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Un blog creato da Il_capo_dei_cattivi il 19/12/2004

Malvagità Paradossa

E sono solo agli inizi.....

 
 

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Post N° 126

Post n°126 pubblicato il 27 Luglio 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

Le dieci ragioni per cui non riuscirò mai a pubblicare un mio maledettissimo romanzo best seller:

1) Per pubblicare un romanzo occorre prima di tutto scriverlo. Per scrivere un romanzo ho bisogno di molto tempo. Diciamo così: mi serve od un anno intero in cui non fare molto altro oltre che scrivere, o di molti anni interi in cui fare poco altro oltre che scrivere.

Un buon professionista del settore scrive un libro medio in dieci mesi, lavorandoci almeno dieci ore al giorno il che fa un totale di almeno 3000 ore (ed è un professionista e non uno scarrafone rotolacacca come me). Io, 3000 ore “libere” le metto insieme in quattro anni e mezzo (ma solo se divento stitico, la smetto di lavarmi e la polvere non si deposita più sui miei pavimenti).

2) Per scrivere un romanzo il talento non è necessario. Per scrivere un bel romanzo è indispensabile. Il mio talento deve essere caduto giù per il sifone insieme agli avanzi della cena. Sai per caso dirmi se è proprio lì in fondo in compagnia della tua autostima ?

 

3) Per scrivere un romanzo occorre avere ben più della buona idea per la trama ed il soggetto. Occorre avere almeno una buona idea per ogni pagina. Per di più occorre non cambiare troppo sovente questa idea. Io ora possiedo una vastissima collezione di incipit di cinque pagine che al massimo posso portarmi in bagno come riserva cartacea dopo l’esaurimento del rotolo igienico.

4) Facendo per un attimo finta che il solo riuscire a scrivere un libro sia già fonte di un immenso piacere onanstico (tant’è che pubblicarlo vendendo stramigliardi di copie e guadagnando alcuni milioni di euro mi faccia addirittura un po’ schifo), è bene che io consideri che, per farsi pubblicare, è indispensabile essere già stati pubblicati in precedenza. La situazione così si rende decisamente Kafkiana.

5) Per quanto io sia un uomo bellissimo ed estremamente sexy (tant’è che pure lo specchio s’ingrifa quando mi ci rifletto) non sono Paris Hilton. Non posso così vendere il mio corpo alle masse medianiche od ad un editore in cambio della pubblicazione. Anzi, forse non accettano il mio corpo, neppure per farne sacchi di humus dopo un adeguato trattamento di compostaggio.

6) La scrittura di un libro prevede alcune delicate fasi: Prima stesura e prima rilettura, seconda stesura e seconda rilettura, terza stesura e terza rilettura e così via per tutti i numeri interi, multipli di uno e composti da meno di sedici cifre. Di questo post sono alla prima stesura senza alcuna rilettura: il post fa cagare, san Zanichelli (protettore dell’ortografia) s’offende ed io non ho pazienza.

7) Faccio un uso troppo loquace di riferimenti autobiografici, uno sfruttamento troppo intensivo del paragone e della similitudine, per non parlare di quanto voglio esasperatamente bene al “narratore onnisciente”

8) Non posso più affrontare la lettura, o rimembrare od invocare Dostoevskij, Checov o Calvino o se no mi viene una depressione tendenzialmente omicida (che prevede lo sterminio dei miei punti neri e della fiorente coltura di peli sul sedere) perché mi rendo conto che non sarò mai in grado, non solo di eguagliarli (se non facendo un superbo copia-incolla), ma anche di leccagli la tomaia dei calzari con i quali mi prenderebbero a calci se non fossero costretti a ritorcersi nel loro feretro dopo essere stati nominati dalla mia biascica.

9) Tutti abbiamo almeno un romanzo da scrivere. Io non sono diverso da te, solo molto più stupidamente cocciuto (oltre che molto  più incredibilmente sexy).

 

10) Nell’agosto del millenovecentonovantasei apposi il mio dito pollice cosparso di Autan e gelato sulla sfera di cristallo elettronica dei baracconi della fiera di San’Eusebio. Ella mi così predisse:
“Non perdere tempo a scrivere, ti rapiranno gli alieni proprio quando sarai alla metà del terzo avvincente capitolo.”

 
 
 

Post N° 125

Post n°125 pubblicato il 14 Luglio 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

A volte sogno che un giorno, invecchiando, mi ritroverò con una pipa spenta in bocca, seduto a leggere all’ombra di una pianta, nel cortile di una grande casa in collina: non troppo lontano da piccole orde rumorose di nipoti e pronipoti e non troppo preoccupato dall’ incontinenza prostatica.

In quei giorni, nessun piccione o rondine, cinciallegra o pettirosso, pterodattilo o conuro della Patagonia in rapido transito aereo, mi bombarderà, e con buona probabilità non sarò neppure troppo rincoglionito dall’ incalzare dell’Alzheimer. Aato attere  gonia biancosegreta che nasconde qualche buon aloclico,gura con tutti gli equipaggi delle astronai vrò una piccola cantina segreta dove nascondere qualche buon alcolico, un cane un po’ stitico e dal carattere pacato ed almeno un paio di calzini in buono stato.

Se proprio dovrò avere dei denti posticci in bocca vorrei che non fossero troppo bianchi, o non mi impedissero di addentare una carota cruda e, seppur malato cronico di ipercolesterolemia o di qualche altra inutile malattia lipidica, vorrei non biasimare od invidiare intimamente nessuno che si ciba di caramelle, cioccolatini e salami di cinghiale al mio cospetto.

Finita la lettura avrò in programma una passeggiata mano nella mano con chi amo, ed anche se la passeggiata sarà sufficientemente corta da evitarmi di soccombere ad una mezza ischemia, sarà piacevole tanto quanto lo era fare l’amore insieme.

A cena i nipoti più giovani mi sfotteranno pubblicamente indispettiti per il risucchio ed i gorgheggi che emetterò involontariamente  mentre sorbisco il pasto. Io li sfotterò un po’ meno decidendo di dimezzare istantaneamente gli importi destinati alla loro eredità e devolvendo una fette significativa dei miei averi alla clinica di Cesare Ragazzi che mi trapianterà un ciuffo alla Elvis, mai avuto neanche a vent’anni.

Farò disperare il figlio più giovane che avrò, raccontando alla sua futura moglie alcuni deliranti e imbarazzanti aneddoti della sua infanzia. Farò disperare il mio medico aggiungendo una palata di sale ad ogni pietanza.

Avrò le macchie sulla pelle delle mani, qualche pelo della barba fuori posto, gli occhiali un po’ più spessi, rughe da sorriso, la sciatica ed i reumatismi (magari anche la pubalgia), lo sguardo ebete e sereno.

Avrò idee arcaiche e l’alito fetido, sarò spendaccione, pancione, impotente, bonario, sonnolento ed eccessivamente loquace.

Sparando dei lapilli giganteschi dalla bocca durante le conversazioni, spaccerò cautela e ponderatezza come se fossero perle di saggezza e filosofia, ma in cuor mio mi pentirò dei peccati che non ho avuto il tempo od il coraggio di commettere.

Forse assomiglierò a mio padre e questo non mi sembrerà affatto male.

 
 
 

Post N° 124

Post n°124 pubblicato il 26 Giugno 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

L’ironia è il pudore della mia Coscienza.

 

La solita fitta al fegato. La solita digestione rumorosa, la solita cervicale scontenta della posizione…

Il solito tempo che mi ticchetta dentro.

Ho smesso di sapere che lo scandisce un cuore e sono diventato il Coccodrillo che si vuol mangiare Capitan Uncino.

 

Stando maladagiato sul tappeto, sento le chiappe si arrossarsi al contatto con la lana ispida.

-          Non è di questo che parlavamo.

-          Non li decidi tu gli argomenti di discussione…

Mi strofino forte la faccia: vorrei alzarmi ed andarmene. Anche così, mezzo nudo, pur di andarmene.

Il fatto è che questa è casa mia.

 

Preferisco distrarmi e veder scorrere le immagini del film rimasto senz’audio. Lei non cede e mi rintocca:

-          E’ ora di fare delle scelte. Non sei più un infante.

-          Non ricordo di aver firmato acconsentendo a separarmi irrevocabilmente dalla mia infanzia. Vorrei più tempo. Il bambino che è dentro di me deve ancora giocare. Ad esempio adesso gioca con i lego e costruisce un…

-          Il tempo è un lusso che non sempre si ha a disposizione. Tu non ne hai… Più.

Le nubi temporalesche che si addensano fuori offuscano pensieri e parole che ho dentro. O è viceversa.

Mi viene un crampo alla nuca. Mi scuoto. Mi esce un:

-         

Il silenzio si fa rumoroso. Niente di epico, o catartico, od anche solo strano: si scuotono le tapparelle e sbattono le imposte spinte da un vento nervoso. Migliaia di mutande colorate sbandierano dagli stendibiancheria dei balconi vicini come se fossero tanti stendardi della mia casa nobiliare.

L’umido afoso ed eccessivamente estivo arriva e mi si spalma addosso, mi unge. Potrei farmi scivolare sul pavimento come una saponetta in bagno, oppure rotolarmi per impanarmi con la polvere, come un improbabile cotoletta alla milanese.

-          Quindi ?

-          Ho detto “Sì”. Mi ascolti quando parlo ?

-          Certo...  E tu mi ascolti ?

-          Tu sei la mia Coscienza: cerco di farlo il meno possibile.

 

****************************************************************************

 

 

Sono in bagno a sgocciolare ed a radermi da orecchio ad orecchio. A modo mio però, facendo scorrere il rasoio anche su fronte e occipite.

-          Avevi detto “Sì”

-          Sei anche qui? Sono in bagno: nel mio bagno. Ogni uomo ha diritto alla sua privacy. Esci!!!!

 

Senza darmi retta si accomoda sulla tazza bianca. Mi guarda. Non le piaccio un granché, ma il suo disprezzo non mi fa nessun effetto.

Gioca distrattamente con la morbidezza del doppiovelo igienico ma di tanto in tanto la intravedo rimirarsi allo specchio. Negli occhi porta quello spleen sconsolato delle belle donne sciupate da qualche cattiva ragione invecchiano.

 

Vorrei canticchiare sotto lo scroscio della doccia, ma invece, sbadato io, parlo:

-          Di te si parla parecchio male in giro.

-          Già, lo so.

Rimane algida come un Liuk con il bastoncino di liquirizia. Mi sento impotente contro di lei. So che non riuscirò a farle male.

-          “La coscienza è una suocera le cui visite non finiscono mai” – la sfido ancora provando a rincarare la dose -  lo ha scritto un americano credo che fosse Shaw, no no era  Nathan... o Dreiser... o Fitzgerald...

-          Era Mencken… e tu sei un ignorante, ma non è questo il tuo problema.

Incasso il colpo ma mi scivola il docciaschiuma dalle mani. Per riprenderlo rischio di compiere un mezzo carpiato con atterraggio sulla ceramica. Lei riprende:

-          Tu non capisci. Io sono costretta ad ascoltarti. Non lo faccio per piacere personale. Nessuno avrebbe ragione di farlo. Tu parli e ti riprometti un sacco di cose. Poi è un problema mio venire qui e convincerti a rispettare ciò per cui ti sei impegnato.

-          Il rimangiarmi le mie parole non mi ha mai dato l'indigestione.

-          Essere la tua Coscienza è un lavoro schifoso.

-          E tu sei sporca. Molto.

-          Avere la Coscienza pulita sarebbe segno di cattiva memoria. Tu non ricordi mai niente di importante. Spiegami perché ricordi solo quello che riguarda me ?

 

Sbuco fradicio dalla doccia.

La guardo. Mi guarda.

 

Ci capiamo, credo. Ma per un istante solo.

 
 
 

DOVEVANNOLEPAROLE

Post n°123 pubblicato il 19 Giugno 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

Mi son sempre chiesto qual è il posto dove finiscono tutte le parole dopo che son state dette. Così, per trovar risposta a questo ardito quesito, mi son messo di buona lena ed ho fatto delle prove scientifiche per trovar una risposta.

Ad esempio: ho detto “Tallalà” e poi quatto quatto sono andato a cercare dentro tutti gli armadi, sotto al tappeto, nei buchini dei tarli, nel cassetto del comodino e pure negli spazi interstiziali dei denti divenuti ampi dopo l’accurata detartrasi.

Ma niente. Niente più tracce della parola “Tallalà”. Non c’era più.

 

Quindi, per attenermi ai canoni ed al rigore previsti della sperimentazione accademica, ho provato a cambiar parola ed a cambiar stanza: Sono andato in cucina ed ho detto “Trippa in umido con cipolle”, ho cercato pure tra le posate, dietro al frigo, sotto le scatolette del tonno Insuperabile e nella credenza dove tengo le Girelle, ma mi è venuta soltanto fame, perciò mi son mangiato le merendine.

Sono andato in salotto ed ho detto bella forte e scandita la parola: “Gnoseologia”. Poi però mi son distratto ed ho pensato intensamente e lungamente a che vuol dire la parola testè pronunciata. Così mi è venuto un abbocco ed ho dormito sul divano con la bolla al naso.

Quando la bolla al naso è scoppiata mi sono buttato in bagno tutto trafelato e, sotto la doccia, ho canticchiato il mio pezzo preferito di Licia ed i Bee-Hive. Allorquando sono uscito ho cercato dove fossero finite tutte le parole che avevo canticchiato, ma non ce ne era più neanche una.

 

Ommamma mia… dove vanno allora tutte ‘ste parole?

Il dilemma si è fatto più acuto, ma la mia celeberrima intelligenza deduttiva da capesanta surgelata della Marepronto, non si è arresa.

 

Perciò in ufficio ho fatto altre prove:

Al mio collega preferito ho detto “Andriambahomanana” (ossia il nome del baldo e simpatico “primo uomo” secondo la mitologia degli abitanti del Madagascar, che alla sua morte chiese di essere trasformato in un banano)

Lui, il collega preferito, mi ha guardato, sbattendo quel suo paio d’occhi rotondi ed accidiosi come quelli di un regolare frequentatore della Palude Stigia e mi ha detto: “No grazie, il caffè l’ho gia preso”

La parola “Andriambahomanana” comunque non c’era più. Nemmeno nel bidone del toner esausti della fotocopiatrice o nel bagno delle signore.

 

Un gran bel mistero insomma, ma visto che io non son per nulla meglio di Vickie il Vichingo, ho pensato e ripensato finché mi è venuta un idea strepitosa:

Ho detto delle parole dentro ad un sacchetto vuoto della brioches del distributore automatico giù in officina. E poi l’ho chiuso stretto stretto.

Già, proprio dentro a quel beneamato, trasparente ed impermeabile sacchettino della brioches che ha il gusto di tartufo e di sciacquatura di piedi, pur essendo riportato sull’etichetta che dovrebbe essere farcita con la marmellata di mirtilli, ero sicuro che le mie parole non uscissero. Ho quindi detto:

 

“Son contento”

 

Poi ho guardato. Le due parole non c’erano…

 

Vabbè insomma, a quanto pare il mistero di dove vanno le parole non è ancora risolto, però sono contento…

 
 
 

Post N° 122

Post n°122 pubblicato il 16 Maggio 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

- Capo… dai smettila.

- No no no no no. Non la smetto.

- E dai Capino. Lo sai che se tieni il broncio tutto il giorno ti si modifica la faccia resti brutto per sempre.

- Nonnonononono non è vero.

Risposi scuotendo il corpicino intero, mosso da un fremito di dissenso ed ignaro che il futuro mi avrebbe invece dimostrato che era molto vero: mi sarebbe rimasta per sempre questa faccia a forma di culo di gallina.

- Su dai, smettila di fare i capricci. Sei quasi un ometto ed è ora di comportarsi come i bimbi grandi.

- Non mi va!!!

Strinsi le braccia conserte al petto e feci spallucce.

Mamma in tutta risposta mi fece una carezza sulla testa (che già all’epoca era dura come una piastrella di gres porcellanato) lisciando quella chioma piuttosto ribelle di cui oggi porto soltanto un vago ricordo.

- Non ci vado.

- Non è vero.

- Sì che è vero. Non ci vado e basta!!

- No Capino… io so che ci andrai… e so anche che sarai contento di esserci andato così io sarò fiera di te.

- E perché?

Le chiesi, ingenuo come il bimbo fantolino che ero.

Mia mamma si abbassò, portando il suo petto all’altezza del mio cranio tontolo.

Sporse le braccia, tese, aspettando un abbraccio che riuscivo ancora, seppure a stento, a trattenere.

Insistetti:

- Perché ?

Lei espiro e mi guardò di dentro. Intendo “Dentro”, o meglio “DENTRO”. In quel modo che fanno solo tre persone in tutta la tua vita. No forse soltanto due… o no, una sola: Lei.

Mi esplorò per un attimino lungo. Uno di quegli attimi che è facile (od anche difficile) che ti ricordi poi, un giorno così, ventisette o ventotto anni dopo.

Esplorandomi con quei due occhi lì forse vide che sarei stato quest’uomo così-così. Forse intravide che avrei sprecato tutte queste energie nello sforzo di riuscire a non capire niente… niente mai, o forse avvistò anche che non sarei mai stato capace d’essere infelice……… ma non disse una parola.

Andai ad abbracciarla facendo il possibile affinché non si accorgesse di quanto desideravo stringerla e farmi spupazzare un po’, anzi simulai pure un po’ di riluttanza. E’ certo però che questa messainscena non fu la mia migliore interpretazione.

Poco dopo ero già vestito e pronto per andare a separarmi irrevocabilmente dalle mie tonsille e dalle mie adenoidi.

 

 

Di tutti i personaggi di questa avventura (adenoidi e tonsille incluse) non ho notizie attendibili da parecchio troppo tempo, ma questa è vita.

 

Ed è bella.

 
 
 
 
 

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