Creato da lauro_58 il 10/11/2006

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A volte ho vinto, molto più spesso ho perso. Cammino tra le strade della speranza senza ripari. E se inizia a piovere, mi fermo e guardo attorno. Poi alzo il bavero del cappotto, accendo una bionda e ricomincio a camminare.

 

 

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Quasi come a casa - Una favola - (3)

Post n°317 pubblicato il 19 Aprile 2013 da lauro_58

 

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Entro con il biglietto in mano come ha promesso, senza aver toccato il portafoglio perché davvero non importa dimostrare di avere quel becco che nel detto parla di quattrini e penso sia un buon segno, ma la novella ha equilibri incerti e ali tarpate per cui subito mi contraddico per colpa, temo, di una cialtroneria  talmente bassa da segnare il negativo se avessi a disposizione una scala per poterla misurare. La questione è semplice. Dentro è tutto così diverso dalla sfarzosità d’etichetta, cambia così tanto da fare impressione, quasi mi pento di aver fatto il grullo e dato la stura alla processionaria di pecore in coda per un biglietto. Tergiverso per decidere se continuare a mettere un piede davanti l’altro o girare l’alluce e tutte le dita per ripassare sulle orme lasciate alle spalle. Succede perché mi ritrovo in un posto ben lontano dalla grandezza che l’esterno del tendone lascia intendere e non ha nemmeno le fattezze di una platea teatrale. Al massimo, a voler usare la fantasia, potrebbe ricordarla. Ma di quelle vecchie, anguste e alquanto demodé. E’ inutile negarlo, il vestito sfarzoso non è una promessa mantenuta e il contenuto non fa certo il monaco, proprio come dice il proverbio, a parte i seggi luminati, che appena metto piede nella sala iniziano una specie di festa accendendosi e spegnendosi come fosse partita una lotteria di luci visto che dopo un po’ di girandole, si conclude proclamando il primo estratto. Solo una delle poltroncine rimane accesa e due figuri mi invitano a prendere posto proprio li, su quello scranno che potrebbe risultare scomodo per chi non è avvezzo agli onori, alla ribalta, al centro della scena. Ed è così che mi sento, schivo e riluttante di essere oggetto d’attenzioni, per cui la cosa non mi entusiasma affatto. “A quanto pare il tuo posto è questo.” Mi dice uno dei due incoraggiando il mio avanzare impelagato in incertezze e ritrosità. A prima vista sembra un pazzo almeno quanto il cespuglio di capelli che si porta appresso. Il suo aspetto è così patito da considerarne la giusta conseguenza il fare dinoccolato, accentuato da un collo oltremisura sotto una tuba in velluto marrone. A pensarci bene anche l’affabulatore ne è fornito, di copricapo intendo, ma rosso, quasi fosse un segno di distinzione quello, come se andasse a braccetto con la mansione di chi lo indossa. Mi viene da pensare al particolare in automatico, un po’ strano a dire il vero e in parte lo è, perché anche il suo compare ne ha una in testa uguale e se tanto mi da tanto la loro mansione deve avere lo stesso fine. Ma è la sola cosa che li accomuna mi dicono gli occhi, visto che è basso, tarchiato, paffuto e quel suo “Sgrunf, sgrunf” che vorrebbe essere una risatina, assomiglia più al grugnito di un maiale e anche lui a voler essere gentili. Verrebbe voglia di guardagli e sedere per controllare se per caso a corredo non abbia la stessa protuberanza a tortiglione del suino, li sull’osso sacro. “Devo proprio?” domando al secco “Non è mica un dovere.” A dire il vero mi risulta difficile credergli, ma sembra proprio non abbia via di scampo, visto che la sala inizia a riempirsi di un brusio sempre maggiore oltre che di persone. Non posso far altro che sedere per evitare discussioni e lo faccio mio malgrado proprio li, dove gli occhi di tutti passano almeno una volta quando mi dice bene per guardare e cercar di capire chi ci sia in quella specie di luminaria formato poltrona. Di colpo il buio e la mia seduta non è da meno. La cosa mi piace e mi piace ancora perché questo significa che forse potrò godere dello spettacolo a modo mio. Poi un soffuso chiarore, di poco conto, rischiara il palcoscenico prima che il sipario si apra.  

... continua

 
 
 
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