaggio, il testo del poeta occitano tradisce un legame sotterraneo con il continente africano «perché si fonda sull’osservazione della natura, è pieno di piante e di movimenti di stelle, è avvinto all’essenziale, a ciò da cui dipende la sopravvivenza degli uomini».

Durata: 120 minuti
Target: spettatore  ABITUE' dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

CANTATA PER LO SPOSALIZIO
DEL PRINCIPE DI SANSEVERO

regia Mariano Bauduin
musiche di Alessandro De Simone

Il lavoro di Bauduin e De Simone riprende la cantata per le nozze di Don Raimondo de Sangro Principe di San Severo che Giovan Battista Pergolesi scrisse nel 1735 e di cui musicò soltanto la prima parte, Il tempo felice.

Duata: 70 minuti
Target: spettatore  EXPERT dai 30 anni in su

 

NTFI - PERFORMANCE

L’INSEGUITORE
di Tiziano Scarpa
regia Arturo Cirillo

Un vecchio signore e un giovane appana uscito da una qualsiasi galera si incontrano e involontariamente, ma forse no, costruiscono una relazione

Durata: 80 minuti
Target: spettatore BEGINNER dai 20 anni in su

 

 

IL GIOCO DEI 5 SENSI

Post n°13 pubblicato il 04 Settembre 2008 da vabales

IL VIAGGIO SENSORIALE DELLA COMPAGNIA L.I.S., UN TEATRO DA VIVERE UNO ALLA VOLTA

SEMI DI CARTA
Di Antonella Cirigliano
Daria Tonzig
Arianna Marano
Lilith Cattaneo

Showreel    

Durata: 10 minuti circa
TARGET - Spettatore livello  BEGINNER dai 30 anni in su

DRAMA Si è soli, ma poi non del tutto. Il percorso sensoriale comincia con una domanda, la tua domanda; ed anche se non c’è, poi affiora. Il portone scricchiola e mani sicure nel buio portano in un antro e qui ti siedi. Via le scarpe. Si respira odore di piante, fumi, incensi, carta, umido. Un “elfo” ti posa tra le mani un uomo di argilla: “Sei bello, ma piccolo!” dice. Una lente mette a fuoco il passato dei passati. Di nuovo in piedi, ma scalzo e bendato. E i profumi si moltiplicano, le mani sentono, i piedi vedono. Vedono erba, legno, pietre, stoffe. E’ tutto caldo. Via la benda e di fronte, ad aspettarti, c’è qualcosa. Chiede una carta su 22. La prendi e la porgi: sono tarocchi. Nel suo ventre la risposta. Si alza il sipario su di un passato, e tra i detti e i non detti senti che è il tuo. Ecco che affiora la domanda. La risposta arriverà con il viaggio. Uscendo nell’ombra si intravvede lo spettatore successivo. Stavolta, in scena, c’è la sua vita.

SET – Una Chiesa sconsacrata ospita la performance. La luce lieve, quando c’è, ma serve a poco. Un fiume di dettagli avvolge lo spettatore. La prima scena è intima, chiusa. La seconda spazia, in altezza e in larghezza. Ci vuole qualche secondo per mettere a fuoco l’anima bianca che ti aspetta. La terza è l’essenza. Nel piccolo, è il cavo della coscienza (conoscenza).

ACT – L’atto è credibile. Potrebbe sembrare un gioco, ma l’attore c’è dentro ed anche se non comunica, lo fa in maniera ancora più forte. Prima con gli occhi, poi con la voce, poi con le mani. Il lavoro è sui sensi tanto dell’attore che dello spettatore.

MOOD – Ogni percorso ha la sua storia, difficile definire margini e spazi d’intervento. Il lavoro è ben confezionato e porta, più che ad osservare, a vivere l’esperienza; condizione sostanziale l’accettazione del compromesso di realtà e la volontà di lasciarsi andare. 

Una produzione
LIS

Bmotion – Operaestate
Bassano del Grappa - VI

 
 
 

L'ORA DI DANZA MODERNA

New Art Club propone una lezione scenica a due voci, e due corpi, tra azione, storia e parodia

THIS IS MODERN
Di e con
Pete Shenton

Tom Roden

My Showreel  

Durata: 75 minuti circa

TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 30 anni in su

DRAMA – Linguaggio di parola, linguaggio d’azione. I piani della comunicazione si sommano, si sovrappongono e si completano, oltraggiandosi a vicenda. L’oggetto è la danza, moderna, detta e mostrata ‘ad libitum’, in una specie di conferenza dimostrativa ed esplicativa dai tratti umoristici. Non il gesto quotidiano che diventa danza. Piuttosto il contrario: il passo (l’azione) di danza come movimento quotidiano: modus vivendi et operandi. E’ l’arte che irrompe nella vita e se ne impossessa, diventando imprescindibile. E’ quasi un esercizio, una prova di forza, un braccio di ferro, tra i due coreografi che ‘lottano’, o danzano, per mostrare e dimostrare l’essenza di una forma (d’arte?). Il piano sequenza è un montaggio di momenti (movimenti) passati che ne hanno determinato i tratti.

SET – La scena è nuda, puro spazio. La profondità è la luce che circonda o inonda. E’ questa che genera i cambi scena, che pone e ripropone, quasi come un accento, i momenti, sganciando narrazione da happening. La platea esiste e per essa si lavora; esiste un fuori scena, quindi un di là, un fuori, un prima e un dopo; tutto avviene in un presente continuo.

ACT – L’azione è ossessionante. I corpi dei due performer sono tesi e apparentemente, in principio, lontani e buffi nell’approcciare una possibilità di danza. Molta ironia, spesso di troppo, nasce proprio da questa ipotesi, su cui ovviamente i due giocano, tracciando una lieve linea parodistica del detto, anche se assai superficiale. In realtà il rigore e la precisione della ripetizione dei singoli schemi rimanda a sicure competenze acquisite.

MOOD – Il gioco è vivace e ricco. La musica segue il tutto irrompendo e rompendo la scena. La vena ironica, spiccatamente inglese, aiuta l’approccio visivo che non è per tutti. Un lavoro che non pone o non si pone domande, ma piuttosto certezze: questo è (this is!). Una sorta di compendio, assai semplificato, di un mondo, quello della danza moderna, e dei meccanismi che in un modo o nell’altro ne hanno influenzato e determinato le regole, raccontato con istintiva simpatia e sagace padronanza scenica.

Una produzione

New Art Club

Bmotion - Operaestate
Bassano del Grappa - VI

 
 
 

QUEL '700 DI DE SIMONE

Il nuovo spettacolo mise en scène di un medley tra opera popolare e opera in musica

LO VOMMARO A DUELLO
Ideazione, drammaturgia, composizione musicale
e regia Roberto De Simone


regista collaboratore Mariano Bauduin
coreografie Renata Fusco, Paolo Romano
scene Nicola Rubertelli
costumi Zaira de Vincentiis
maestro concertatore e direttore d’orchestra Renato Piemontese
 

MY Showreel     

Durata: 2h e 45 minuti
TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 30 anni in su

- Interessante

DRAMA
-
 Perfetta fusione di genere e stili, solo come il ‘maestro’ sa fare. ‘Lo Vommaro’ (1742) di Pasquale Starace incontra di striscio ‘Il duello comico’ (1774) di Giovanni Paisiello; è come se le due storie viaggiassero su binari contemporanei, unico filtro, prima di raggrupparsi nel finale, una luce blu che distanzia. Il lavoro in realtà esprime un estremo gioco linguistico che antepone o compone il vernacolo popolare, la letterarietà barocca e il ricco linguaggio musicale dell’opera, in una partitura drammaturgica a balzi. Tema comune la temporalità: il Settecento. I colori di ‘Lo Vommaro’ sono quelli che ci si aspetta da De Simone come popolarità, ironia, situazioni e costumi in grande stile: la trama da campiello è un gioco di detti e non detti tra lazzi, promesse e servitori (di due padroni). Il ‘duello comico’ è un farsa in musica ambientata nella Napoli ‘francese’ con caratteri e maschere di atmosfera goldoniana: anche qui il duello diventa escamotage per risolvere amori, sciogliere nodi con lieto fine da prassi.

SETLa cornice è perfetta; Teatro Mercadante con loggioni e affreschi al soffitto; orchestra in buca, musici acustici in scena. Il vico di sfondo, giocato sui toni bianchi, diventa popolare o borghese attraverso un preciso gioco di luci, che lo rendono funzionale contenitore della piecè.

ACT  Maschere e costumi aggiungono, come dev’essere, e non tolgono forza ai caratteri di scena; profonde certezze come Angela Pagano e Antonella Morea, fedeli scudieri del maestro ed Enrico Vicinanza, nel ruolo di Nora, rendono agevole un genere non per tutti. Perfettamente in sincrono gli altri, interpreti d’opera compresi.

MOOD – Semplicemente alla ‘Roberto De Simone’, profondo, ricco e incondizionatamente espressivo, propone un paio di momenti da enciclopedia del Teatro: la ‘ninna nanna’ a cappella di Angela Pagano e la ‘tammurriata’ di gruppo nel sotto finale. Il lavoro evidenzia la coraggiosa capacità di ‘innesco’ misurato tra arti, storia e linguaggio, modulato da chi, a suo modo, ha contribuito, senza dubbio alcuno, alla storia del Teatro Italiano del ‘900.

Una produzione
Napoli Teatro Festival Italia
in coproduzione con
Fondazione Teatro San Carlo di Napoli

 
 
 

NAPOLI, PUNTO E A CAPO

Post n°10 pubblicato il 27 Giugno 2008 da vabales

La piecè d’atmosfera di Roberto Andò vive l’emigrazione senza confini di spazio e di tempo

PROPRIO COME SE NULLA FOSSE AVVENUTO 
di Roberto Andò

da Anna Maria Ortese e da Diego de Silva e Vincenzo Pirrotta
musiche Marco Bettascene

costumi e luci Gianni Carluccio
ideazione del suono Giuseppe Rapisarda

MY Showreel 

Durata: 85 minuti
TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 30 anni in su

- Interessante

DRAMA – Napoli come la “Dogville” del regista danese Lars Von Trier, anche se non disegnata; qui le case (gli spazi o le identità) restano circoscritte in vasche con un ‘pavimento’ d’acqua, in cui camminare con stivali di gomma. E’ l’uomo che si adatta alla sua condizione: “Lasciam’ fa a Die!”. Persone come spettri galleggiano in una continua "nazzecata" (il lento procedere dei Perdoni dietro le processioni) e fanfare funebri si alternano a suoni e voci di metropoli. “La città si copriva di rumori come per non pensare”. E’ tutto un imperfetto ed un passato remoto, fatto di scialli neri, fischi, preghiere e attese: “Gli altri non esistono se non come opportunità di colloquio, ed ogni colloquio è un monologo con se stessi”. Persino per due bambini al calcio balilla il tempo non passa: sempre lì, stessa palla, stessa partita, stessi giocatori. “La gente non sopporta la noia, perché la noia gli ricorda chi sono.” Via di scampo il mare, la nave, una partenza, la speranza, il Nuovomondo, inseguendo l’ennesima processione dietro un Santo vivo che declama. Ma stavolta la Processione si stende, prende il pubblico e lo trascina verso il porto; il procedere è lento a suon di marcia funebre. Non si distingue più chi parte (attori) e chi resta (spettatori). Quindi il ponte della nave e l’addio amaro: “Un paese deve consentire la crescita di anime e coscienze”. E si parte. Ma c’è ancora spazio per un’ultima riflessione: “La libertà è un sogno? No! E’ un respiro.” Buio.

SET – Ambientato in tre location propone un primo spazio fatto di vasche (case) e porte senza muri. La Platea è ad un passo. Di sfondo un’autobus, simbolo di viaggio, anche se breve. Di contorno spazio di rumori. Ogni vasca è un quadro di dettagli e di condizione. Peccato non siano visibili dall’alto. Il secondo spazio è il percorso, quello che conduce alla nave. L’esserci è simbolico. Il terzo è un molo, con ponte di nave, mare e Napoli di notte come vivo fondale.

ACT – La recitazione è spicciola, riflessiva ma anche imbastita di napoletanità. Passaggi live si alternano a brusii pre-registrati. Si parla sempre su un tappeto sonoro. E’ più un lento andare, sempre, apparente andare senza muoversi. La processione con banda e finale sono di atmosfera Emir Kusturica.

MOOD – Una regia cinematografica, fatta di primi piani e dettagli; Inclusiva e avvolgente capace di sfruttare le doti panoramiche e simboliche della location. Lo spazio di apre a tal punto che attori e figuranti al passaggio di aerei di linea (veri) sollevano lo sguardo. Per tutti, partire è un po’ come morire.

Una produzione
Napoli Teatro Festival Italia
in coproduzione con
Cooperativa Gli Ipocriti

 
 
 

NAPOLI IN JAZZ

Post n°9 pubblicato il 26 Giugno 2008 da vabales

La città partenopea e i suoi abitanti ‘riarrangiati’ da Gino Rivieccio e la Minale Big Band; un racconto su musica e parole.

Quanno ce vo ce vo
di Gino Rivieccio e Gustavo Verde

musiche Minale Big Band
regia Giancarlo Trillo

Durata: 2h
TARGET - Spettatore livello BEGINNER dai 25 anni in su
- Divertente

(intervista a cura di Valerio Balestrieri)
DRAMA    
Quando le parole sono note e viceversa; Napoli diventa un concetto, un modo di vita. E’ questo il racconto di Gino Rivieccio, classe ’58, nato e cresciuto nel tardo Varietà, ai confini del Cabaret. In viaggio con lui dagli anni ‘60 in poi per riscoprire modi, mode e personaggi dell’Italia partenopea (che è un’altra Italia) e sorriderci su, con un vero e proprio vade-mecum del verso. Rivieccio è un affabulatore, gioca con i termini e con le sillabe; ha un lingua sferzante ma che non ferisce. Di sfondo (ma poi non tanto) la Minale Big Band che a sua volta ironizza con la musica, arrangia e trasforma, anche il più classico dei classici: ‘Era de Maggio’ di Mario Costa  (parole di Salvatore di Giacomo). E poi è tutto un ‘O’ Sole mio’, che tanto sole poi non è, specie negli ultimi tempi; dalla politica, al sociale, dal teatro alla poesia, Rivieccio racconta a suo modo l’essere di Napoli.

SET Scena da Avanspettacolo con Band in prima fila; classico One Man Show. Il fondale bianco cambia colore a seconda delle atmosfere. Band in camicia bianca e bretelle (all’americana) e maestro (di cerimonie) con sax da lancio: un vezzo per chiudere i brani.

ACT  Rivieccio diverte in maniera sobria. Costruisce la battuta con attenzione; la sua comicità e ricercata, assai lontana dagli attuali modelli napoletani popolari e sguaiati. Nel suo fare c’è molto Teatro: c’è il trucco, la parrucca e l’abito, che si sa, almeno in scena, fa il monaco. Poi ci sono le canzoni, dai classici americani, alle riuscite parodie, una su tutte ‘Arrivederci Rom’ sulle memorabili note di Garinei e Giovannini. Anche Antonio Bassolino diventa personaggio, forse il più divertente e reale.

MOOD La regia è tradizionale. Alternanza di monologhi e canzoni che permettano al ‘mattatore’ di cambiarsi d’abito; corretta la misura. Coraggioso, ma riuscito l’omaggio a Eduardo De Filippo e Pupella Maggio e il finale serio, ‘Napoli città che aspetta’…qui, il vero comico è maestro e la pelle d’oca è garantita.

Una produzione
Music Station Group

 
 
 

THE SENSUALITY HUMOUR

Post n°8 pubblicato il 22 Giugno 2008 da vabales

In scena il Burlesque di Kitty Hartl, parodia e streap-tease con special guest: Marisa Laurito


The New Burlesque
direzione artistica Kitty Hartl

MY Showreel  

Durata: 2h
TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 30 anni in su

- Discreto

DRAMA – Lontanissimo dalle atmosfere ‘hot’, ma freddamente ‘grunge’, degli attuali streap-tease da night, il Burlesque si riappropria con la ‘forza’ di un genere tramontato, più vicino (per noi italiani) al Teatro di Varietà. Ne riprende atmosfere, suoni e addirittura la struttura, dato che la platea è seduta per l’occasione tra i tavolini. Lo spazio indubbiamente si presta, e l’orario pure: start ore 24.00. In scena ‘numeri’ di canzoni-parodia (al limite della macchietta) e improbabili streap di ballerine in ‘carne’ con copricapezzolo, paillettes, lustrini, boa e piume di struzzo. Il trucco, quasi maschera, fa riaffiorare alla memoria degli over 30 le Sorelle Bandiera, anche se lì la parodia era di ‘genere’; qui in gioco ci sono le suadenze, che vissute da attrici prive di ‘physique du rol’, ironizzano, diventando a loro volta icone di abbondante femminilità che magnetizza comunque gli sguardi, e cattura.

SET – Gelatine rosse e blu che proiettano fasci di luce sul fumo scenico sono il filtro che annuncia il numero, ma non lo separa dalla platea, in quanto con essa e per essa vive. Lo spettacolo scende inevitabilmente tra i tavoli, si nutre di commenti, fischi e ululati. E’ un senza veli a tutto tondo, saltano gli schemi e i ruoli. 

ACT – Kitty Hartl declama con un sarcasmo americano che, malgrado la celere traduzione di un’italiana in ‘carne’ ed ossa come Marisa Laurito, non ‘acchiappa’. Coinvolgono invece i numeri, specie quelli circensi, tra contorsionismi e trovate. La Laurito è un succulento ‘babà’, anche in guepière sul finale.

MOOD – Strutturato per un pubblico adulto, soffre il gioco di parole d’oltre oceano, che non appartiene al nostro piacere del doppio senso, meno esplicito, specie nei modi, ma più incisivo nelle declamazioni. Stupisce comunque l’abilità canora, strumentale e di intrattenimento di Kitty Hartl, e la straordinaria agilità delle sue ‘ragazze’ che malgrado la ‘troppa’ presenza scenica, seducono divertendo. Resta che, capito il genere, un lavoro così, si vede una volta nella vita.

Una produzione
Le lieu unique (Francia)

 
 
 

TRAMONTO DI UNA FOLLIA

Tra commedia e dramma l'edizione di Gleijeses
della farsa di Eduardo De Filippo

Ditegli Sempre di sì
Di Eduardo De Filippo

scene Paolo Calafiore
costumi Gabriella Campagna
musiche Matteo D’Amico
regia Geppy Gleijeses

Durata: 2h
TARGET - Spettatore livello AMATORE dai 25 anni in su  
- Da vedere

(intervista a cura di Valerio Balestrieri)

DRAMA     
Il profilo della pazzia quindi, secondo Eduardo, non come ‘trovata’ ma come vissuto. L’intero intreccio ruota attorno ad un tratto patologico tipico dello schizofrenico, l’incapacità di lettura della metafora. Michele Murri (Geppy Gleijeses) prende tutto alla lettera e, come tradizione vuole, in una sequenza di duetti genera l’intreccio. Michele Murri è un folle, e con la lucidità di folle compie l’azione: propone matrimoni, vede vincite al lotto e mazzi di ‘biglietti da mille’, e annuncia, infine, decessi inesistenti. Di sfondo la media borghesia ben pensante, a cui nascondere la malattia mentale (per rispetto del malato o per vergogna dello stesso?), e l’amara realtà del finale: "Io sono la sorella, devo badare a lui!". Tutto è però ironico, quasi assurdo; i giochi di parole affascinano quasi, spaventano solo quando si affacciano sull’orlo della violenza agita…ma da che mondo è mondo la follia ha sempre fatto ridere, anche se non tutti.

SET – L’interno borghese è lo sfondo. La realtà è fuori, si vede da una grande finestra, ed è sottosopra, capovolta. Anche il sole cala al contrario con un tramonto che per tutto il primo atto segue l’evolversi dell’assurdo: il compiersi della malattia. E’ il tramonto della speranza, per chi ha creduto che un anno di manicomio possa cambiare le cose. Il secondo atto è in un campo di girasoli, già silenti spettatori di altre pazzie.

ACT – Gleijeses è 'Eduardiano' nell’anima, sente il testo di De Filippo e lo rivive senza esagerazioni e forzature. Il tratto somatico folle è una piccola balbuzie su alcune parole, ma in fondo sono proprio le parole il metro di visione del suo mondo. Gennaro Cannavacciuolo è Teresina (la sorella) ‘en travestì’, ma d’altra parte è luna delle sua maschere; ciò avvalora l’ipotesi della familiarità della patologia e l’idea che non si diventa folli ‘per caso’.

MOOD – L’adattamento di Gleijeses ruota su tre edizioni del testo, quella televisiva del ’62, la stessa redatta da Eduardo per la ripresa e l’edizione definitiva pubblicata da Mondadori. Ne viene una messa in scena rigorosa, pacata e godibile.


(intervista a cura di Valerio Balestrieri)

Una produzione
Teatro Stabile di Calabria

 
 
 

NUOVE SENSIBILITA'

Post n°5 pubblicato il 19 Giugno 2008 da vabales
 

Martedì 17 Giugno, Teatro Nuovo
5 atti unici da 20 minuti, 5 progetti, 5 Compagnie, 5 Regioni differenti. Un unico filo rosso che li accomuna…i 5 sensi

MY Showreel 

TARGET - Spettatore livello BEGINNER dai 25 anni in su

- Da vedere


LA VISTA

Di punto in bianco, testo, coreografia e regia Lara Guidetti
Il corpo sociale si muove, si agita, agisce in azione perenne tra voci e rumori che non sono né musica ne disturbo. E’ più un suono univoco, il suono del tutto. Il corpo vive in questo tutto agendo senza senso…le azioni quotidiane riproposte in rapida sequenza meccanica sanno più di androide che di uomo. D’un tratto il ‘patatrak’! Un virus porta la cecità ad un intera popolazione che viene così ‘oscurata’ in un ‘ghetto’; è qui che i ‘malati’ smettono di agitarsi (vivere) e cominciano (o ricominciano?) a strisciare. E’ la vista il mezzo. E’ la vista il linguaggio sociale comune. Senza occhi è tutto un groviglio di corpi che si aggrappano l’un l’altro. Non è più vita.
L’OLFATTO
Zia Rosa di Tennessee Williams, regia Valentina Rosati

E’ una zia come tante, tutta cucina e attenzioni per i nipoti (uno ‘di carne’ ed uno acquisito) che l’hanno accolta in casa. E’ ripiegata su se stessa, come chi ha incassato molti pugni dalla vita. Adora e odora le rose; il suo unico e solo ‘impegno’ è salvare il roseto dal vento e così, in attesa della bufera, munita di forbici taglia i boccioli. I nipoti sono vuoti; tv e chiacchiere. La zia è un peso, deve andare via. Il dolore la distrugge e stretta nel roseto si lascia morire nell’ennesima tempesta. L’olfatto è il suo tramite, è il filtro che all’odore di rosa.
IL GUSTO
L’albero, di Francesco Ghiaccio, regia Marco D’Amore

Due fratelli, uno andato e uno rimasto. Giocavano insieme sotto un’albero. Adesso quello ‘rimasto’ è solo. Mangia, i buoni ‘sapori di una volta’ ricorda non volendo ricordare. Dimentica allora, i giochi e le persone. Anche qui c’è odio e sopravvivenza. Il mondo è scomodo specie per chi è solo. E se il fratello torna? Allora si può ricominciare a giocare. Sotto quell’albero magari, da cui in verità non si è mai allontanato. I rami alti, sono alti, solo perché alla base c'è il tronco che li regge. E’ questo il trucco. E’ questo il sapore della vita ‘di famiglia’.
L’UDITO
Family Show, regia e drammaturgia Lorenzo Facchinelli e Mara Ferreri

Tutti in un acquario, come pesci tropicali. E’ questa l’immagine voluta. Pesci rari, di colori e forme diverse che vivono nella stessa poca acqua. E’ una famiglia. Le relazioni sono telefoniche, gli intrecci viaggiano sul filo dei non detti (sempre al telefono). Incontri e scontri, nati per volontà o per caso, nell’era di una comunicazione filtrata da apparecchi; e si sta assieme giusto il tempo di una foto: un istante. Ci si sente, ma non ci si ascolta, l’udito è solo per se stessi.
IL 
TATTO
Affascinata, testo e regia Giuseppe L.Bonifati
Il tatto delle due mani giunte in preghiera. Il tatto del tocco della ‘tammorra’ che accompagna la scena. Il tatto delle mani di chi sa togliere ‘l’affascino’ con acqua e olio. Come nella tradizione di Roberto De Simone di donna c’è solo un carattere mascolino, quasta volta a petto nudo. Sacro e profano si intrecciano, come dita; l’anziano che comprende e vorrebbe conservare, il giovane che vuole a tutti i costi ‘provare’. E’ il gioco delle parti, sotto un velo di cultura popolare che in qualche modo cerca di preservare, con il magico, le virtù. Ma in un modo o nell’altro il tatto, il toccarsi di uomo e donna in questo caso, prima o poi, farà il suo corso.

 
 
 

L'EREDE DI PULCINELLA

Sulle tracce di Eduardo Scarpetta, la commedia musicale

di Giuseppe Sollazzo, compendio del Teatro partenopeo

QUI RIDO IO

Di Giuseppe Sollazzo

MY Showreel


scene Michele Della Coppa

costumi Luisa Biglietti

musiche Patrizio Trampetti

regia Giuseppe Sollazzo


Durata: 2h

TARGET - Spettatore livello AMATORE dai 25 anni in su

- Discreto

DRAMA – Teatro nel teatro; una compagnia teatrale partenope, sostenuta da ‘Asesori’ (per dirla alla Petrolini) e da finanziatori ‘en travestì’, è sulle tracce di Eduardo Scarpetta, nel tentativo di produrre un lavoro per un rinomato Festival Europeo (chissà quale?). Avanti e indietro nel tempo, tra prove e "fiction", si assiste alle fasi salienti della vita del celebre autore napoletano, erede anagrafico e storico, del più famoso Pulcinella di Napoli, Antonio Petito, che gli muore tra le braccia: “ Non è morto un uomo, ma è morto un Teatro!”. Il giovane Eduardo, da attore di fila, diviene pian piano protagonista, poi autore e infine capocomico di un suo Teatro, dove mette in scena Napoli e le sue maschere, non più ‘di pulcinella’ ma ‘maschere di popolo’, diventando così capostipite di un genere teatrale.

SET – La scena è tutta teli, come il teatro dei burattini di una volta, persino l’arlecchino è dipinto. Anche il trucco è volutamente forzato; in scena attori o ‘pupi’? Il sipario è parte della scena, si apre se si chiude senza regola mentre i fondali (anch’essi dipinti) cambiano a vista durante ‘la recita’; almeno in Teatro, il passaggio da vicolo ad interno borghese, dura pochi secondi.

ACT – Commedia corale propone un cast di otto attori che vivono tutti i personaggi (anche quelli in cerca d’autore). Il loro slogan è ‘potere agli attori’ e lo esercitano, senza ombra di dubbio, passando di ‘panni in panni’ come funamboli che, senza rete di protezione, cantano, ballano e recitano.

MOOD – C’è Napoli e c’è il mondo. Scarpetta è il pretesto. Si racconta di Teatro che è, e che fu, con la penna di chi, evidentemente, lo vive, ancora tutt’oggi. Commedia all’italiana che celebra i suoi momenti più alti nelle citazioni di Miseria e Nobilità’ e gli altri capolavori di Scarpetta.  La regia è vivace con qualche allegoria di troppo. Si finisce come sempre a tarantella. “Siamo trottole (strumml)…e dove andiamo, andiamo, Dio sta a guardare!”. Per la cronaca, Petito e Scarpetta, prima di morire “Se piglian’ u’ café!”. Così si muore a Napoli.

Una produzione

Associazione Culturale Teatrale
Orazio Costa La Maschera

6 - 29 Giugno 2008

Napoli.Teatro Festival Italia

 
 
 

I DRAMMI 'DI SPIRITO' DI SVET

Foto di vabales

Un teatro onesto, la piecé di Tolstoj, nell’edizione completata e corretta da Macrì/Sciaccaluga

Svet – La Luce splende nelle tenebre

Di Lev Tolstoj

Versione Italiana Danilo Macrì

Regia Marco Sciaccaluga

Scena Jean-Marc Stehlé

Costumi Catherine Ranki

Musica Andrea Nicolini

Luci Sandro Sussi 

Durata: 3h

TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 25 anni in su

- Interessante

DRAMA E’ la vicenda di un uomo che fa i conti con il suo presente da ricco proprietario terriero nella Russia di fine 800 e del suo grottesco tentativo di sfuggirgli, in virtù di una ‘cristianità’ evangelica che lui esalta, contrariando i princìpi fondanti della Chiesa. “La vita è soltanto una, o la usiamo come i Santi o come coloro che la sprecano.” La sua provocazione genera scontro familiare e sociale, intaccando l’anima di alcuni frequentatori abituali del suo salotto, preti compresi. Nicolaj è un redento, un ‘toccato dalla fede’, un uomo che ha vissuto all’oscuro e che finalmente vede la luce. Discute, celebra e reinterpreta Sacre Scritture, luoghi e personaggi; vuole pianificare una sua povertà e lavare così la sua coscienza restituendo il ‘mal tolto’. Un lavoro sull’ideologia e i suoi sensi e controsensi, che pone volutamente, o storicamente (essendo ispirata alla crisi personale di Lev Tolstoj), il concetto di Cristianesimo e quello di Chiesa ad antipodi concettuali. “Un uomo non può essere considerato un uomo se si mette a calpestare un altro uomo”. I suoi buoni propositi, osteggiati saldamente dall’intera famiglia, moglie in primis, restano però incompiuti innescando il tragico epilogo della vicenda. Boris, promesso sposo della figlia di Nicolaj, rifiuta l’obbligo dell’arma in nome di quel ‘Cristo’ tanto ascoltato e viene rinchiuso in manicomio; così, la madre di Boris, caduta in disgrazia (umana ed economica) per la perdita dell’unico figlio, con un colpo di pistola al cuore, pone fine ai ‘drammi di spirito’ di Nicolaj.

SET – Sul palcoscenico, quella ‘luce che splende tra le tenebre’, si compone, in maniera figurata, attraverso una scenografia firmata Jean-Marc Stehlè; una radura grigia fatta di alberi rinsecchiti (un’amato-odiato bosco) che sono ‘casa’ per Nikolaj e famiglia. E’ la terra, la sua terra, quella che egli stesso, adesso, vuole e ‘deve’ ridare ai legittimi proprietari, “Quelli che la terra la lavorano”. La luce irrompe da sinistra come un’alba perenne e divina ed illumina la radura e il cammino di ‘carità’ di Nikolaj che nel frenetico tentativo di spogliarsi dei suoi averi attraversa, osservando, povertà umane e materiali. “Ecco su cosa costruiamo la nostra felicità, morte e sofferenza altrui”.

ACT  Vittorio Franceschi è un Nikolaj profondo, voluto e riuscito compromesso tra ragionata follia e inoperosa umanità. La mancanza di carattere (irreligiosa) si acutizza alla presenza dei drammi che egli stesso crea nella vita degli altri e da cui ne’ esce con un semplicistico “Se il Signore vuole così!”. ‘Antagonista’ è l’ottima Orietta Notari nei panni della moglie Mar’ja, in grado di mantenere in equilibrio l’intero sistema, imponendo la famiglia come unica e vera priorità in virtù della quale rinunciare anche all’amore del (e per il) marito. Senso più che Cristiano. Pregevole il lavoro di Pier Luigi Pasino che interpreta il Boris ‘cristianamente corrotto’ e di Fiammetta Bellone nel ruolo di sua madre.

MOOD – La cornice è sostanziosa; i drammi si completano in tappeti sonori e voci/rumori fuori campo, che allungano lo spettro d’azione oltre la quarta parete: la platea diventa bosco e le quinte solo provvisorio limite spaziale, quasi cornice, appunto di una fotografia d’epoca (l’istante di un tutto). Dialoghi serrati e brusche inaspettate ironie rendono il testo più agevole, rese possibili dalle buone capacità del cast di 15 attori diretti da Marco Sciaccaluga. L’adattamento è coerente, specie nel finale, che rimasto incompiuto, è stato ricostruito da Danilo Macrì su appunti dello stesso Tolstoj. La messinscena stilisticamente moderna affronta con pathos d’altri tempi, conflitti, paure e tensioni di oggi, dove lotte tra classi, violenze/incoerenze religiose e tensioni familiari sono il tessuto cognitivo del costante sopravvivere.

In scena fino al 2 MARZO 2008

Al Piccolo Teatro di Milano

Una produzione Teatro Stabile di Genova

 
 
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

INFO TARGET

BEGINNER: non sono mai andato a Teatro, forse una volta con la Scuola, non so se mi piace...di solito è una noia!

AMATORE: sono andato qualche volta a Teatro, mi piace, ma quanto dura? Se si ride è meglio! Ci sono attori famosi?

EXPERT: Vado spesso a Teatro, non ho un gusto preciso, meglio se ci capisco qualcosa. Sono curioso e mi faccio delle domande. Meglio il professionale che l'amatoriale.

ABITUE': Amo molto il Teatro, mi informo e approfondisco. Non ho paura della 'ricerca', mi faccio delle domande e mi do delle risposte. Leggo il nome del regista.

 

LETTERA 22- INTERVIEW

PANTAGRUEL SISTER-IN-LAW
regia Silviu Purcarete

MY Showreel 

Purcarete non presenta una riduzione del testo di Pantagruel, ma nel suo omaggio fa vibrare l’eco dell’opera usando sarabande di attori come vocabolario e ritmi come grammatica.

An Actor  

Durata: 90 minuti
TARGET - Spettatore livello EXPERT dai 30 anni in su

- Da vedere

 

LETTERA 22 - INTERVIEW

COME FA RENATO QUAGLIA A RIMANERE IN EQUILIBRIO SOPRA NAPOLI?

Che rapporto c’è tra Napoli e il Teatro Festival Italia?
Già nel titolo della manifestazione c’è Napoli, e poi un punto.
E quel punto ha un valore, un senso.
Renato Quaglia, direttore artistico e ‘morale’ di questo Festival ne spiega le ragioni con motivata partecipazione, emotiva e culturale. E’ necessario che il luogo che ospita non sia osservatore di una vetrina ma parte del Festival stesso e in qualche modo ne abbia in seno la matrice; è questa la chiave di un percorso triennale su cui si sta lavorando. E’ nelle zone comuni che si rintraccia un’area di interesse vero. Renato Quaglia non ha un Teatro, non è un artista ne un produttore. Nasce in Friuli, ad Udine, come organizzatore e passa poi, per diversi anni, dalla Biennale di Venezia in qualità di direttore Tecnico ed Artistico. Oggi siede alla scrivania di Via Dei Mille, a due passi da Via Chiaia, in piena Napoli. E di questa Napoli cerca di aspirare l’essenza da trasferire nel Teatro Festival Italia.
“L’attività si deve porre al servizio di un territorio e non viceversa”.
Siamo qui per lavorare sulla percezione di se stesso che il napoletano ha dall’esterno. Non importa che venga o non venga a Teatro: è importante che si accorga di essere soggetto (e non oggetto) di un progetto culturale, padrone in qualche modo dello stesso. Il ‘modus’ di Quaglia è quello di lavorare affinché il Festival possa esercitare un riflesso in termini prima di tutto sociali, poi economici; la città deve in qualche modo assorbire il meglio dell’atmosfera, dell’aria costituita: internazionalità, tolleranza ed inclusività. Il secondo passo è immagine al proprio interno. L’arrivo di arte e artisti determina degli effetti rispetto alla comunità, con essa si scopre il mondo e la possibilità di uscire da una ‘condizione’.
“Io sono venuto qui per piantare alberi, non mettere fiori alla finestra”.
Il cartellone stesso si ripiega in qualche modo su Napoli; oggi al livello tematico, domani anche produttivo, dato che nasceranno delle co-produzioni per le prossime edizioni destinate a integrare professionalità locali con artisti d’oltre-oceano.
Il Festival deve servire ad innescare dei processi di sviluppo, ecco, come e in cosa, può essere parte di questa città.


 

NTFI - EXTRA

- Il gusto in scena

- Backstage Vedrai andrà tutto bene

 

NTFI - START!

6 Giugno 2008, si apre il Napoli Teatro Festival Italia.
Inaugurazione al Real Albergo dei Poveri, una delle location che ospita le manifestazioni.

 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963