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Carletti: il beat è vivo e lo cantiamo ai giovani

Post n°28 pubblicato il 28 Settembre 2011 da enrico.rumiano






MODENA

Giovedì, 29 Settembre, Modena torna a celebrare, con una giornata di festa e concerti, il suo rapporto con la musica, all'insegna della vena creativa che attraversa la città fin da quando era la capitale del beat italiano. Quest'anno saranno i Nomadi ad esibirsi nel concerto finale sul palco di piazza Grande. Beppe Carletti, leader storico della band, è stato uno dei protagonisti della scena beat italiana e spiega cosa rappresenta per lui e i suoi colleghi la partecipazione all’evento di giovedì.

«Per me è un onore essere in piazza Grande per un tributo alla musica e alla città che ha dato i natali a tanti importanti artisti italiani. Negli anni Sessanta al bar Grand'Italia e a Modena c'erano fermento musicale e tanta creatività. Essere sul palco per chiudere la giornata dedicata a quei tempi, è per noi motivo di orgoglio. Complimenti a chi ha avuto l'idea di organizzare l’evento».

Gli anni Sessanta hanno portato la più importante svolta musicale del ventesimo secolo.

«Questo è innegabile. È stato il periodo del cambiamento di fare musica. Anni meravigliosi che hanno visto nascere in tutto il mondo grandi protagonisti, a partire dai Beatles e dai Rolling Stones che hanno contagiato tutti, anche i Nomadi. Senza questi due grandi gruppi sicuramente noi non saremmo arrivati al successo».

Modena è stata protagonista dell'era beat.

«A tutti gli effetti. Si respirava un'aria di grande creatività e c'era molta voglia di comunicare. Adesso ci si sente tramite internet o facebook, ma non è la stessa cosa. La cosa più bella è quando parli con qualcuno e lo guardi negli occhi per catturarne tutte le emozioni. Allora si veniva da anni di sacrifici e sofferenze e la gente aveva voglia di fare, anche in campo musicale».

Cosa ricordi di quel periodo?

«Ho ancora negli occhi e nella mente l'atmosfera del Grand'Italia. In quel bar sono nati i Nomadi, ma anche tanti altri artisti. Era un punto di ritrovo dove si consumavano i nostri sogni e si costruivano i nostri progetti; ci si confrontava e si faceva musica. Si suonava per il piacere di salire sul palco. Ricordo anche l'Eden dove i Nomadi hanno debuttato. Non sono un nostalgico ma credo che quei tempi fossero migliori di quelli odierni. Intorno a noi c'era speranza, quella che, purtroppo, oggi manca a tanti giovani. Anni indimenticabili; ricordarli è la cosa più bella che vi sia».

Il beat in Italia raccolse ben poco della “beat generation” americana. Come ti spieghi l'importazione solo del fenomeno musicale?

«L'Inghilterra è stata sempre il punto di partenza delle mode ma in America c’era più vitalità. La beat generation si è propagata ed ha contagiato il mondo. E da noi il fenomeno musicale ha fatto presa grazie al risveglio che in quegli anni c’era in Italia».

Gli Anni Sessanta, un periodo d'oro per le cover.

«Quasi tutti abbiamo tradotto successi inglesi e americani ma chi viveva di sole cover è scomparso dalla scena».

Chitarra, basso e batteria erano gli strumenti predominanti.

«Una volta si pensava che con un trio fosse quasi impossibile fare canzoni. In Italia andavano di moda le orchestre. Questa è stata la grande trasformazione musicale: con pochi strumenti si era in grado di sostenere una serata».

Mezzo secolo dopo cosa resta dell'era beat?

«I Nomadi ci sono ancora. Il beat esiste e cerchiamo di farlo sentire ai ragazzi perché le cose belle non muoiono mai. E giovedì tutti in piazza per ricordarlo».

Nicola Calicchio













 
 
 
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Un blog di: enrico.rumiano
Data di creazione: 19/03/2011
 

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