Creato da RachelDavidson il 20/09/2013

Ti Racconto

Ricordi ed emozioni da raccontare

 

 

« ANNA

PER SEMPRE...

Post n°14 pubblicato il 28 Novembre 2013 da RachelDavidson
 

Rosella era una vecchina piccola piccola, di quelle con le gambe storte a cavallo, deformate dall'artrosi, l'età e la fatica; le gonne appese, scambiate dall'usura, il maccaturo nero in testa a coprire le trecce arrotolate ai lati sopra le orecchie tenute su da un intruglio d'altri tempi fatto col bianco d'uovo; la schiena piegata sotto un peso invisibile e per scarpe un paio di stivaletti da uomo, alti alla caviglia, più grandi del suo piede.

Camminava a scatti, con un braccio dietro la schiena e l'altro aiutandosi col bastone, guardandosi intorno a stento con gli occhi resi opachi dalla cataratta e coperti in parte dalle palpebre cadenti.

La conoscevano tutti in paese, ma nessuno sapeva con precisione la sua età, neanche i nonni che si divertivano a raccontare che era già così vecchia quando erano solo dei bambini.

Sono cresciuta col mito di Rosella, questa donna minuscola, che restava seduta sugli scalini esterni della sua casa quasi tutto il giorno a guardare noi bambini che giocavamo sul piazzale, la gente che passava, le donne che salutavano con un movimento del capo impercettibile.

A mezzogiorno si alzava aiutandosi con le mani, salendo carponi lo scalino superiore, si aggrappava al bastone con le mani come artigli di rapaci e scompariva nel portone della sua casa, per uscirne più tardi nel pomeriggio. Ripeteva il medesimo rito per la cena e non la vedevamo più fino al giorno dopo. Di tanto in tanto scompariva lungo la stradina di terra battuta che portava in campagna protetta da alberi e cespugli o a volte arrancava per le stradine del paese. Raramente una donna del paese le faceva compagnia sempre seduta sugli scalini come lei e restavano lì in silenzio a guardare non si capiva bene cosa. Come se ci fosse qualcosa di interessante da osservare in un paese di 500 anime.

Rosella era un mistero e noi bambini ci divertivamo ad inventarci le storie più fantasiose in cui lei era sempre la strega di oltre duecento anni e ce la immaginavamo sempre seduta lì da tempo immemorabile. Nessuno riusciva a spiegarsi come potesse ancora essere autonoma, vivere da sola, andare in campagna e tornare viva.

Non avevamo idea di chi fossero i suoi parenti in un paese talmente piccolo in cui tutti, a voler scavare nel passato, lo erano più o meno fino alla settima generazione. Un pomeriggio ne sentii parlare mio nonno e mia madre. Mio nonno raccontò di una sua nipote che abitava a Sessa Aurunca, a pochi chilometri dal paese, ma che in pratica l'aveva abbandonata. Forse un figlio ma non si sapeva se ancora vivo. Mio nonno, dopo un rapido calcolo, sentenziò che doveva per forza avere oltre 100 anni.

Quando mia nonna mi chiamò quel pomeriggio non immaginavo che presto tutta questa curiosità sarebbe stata colmata:

“Lella, devi andare da Rosella” sgranai gli occhi. Una bambina di 10 anni non può avere il coraggio di affrontare la strega malefica da sola. Notando il mio silenzio, mia nonna mi guardò.

“Hai capito?”

“Sì...” le risposi quasi balbettando “Perchè io?”aggiunsi come se fossi destinata ad un sacrificio umano.

Mia nonna sorrise “Devi andare a prendere il criscito. Non ce l'ha né zia Clo, né zia Giuseppina e devo fare il pane. Ce l'ha Rosella”. Il tono non ammetteva repliche.

In pochi secondi furono molteplici le domande che attraversarono la mia mente, ma l'idea che mia nonna avesse in qualche modo una forma di relazione con Rosella di cui io non ero a conoscenza e che non immaginavo minimamente, mi sconvolse.

C'era poco da discutere. Mi voltai e mi incamminai controvoglia verso la casa di Rosella che era poi al di là della strada.

Rimasi davanti a quel portone oscuro per qualche minuto. Cosa sarebbe accaduto di me una volta dentro? Mi feci coraggio e bussai. Dopo un po' sentii uno strascicare di piedi, un rumore di serratura ed il portone si aprì con un cigolio sinistro. Rosella apparve e dietro solo buio.

“Sono la nipote di Angela” Buon segno: la voce non mi mancava. Avrei potuto urlare.

Mi guardò senza vedermi, almeno così mi parve.

“Ah sì! Trase trase... “ e si voltò facendomi cenno di seguirla. La seguii invece con lo sguardo e la vidi scomparire dietro una porta.

Entrai in un ambiente buio e freddo, con il tavolo in primo piano coperto dalla classica incerata, una cucina economia e una stufa nell'angolo, il lavello sospeso e un vecchio frigo. Dall'altra parte della stanza il camino era acceso ed eravamo in agosto. Su un mobile che doveva avere la sua età, due foto entrambe color seppia invecchiate dal tempo. Mi avvicinai e le presi per vederle meglio. In una, un uomo in divisa, circondato dall'effetto sfumato, nell'altra lo stesso uomo sempre in divisa con una donna in abito da sposa stile anni '20, in piedi e immobili in una posa innaturale.

“Chill' era maritem' “

Sobbalzai. Rosella era tornata ad una velocità inaspettata.

Mi voltai e la vidi sorridere. Non l'avevo mai vista sorridere. Era completamente sdentata e le labbra rinsecchite sembrano rinchiudersi sul vuoto.

Poi capii perchè sorrideva: non guardava me, ma la foto.

“E' morto?” Le chiesi con incredibile forza, ma in quel momento mi accorsi che piano piano la paura verso Rosella andava scemando. Quel sorriso l'aveva modificata da strega misteriosa a semplice donna troppo anziana e troppo sola.

“E' muort' inta a' GRANDE GUERRA” e lo disse con sorprendente enfasi.

“Ce simm' maritati, poi è ghiuto a' vuerra ed è muort'. I tedeschi..” e sputò sul pavimento.

“Uommene e' niente i tedeschi! L'aggia' aspettato per anni...riciven' che caccheruno era sperduto in Russia...i' speravo che era là.... ma è muorto. So' rimasta sola co' nu creaturo e pur'iss' po'm'ha lasciato sola. C'aggià fa... o' restino mio è stato chist'. ”

In due minuti mi aveva riassunto la storia della sua vita, senza minimante parlare di sé, con la stessa lucidità e distanza con cui intere generazioni contadine avevano sempre affrontato la distruzione dei propri raccolti dopo una tempesta improvvisa. Generazioni rafforzate dall'essere schiavi degli eventi. Una vita che io, nata e cresciuta nel benessere industriale, non immaginavo potesse esistere.

Poi frettolosamente mi mise in mano un recipiente coperto da uno strofinaccio da cucina, prendendomi le foto dalle mani per rimetterle al loro posto:

“Tiè, chist' è o' criscito. Ric' a nonneta che aropp' nun me serve.”

E si avviò verso il portone per aprirlo. La luce tagliò quel buio freddo e antico che però non mi faceva più paura.

Le feci un sorriso e tornai a casa con il mio paccotto e nel cuore una malinconia fortissima. Il mio cuore di bambina era tracimato davanti ad una donna straordinaria che era andata avanti nonostante tutto, con il suo amore nel cuore.

Rosella morì pochi mesi dopo, nel sonno,  disse mia nonna. Non vedendola sui gradini per tutta la mattina decisero di andare a vedere se le fosse successo qualcosa. Le donne del paese la vestirono con il vestito tradizionale più prezioso, con dieci sottogonne e la camicia rifinita di pizzo fatto a mano che ancora conservava nell'armadio e tutti gli anziani del paese andarono al suo funerale. Nessuno seppe come avvisare la nipote né seppe mai se lo avesse saputo in qualche modo anche in futuro. La sua casa venne chiusa e nessuno vi entrò mai.

Oggi mi capita a volte di esprimermi sull'amore eterno e da donna disincantata che sono diventata dico di no, categorica, senza possibilità di ripensamenti. Non esiste nulla per sempre, non scherziamo! Ma subito dopo ripenso a Rosella, al suo amore fermo nel tempo, ai tanti anni in solitudine aspettando di rivedere l'uomo che aveva amato e sposato e mi mordo le labbra....

 
 
 
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