Creato da lauro_58 il 10/11/2006

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A volte ho vinto, molto più spesso ho perso. Cammino tra le strade della speranza senza ripari. E se inizia a piovere, mi fermo e guardo attorno. Poi alzo il bavero del cappotto, accendo una bionda e ricomincio a camminare.

 

 

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Joshua e Mrs Effe

Post n°321 pubblicato il 06 Maggio 2013 da lauro_58

(Atto unico in più parti)

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Parte prima:

Lavoro in fabbrica! Assemblo manichini partoriti da macchine che non sudano, non mangiano e non amano. Gambe e braccia perfettamente uguali, busti asessuati e teste su cui è stampata sempre la stessa espressione di impenetrabile serenità. Se non fossero finti verrebbe voglia di imitarli. Forse perché la perfezione è rassicurante, visto che viviamo in un mondo imperfetto. A pensarci bene anche il sesso in qualche modo mette paura, visti i tabù che ci cuciamo addosso come vestiti. Ma qui non è un problema, viene relegato a dettaglio e specificato dagli addetti alle parrucche alla fine della catena di montaggio. Capelli posticci che non saprebbero poi nemmeno così tanto di finto se non stessero su facce tutte con la stessa espressione. Io devo montare la testa. Non è difficile, basta prenderne una a caso dal mucchio e piazzarla sul collo, senza seguire alcun criterio nella scelta.

Non lavoro di giorno. Al colloquio mi hanno detto se ero disposto a fare il turno fisso di notte. Ho accettato. Poi ho saputo che sono stato assunto proprio per questo. Alla fine ci fai l’abitudine e poi per uno come me, che ha cicatrici dappertutto, un corpo ormai da uomo e un seno da donna è la cosa migliore. Io sono un imperfetto e se mi fossi chiamato Maggy, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Di Maggy ho le tette, per il resto sono Joshua, ascolto i Talking Heads e sogno di lasciare questo posto sistemato ai margini della città, tra colline di polvere e cielo color seppia. Passatemi il termine … sono perfettamente imperfetto! Mi piacciono i Talking Heads e assemblo manichini. Lavoro in un posto dove li fabbricano e mi porto dietro tutta questa roba in un corpo solo. Ditemi voi se non sono un controsenso vivente!

Poi il mio nome. Per quanto ne so potrei anche essere un discendente del figlio di Nun ... quello che successe a Mosè. Giosuè della tribù di Efraim. Invece sembro uscito dall’inferno. Comunque a parte tutto, se potessi scegliere, mi piacerebbe essere un gatto e guardare il mondo attraverso i suoi occhi. Immagino sia molto diverso vederlo dalla sua prospettiva. Sarebbe come guardare da un obiettivo fuori fuoco. Il mondo visto dai gatti ha contorni diversi da quelli formato Homo Sapiens.

Quando finisco il turno non vedo l’ora di uscire. Mi manca l’aria se non lo faccio subito. Non parlo con nessuno, inforco le cuffie, accendo l’mp3 e filo via. Guardo solo la strada che calpesto, con il cappuccio in testa e il vestito, sempre dello stesso tipo e dello stesso colore. Una tunica bianca. Ma non è una divisa. Non metto altro perché così sto comodo. Niente nemmeno sul seno. Non mi nascondo, infondo non ho nulla da vergognarmi. Sono un ibrido, mezzo uomo, mezzo donna, mezzo niente e tanto per gradire mi trucco pure. Un po’ per non farmi riconoscere e un po’ per creare ancora più confusione. Di solito passo attraverso il parco. E’ un posto strano, ma ci fai l’abitudine. L’ombra degli alberi sporca la polvere che calpesti, i tossici sul prato assomigliano a ciuffi d’erba moscia. Gli spacciatori si confondono tra la gente e non sai di chi fidarti. Li fuori è una specie di bordello. Per questo non do confidenza a nessuno. Voglio solo arrivare a casa, aprire la porta e sedermi sul divano rattoppato, fregandomene di tutto.

Provo un misto di ribrezzo e ammirazione se mi guardo allo specchio. Lo faccio sempre prima di coricarmi per dormire; è un modo per dirmi buonanotte … o buongiorno. E’ complicato sapere cosa dirsi quando ci si sveglia la prossima notte. Stamattina per esempio mentre stavo tornando a casa, da dietro un albero un uomo anziano e ingobbito mi ha fermato, chiedendomi degli spiccioli. Le sue mani erano magre e canute, puzzava di whisky e di stantio. Ha guardato il mio trucco e poi mi ha detto: “Chi sei tu, un uomo, una donna, un frocio o un clown. Magari sei la morte che ha voglia di scherzare?“ Io ho affrettato il passo sperando di lasciarmelo dietro, ma lui mi stava attaccato supplicandomi. Non c'era verso di scrollarselo di dosso. “Portami con te, portami con te …” continuava a dire. Io allargavo le braccia cercando di allontanarlo. L’ho fatto una due, tre volte finché il vecchio non si è offeso e ha iniziato a insultarmi. “Brutta checca del cazzo, hai paura di me?” Poi ha preso qualche sasso e me lo ha tirato addosso, prima di crollare in ginocchio e scoppiare a piangere mugolando: “Signora morte, ti prego. Portami con te. Signora morte non lasciarmi qui ancora.” Il suo era un tono disperato, come se chiamasse la mamma. Come se quel vecchio all’improvviso fosse diventato un bambino che voleva un grembo su cui rifugiarsi. Il tempo a volte ha un andamento schifoso. Ci allontana e ci avvicina da noi stessi senza una logica e non ne hai il controllo. Il tempo a volte ha un senso dell’umorismo perfido.

Non riuscivo più a levarmelo dalla testa il tono supplichevole di quel vecchio. “Ma non avrei potuto aiutarlo nemmeno se avessi voluto.” Ho detto a Mrs. Effe una volta a casa. “Beh una cosa avresti potuto farla, a dire il vero.” Mi ha risposto.
Fergie
è la mia amica, la mia famiglia e forse anche il mio amore. Mrs. Effe è un’ex prostituta, indossa sempre una parrucca rosso acceso, un top rosa con i lustrini, una minigonna blu elettrico e niente scarpe. E’ perennemente esausta e sotto il trucco sbavato c’è un viso meraviglioso. Forse dovrei dire c’era, non ho mai approfondito la cosa. Per farlo dovrei chiederle di struccarsi, ma non ho il coraggio di farlo. Fergie è timida, il che è un controsenso per un prostituta, ma è timida da morire. Evito per questo. Come si nasconde dietro gli occhi lei, nessuno riesce a farlo. Sorride poco ma quando lo fa è uno spettacolo meraviglioso e angosciante insieme. Sembra disegnata con pennarelli colorati dalle tonalità sfuggenti e accese. Ma non le piove mai dentro, mai. Scrive parole su un taccuino e lascia i foglietti in giro per casa. Sono sempre per me, credo sia il suo modo per dimostrarmi il suo amore anche se quando me lo dice non sa nemmeno di cosa parla. “Avresti potuto ucciderlo.” Mi dice. Poi mentre mi sorride imita il gesto del taglio della gola con un coltello e subito dopo scolla le spalle.

A lei non interessa il mio nome o la mia identità. Se ne frega se sono Jesus o Maggy. Fa l’amore con me quando ne ho voglia senza chiedermi nulla. “L’amore perfetto è quello che prescinde dal sesso” mi disse quando le chiesi chi glielo faceva fare a stare con me. In cambio non vuole quasi nulla. “Regalami un sorriso.” Mi scrive su un foglietto quando mi vede troppo triste. E io lo faccio.
“Hai un sorriso bellissimo”
invece me lo dice. Non me lo scrive. Ogni volta con tono sollevato, come chi ritorna a casa dopo un lungo viaggio. Magari vede la differenza fra le mie labbra e le mani per esempio. Che non sanno niente una dell’altra, come se fossero di due persone diverse. O degli occhi che vanno sempre a rifugiarsi da qualche parte, ogni volta che inizio a pensare.

Non è che le mani di Mrs. Effe siano un granché. Magre e ossute, consumate e logore. Parlano di lei allo stesso modo degli occhi annacquati e silenziosi. Parlano anche di quella mattina di metà giugno. Fergie dormiva supina con una mano sulla pancia e una sotto il cuscino, respirava piano. Il viso era appena abbozzato come solo il sonno riesce a disegnare. Non so perché, ma quella mattina decisi di posarle il cuscino sul viso e spingere verso il basso. Lei ebbe un solo sussulto, quello del risveglio. Non iniziò ad agitarsi o a divincolarsi per ribellarsi alla violenza. Si lasciò andare, come se volesse agevolare il servizio. Gli sarebbe andato bene anche così, pensai. Morire e basta. Allora all’ultimo tolsi il cuscino dalla faccia. La baciai senza farle riprendere fiato e la scopai senza chiederle il permesso. Lo feci con un vigore mai avuto prima. Alla fine mi disse “Grazie.” Avrei dovuto risponderle qualcosa tipo “Grazie per cosa. Ti ho quasi ammazzato e poi ti ho scopato senza riguardo.” Invece non ho detto nulla, ho fatto un mezzo sorriso e nient’altro. A volte la terra mi sembra un inferno solo perché sono convinto che debba essere un paradiso e faccio di tutto perché gli assomigli.

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