Creato da RachelDavidson il 20/09/2013

Ti Racconto

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Il mio posto nel mondo

Post n°12 pubblicato il 13 Novembre 2013 da RachelDavidson
 

Nei momenti in cui Elena ricordava la sua gioventù, le sembrava di sentire l'odore del mare, il rumore delle onde che si infrangono sul bagnasciuga, le voci attutite dei bagnanti. Eppure non aveva mai amato particolarmente il mare. Ora più che mai ricordare quei giorni la sosteneva in quel mondo dal cielo grigio e cupo, con l'umidità che si sentiva nelle ossa e ovunque: sulle automobili, sulle strade, addosso. Un mondo che non le apparteneva, che non l'aveva accolta e avvolta, proteggendo e guidando lei, che aveva lasciato il suo passato.

Pensava continuamente al suo status di “immigrata”. Chi decide di lasciare la propria terra di origine lo fa quasi sempre per cercare una vita migliore. Migliore rispetto a cosa? Non si era mai posta questa domanda prima di quel giorno. Forse perchè la nebbia le sembrava più fitta ed il freddo più tagliente del solito. Si era sempre sentita tagliata in due: una parte piena di curiosità ed entusiasmo per questa nuova terra ed una parte con le radici ben piantate lontano da lei, il cui unico legame erano, appunto, i ricordi. Elena faticava a tenere vivi i ricordi dopo tanti anni. Rivedeva le foto, conservava oggetti e qualunque cosa potesse tenerla legata al passato, alla sua terra, alla sua infanzia. In una sorta di schizofrenia, pur rimanendo legata a quei luoghi, sapeva che mai vi sarebbe tornata per viverci, perchè, dopotutto, il motivo per cui era andata via era ancora inattaccabile.

In questo suo recupero certosino del tempo passato, aveva notato però di cominciare a perdere pezzi. Luoghi, nomi, avvenimenti, tornavano alla memoria ora con difficoltà come se il fatto di essere lontani da persone o situazioni che potessero rinnovarne i particolari, diluisse i ricordi. Non ricordava più i nomi dei suoi compagni di scuola del liceo, ad esempio, o come si chiamasse quel certo ristorante dove era stata con il suo primo vero fidanzato o come si chiamasse la vicina di casa, una deliziosa vecchina che le aveva fatto spesso da baby sitter. E poi cominciava ad essere insofferente alla nebbia. Si immaginava su una spiaggia, d'inverno, che anche neimomenti più cupi le sarebbe stata di conforto. Forse era la possibilità di protrarre lo sguardo verso l'infinito che dava un senso di potenza, quella sensazione di abbracciare lo spazio, toccando la terra a contatto del mare che sembrava estendersi senza limiti. Ora la nebbia le bloccava la visuale a cinque metri da lei con una sensazione di impotenza che non lasciava spazio ad illusioni .Braccata nel tempo e nello spazio. Perchè la nebbia non lascia intravedere neanche il sole, perchè il suo movimento potesse inconsapevolmente dare la percezione dello scorrere del tempo.

Come risvegliata da uno stato di trans, all'improvviso i suoni ed i rumori della città divennero prepotenti. Si sentiva sola, ma non quella solitudine malinconica che conduce alla prostrazione o a pretendere pietà, piuttosto con la piena consapevolezza e fierezza di esserlo. Era una donna autonoma, con un lavoro soddisfacente e la stima dei suoi colleghi. Gli unici legami appartenevano al suo passato, ben distinti dal presente. Eppure quel dannatissimo giorno sembrava voler mettere in discussione gli ultimi anni della sua vita, le sue scelte, persino le sue priorità. Ad ogni passo rivedeva il mare, tornava a percepire i suoni e gli odori della sua terra e quella sensazione non le piacque affatto, perchè le persone felici di essere dove sono si svegliano entusiaste al mattino, sono proiettate al futuro, sono frizzanti e indistruttibili, ma Elena non si sentiva così quel giorno.

“Mi scusi”

La voce di un uomo attirò la sua attenzione ed in una frazione di secondo vide la sua borsa a terra ed il bus che aveva atteso per tutto il tempo, passare davanti ai suoi occhi.

Si chinò a raccogliere la borsa, ma una mano incrociò la sua.

“Mi scusi”

Di nuovo quella voce, ma questa volta la voce aveva anche un volto che sorrideva.

“Oggi non ne faccio una buona!” e le passò la borsa che nel frattempo, almeno lui, era riuscito a prendere.

Elena prese la borsa e si voltò oramai decisa ad andare a piedi.

“Mi lascia così?”

Si girò e lo vide in piedi con le braccia a mezz'aria el'espressione di chi se la divertiva tanto.

“Prego?” Gli disse Elena

“Mi spiace se l'ho urtata, sono stato scortese, ma merito almeno un saluto, o no?”

“Mi perdoni, vado di fretta, ho appena perso il bus”

“Posso darle passaggio?”

“No, grazie” rispose a malincuore Elena.

“Mi chiamo Roberto” si presentò lui e le porse la mano.“Elena, piacere” rispose lei “ora scusami Roberto, ma devo andare”

“Posso offrirti un caffè per farmi perdonare?”

Elena lo guardò attentamente per la prima volta. Osservò attentamente quest'uomo affascinante, in giacca e cravatta, gli occhi profondi ed il sorriso da star e si chiese per una frazione di secondo che male avrebbe fatto per una volta telefonare in ufficio per dire che sarebbe arrivata tardi e godersi una piacevole compagnia, ma altrettanto rapidamente le venne in mente un'idea assurda.

“Roberto tu ami il mare?” lui la guardò perplesso

“Sono curiosa di saperlo”

“Certo, io amo il mare... ma perchè mi fai questa domanda?”

“E perchè vivi qui se ami il mare?”

Doppiamente perplesso Roberto però rispose “Perchè qui sono nato e cresciuto, ho la mia famiglia... ma scusa non capisco... “

Ed io allora perchè vivo qui? Si chiese Elena. Finalmente capì.

Si avvicinò a Roberto e lo baciò sulla guancia. Si sentì improvvisamente vitale come un leone!

“Grazie Roberto! Ti auguro ogni bene”

Gli fece un sorriso e si voltò procedendo rapida verso casa. Rideva, saltava ed il cuore batteva come impazzito perchè avevacapito.

Il suo posto non era lì, non lo era mai stato. Il suo posto era acasa, lì dove il mare si estende oltre l'orizzonte.

 
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