Creato da RachelDavidson il 20/09/2013

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L'albero del giardino della mia infanzia

Post n°2 pubblicato il 04 Ottobre 2013 da RachelDavidson
 

Ricordo ancora quei pomeriggi d'estate, nel silenzio ovattato di un paese addormentato dalla calura. La brezza faceva ondeggiare le foglie dell'albero che troneggiava nel giardino dei miei nonni, alla cui ombra riposavano immobili un tavolo e quattro sedie di cemento, ma scolpite in modo da sembrare legno.

La maggior parte dei miei pomeriggi li trascorrevo lì, a leggere. Non dormivo come il resto della famiglia e amavo quei momenti di silenzio e solitudine, un silenzio rotto solo dal motore lontano di un trattore che lavorava lungo le pendici della collina e di tanto in tanto dal pianto di un bambino troppo piccolo per sopportare il caldo.

Erano anni in cui l'aria condizionata era solo uno strumento per hotel ed auto di gran lusso. Anni in cui il calore era una carezza dolce e sopportata; o forse erano solo anni in cui ero troppo giovane per esserne infastidita.

Intorno a me la natura era vitale, molto diversa dal paesaggio perfettamente lineare e ordinato dall'uomo, in cui vivo ora. Nessuna siepe ben tagliata, nessun giardino all'inglese la cui erba non è libera di crescere e realizzarsi, nessun albero piantato ad arte nelle giuste distanze per non disturbare il vicino. Niente di tutto questo. Intorno a me alberi liberi di espandersi su cespugli e rovi padroni dei loro spazi. Spazi condivisi con l'uomo, tra un cancello e un forno artigianale, tra un'aia rudimentale e un orto improvvisato. Tutto aiutava a sentirmi parte di quel mondo selvaggio al punto da non pensare esistesse un'alternativa, la stessa che avrei scoperto anni dopo. Nessuno si sarebbe sognato di tagliare l'edera solo perchè invadeva il giardino a fianco: era un unico mondo condiviso.

Mio nonno era il primo a svegliarsi. Scendeva le scale di lato, un piede alla volta, con i suoi pantaloni arrotolati mezzi scesi sui fianchi, la maglietta bianca e poi a passo rapido andava verso l'orto per raccogliere quella che potrei definire la sua merenda. Avremmo scoperto molto dopo l'importanza della merenda o di certi alimenti, ma per mio nonno e tutti quelli della sua generazione il cibo era qualcosa di molto importante da cogliere dalla natura, senza artifici. Lo vedevo chinato a scegliere le foglie morte e ripulire l'orto al volo, poi scegliere i pomodori pronti per essere colti e tornare verso la fontana a lavarli; quindi risaliva le scale che portavano in cucina e uscirne poco dopo con del pane bagnato: pane e pomodoro, la sua merenda.

Il pane era quello raffermo, il più vecchio, che la nonna aveva fatto la settimana prima – il pane si faceva una volta a settimana per tutti e non si buttava, si riciclava – posato nel piatto ad asciugare, condito con un filo d'olio e poco sale.

Si sedeva di fronte a me senza dire una parola e cominciava a mangiare.

Io restavo a guardare i suoi capelli bianchi radi e disordinati,quel suo modo rapido e a tratti nervoso di mangiare. Non era un piacere il suo, ma una necessità. Da anni aveva rinunciato al piacere del cibo, da quando, durante la guerra, a causa di un proiettile gli avevano ridotto di metà lo stomaco. Doveva mangiare poco e spesso.

Oggi alcuni di noi sono costretti a ridursi lo stomaco a causa dell'obesità. Tempi moderni potremmo dire, ma mio nonno non apparteneva alla modernità. Era un fascio esile di nervi e muscoli, che aveva cresciuto la famiglia una volta finita la guerra con il lavoro dei campi, due occhi color nocciola perforanti ed un sorriso ironico e sbirlengo.

“Che leggi?” mi chiese all'improvviso sempre a capo chino continuando a mangiare.

“I promessi sposi” Gli risposi dopo aver letto la copertina, quasi non ne ricordassi il titolo.

“I promessi sposi?!” Mi chiese, alzando lo sguardo col suo sorriso appena accennato.

“Sì” Gli risposi a mia volta sorridendogli “ Che c'è di strano?”

“Nulla. Ma ti piace?”

“Certo! Mi fa ridere Don Abbondio!”

“A 11 anni ti piacciono i Promessi Sposi?”

Lanciai una risata. Mio nonno conosceva bene il libro e sapeva chela maggior parte degli studenti lo odiavano essendo un testo da leggere e studiare durante il primo anno delle scuole medie.

“Mi sono fatta avanti” gli risposi “così se mi fosse piaciuto non lo avrei odiato l'anno prossimo”

“Mi sembra giusto” e continuò a sorridere e mangiare, senza guardarmi.

Ho molti altri dialoghi avuti con mio nonno da ricordare, in ogni momento della nostra vita insieme, dalla mia infanzia a quando donna gli ho parlato l'ultima volta oramai quasi incapace di riconoscermi.

Di lui ritornano sempre quei suoi occhi buoni e le parole piene di sarcasmo e acume, la sua saggezza antica che mi ha indicato tante volte la giusta via da percorrere.

Ma quel giorno, quel momento, lo ricorderò più di altri perché quella sensazione di essere amata, accettata, senza barriere non l'ho mai più provata.

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Commenti al Post:
patryziap
patryziap il 04/10/13 alle 18:59 via WEB
Mi sono commossa leggendo questo tuo racconto perchè mi è tornato alla mente il mio dolcissimo nonno che fino all'ultimo mi ha fatto sentire la sua amata bambina...non c'è più da troppo tempo ma io lo sento sempre vicino a me..grazie ..Patty
 
 
RachelDavidson
RachelDavidson il 04/10/13 alle 19:58 via WEB
Grazie a te. E' questo il vero piacere dello scrivere: suscitare emozioni :)
 
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