ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 05/03/2009

IL CALVARIO NON E' ZONA RESIDENZIALE

Post n°1600 pubblicato il 05 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto. La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglimento della croce, è accettazione della volontà del Padre. E’ una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vitaSe è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano,dobbiamo fare attenzione al pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo chiama “l’evacuazione della croce” la croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive, ma noi vi giriamo al largo, come quando,si sfiora una città passando dalla tangenziale. L’automobile corre sulla strada, si da un’occhiata ai campanili, ma tutto finisce lì.

Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. E’ una esperienza che hai gia fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piantati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre.

Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche schiodare tutti coloro che vi sono appesi,noi oggi siamo chiamati a un compito dalla portata storica senza precedenti: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi” (Is 58,6). Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il “belvedere” delle nostre contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale,ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.

L’accoglienza porta diritto al cuore del crocifisso. Dobbiamo accogliere il fratello come un dono,non come un rivale o un possibile concorrente. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome,contorni, o fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare chi abita di fronte a casa mia .

La riconciliazione verso i nostri nemici: noi dobbiamo assolutamente dare un aiuto al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti, stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo, porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto. E’ su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo e a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.

Purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica.

Al Golgota si va in corteo, pregando, lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme,dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe il tessuto di una comunione che,una volta lacerata,richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture
La croce, l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate, nel centro storico delle nostre memorie religiose, all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno. Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato!
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce,non solo quella di Gesù. Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consumala tua sofferenza, non si vedrà mai come suolo edificatorio.

C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: “Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo.

Un giorno, quando avrete finito di percorrere la mulattiera del Calvario e avrete sperimentato come Cristo l’agonia del patibolo, si squarceranno da cima a fondo i veli che avvolgono il tempio della storia e finalmente saprete che la vostra vita non è stata inutile. Che il vostro dolore ha alimentato l’economia sommersa della grazia. Che il vostro martirio non è stato un assurdo, ma a ingrossato il fiume della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra.

Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte. Ecco un grembo di donna che ti avvolge di tenerezza. Coraggio! Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno ” Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo

DON TONINO BELLO


 
 
 

LA POVERTA' DEI POVERI E' "COLPA" DEI RICCHI? ALCUNE COSE DA CHIARIRE

Post n°1599 pubblicato il 05 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La cause radicali della povertà non sono né la colonizzazione, né le multinazionali né l’egoismo dei Paesi ricchi. I ricchi del mondo hanno tante responsabilità e colpe, ma non quelle di essere stati la radice della povertà dei popoli poveri. Mi fa pena quando leggo su libri e riviste non "popoli poveri" ma "popoli impoveriti". E spiegano che, prima dell’incontro con la colonizzazione occidentale, ad esempio, i popoli africani o gli indios amazzonici, vivevano una vita naturale, felice, pacifica, solidale. E’ la visione dell’Illuminismo, che non ammetteva il peccato originale: l’uomo nasce buono, la società lo rende cattivo. Ma è una visione ideologica del tutto contraria alla realtà storica. Basta leggere le biografie dei primi missionari che sono venuti a contatto con popoli anche prima dell’intervento coloniale. Ad esempio i missionari del Pime sono andati nella Birmania orientale nel 1868, quando la colonizzazione inglese, in quelle regioni abitate da popolazioni tribali che vivevano all’età della pietra (non conoscevano il ferro), è iniziata verso la fine del secolo XIX. Ebbene, i missionari scrivevano che le tribù erano continuamente in guerra fra di loro e descrivono la loro vita grama dicendo che era una vita disumana, poco al di sopra di quella degli animali. Altro che "impoveriti"! Anzi i tribali della Birmania si sono evoluti proprio con l’azione dei missionari, che hanno portato la pace, insegnato a fare e coltivare le risaie (prima erano nomadi), aperto le strade e le scuole, portato la medicina moderna, studiato le loro lingue e fatto vocabolari e raccolte di loro proverbi e racconti e via dicendo. I "no global" avevano coniato, nel 2001 al G8 di Genova, uno slogan efficace "noi siamo ricchi perché loro sono poveri e loro sono poveri perché noi siamo ricchi". Dico sempre che non si aiutano i poveri raccontando bugie. Come l’altro slogan: "Il 10% della popolazione mondiale consuma il 90% delle risorse ed il 90% degli uomini consumano solo il 10% delle risorse disponibili". Io dico che bisogna correggere così: "il 10% degli uomini producono e consumano il 90% delle risorse, il 90% degli uomini producono e consumano il 10% delle risorse". Il problema in radice è che prima bisogna produrre e poi consumare: si consuma se si produce e nei Paesi poveri non si produce abbastanza per mantenere il ritmo di crescita della popolazione. L’Africa è passata da 300 milioni di abitanti nel 1960 a più di 800 di oggi, ma l’agricoltura di base è ancora in buona parte ferma all’epoca coloniale. Alcuni "catastrofisti" dicono che ci sono troppi uomini per poter vincere la fame. Non è vero, il Giappone che ha 342 abitanti per chilometro quadrato (l’Italia 194), una delle densità più alte del mondo e in un Paese tutto montagnoso (è coltivabile solo il 19% del territorio) e dal clima infelice, è autosufficiente nel cibo di base che consuma, cioè il riso. La fame non deriva dai troppi uomini e donne, ma dal fatto che non sono istruiti, educati a produrre di più, oltre al livello della pura sussistenza. Ma questo in Occidente non si vuol sentire perché chiama in causa la nostra vera responsabilità, che non è di non aiutare maggiormente e finanziariamente i Paesi poveri e di non pagare con giustizia le loro materie prime (anche questo, ma non anzitutto questo), bensì di non contribuire ad educarli per diventare autosufficienti, prima di tutto nella produzione di cibo e poi di tutto il resto. Il distacco fra ricchi e poveri nel mondo non è anzitutto un fatto economico, ma culturale-politico. Mentre in Europa, dopo secoli di lento cammino verso l’industria e l’agricoltura moderna, siamo giunti ad avere le tecniche, le capacità, la mentalità imprenditoriale e lavorativa (oltre alla democrazia e al libero mercato), molti popoli del Sud del mondo sono passati, alla fine dell’Ottocento o inizio del Novecento, dalla preistoria (cioè assenza di lingue scritte) alla modernità in un secolo, con due guerre mondiali in mezzo! In situazioni come questa è superfluo dire che loro hanno grandi valori umani, che sono giovani e intelligenti e simpatici, pieni di buona volontà. Queste cose le so benissimo anch’io, ma il balzo culturale dalla preistoria al computer e all’aereo si può assorbire da parte di alcuni in senso tecnico, non in senso culturale. Le masse popolari usano bene il telefonino e la televisione, ma la testa, le abitudini, i costumi di vita, la mentalità di fondo sono rimasti più o meno al tempo passato. Le fedi religiose e le culture non si cambiano rapidamente, ci vuole tempo. Questo è il ritornello che più sento ripetere dai missionari che vivono una vita con i popoli poveri, ma che in Occidente ancora non si capisce o non si vuol ammettere. Nel dicembre 2007 sono stato in Camerun, uno dei Paesi modello dell’Africa a sud del Sahara: esteso una volta e mezzo l’Italia, con 18 milioni di abitanti, politicamente stabile, senza guerre o guerre intestine, con una passabile forma di democrazia e libertà di stampa. Crescita economica annuale dal 2 al3% del Pil. Reddito medio pro-capite: 800 dollari l’anno, quando in molti Paesi africani è dai 100 ai 300 dollari (l’Italia è poco sotto i 30.000 dollari). Debito estero quasi inesistente, poche decine di milioni. Tutto bene, ma il fatto è che il Camerun produce poco o nulla in campo industriale. Non ha una vera industria, ma solo cementifici, produzione tessile e dello zucchero, di birra e di sigarette, sgranatura del cotone, poco altro. Importa quasi tutti i beni moderni, comprese lampadine e frigoriferi, esportando ricchezze naturali (petrolio, minerali vari, legno) e prodotti agricoli. E una crescita economica senza industria non è possibile. Il secondo cancro del Camerun è la corruzione a livello politico e amministrativo, statale. Nella lista dei Paesi più corrotti del mondo stilata dall’Onu, il Camerun è sempre nei primi posti; nel 2007 era addirittura il primo. Non è colpa specifica di questo o quel capo di Stato o amministratore, è un costume che deriva dalla mentalità: quando uno ha il potere deve pensare anzitutto alla sua etnia, tribù, villaggio, famiglia. E’ un cancro diffusissimo in tutta l’Africa – e non solo in essa, naturalmente – che laggiù frena moltissimo lo sviluppo, perchè i sussidi e i doni che si ricevono dall’Onu o da altri Stati finiscono quasi tutti nelle tasche appunto di chi detiene il potere. E, ripeto, questo vale per i governanti ad alto livello e per gli amministratori, i militari, eccetera, ma anche per chi ha qualsiasi potere sugli altri. Ci sono eccezioni certo, ma il malcostume di cui tutti parlano è questo. Queste sono le vere radici del sottosviluppo. Lo sviluppo è un fatto non solo tecnico ed economico, ma parte anzitutto dalla cultura, dall’istruzione: è opera dell’uomo e non dei soldi, parte dall’uomo e non dalle macchine, nasce in un popolo attraverso l’educazione, la quale però è un processo lungo, paziente, che non si fa con interventi d’emergenza, ma vivendo assieme ad un popolo. Noi occidentali facciamo pochissimo per l’educazione dei popoli poveri, anche perché non si parla mai di valori culturali e religiosi che portano allo sviluppo: è un tema ignorato dai mass media e dagli ‘esperti’ occidentali, che privilegiano gli aiuti economici e tecnici. - ZENIT - * Padre Gheddo, già direttore di "Mondo e Missione" e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell’Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E’ autore di oltre 70 libri.

 
 
 

LA LITURGIA DEVE SOTTOLINEARE IL SIGNIFICATO DELLA QUARESIMA. MEDJUGORJE? MESSAGGI CORRETTI E ATTENDIBILI

Post n°1598 pubblicato il 05 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La Quaresima ormai è cominciata. Liturgicamente la si considera come uno dei " tempi forti" della Chiesa. Anche le celebrazioni liturgiche si adeguano e mostrano, con segni tangibili e concreti, questa peculiarità del tempo quaresimale. Ne abbiamo parlato con l’apprezzato teologo Alessandro Toniolo, profondo conoscitore di liturgia, coautore con il professor Manlio Sodi, per la Lev della edizione relativa al messale in latino del 1962. Professor Toniolo, quali sono i segni esteriori della Quaresima?: " intanto vorrei sottolineare una cosa, ovvero che la liturgia non è separata dalla teologia. Dunque anche la celebrazione delle Sante Messe prende spunto dal carattere e dalla natura teologica della Quaresima che è un tempo di purificazione e conversione del cuore, ed anche di penitenza". I paramenti sono viola, ci illustri la ragione : " nella scala dei colori, il viola ha proprio significato penitenziale. Nel ...... tempo, ha sostituito il nero che magari aveva un aspetto più severo ed anche macabro, o di lutto. Ma il viola appunto tende a valorizzare il senso di penitenza". Non si canta il Gloria: " mi sembra anche logico, se il Gloria manifesta ed evidenzia la festa, la gioia la celebrazione,la liturgia si adegua e lo sospende, con la pausa di san Giuseppe, sino al Sabato della resurrezione, del resto neppure si dice l’alleluja alla proclamazione del Vangelo,esattamente perché l’alleluja ha natura festosa". Insomma, tutta la celebrazione è improntata a maggior sobrietà: " proprio perché la Quaresima è tempi di conversione ed anche di pentimento, la liturgia chiede celebrazioni adeguate a queste caratteristiche. Canti penitenziali o comunque non eccessivamente festosi o chiassosi, pochi fiori per adornare l’altare". Limitazione o quasi per la celebrazione dei matrimoni, per quale ragione: " la Chiesa suggerisce di non celebrare matrimoni in Quaresima in relazione con arcaiche abitudini tutte italiane o del sud Europa, che terminavano con banchetti straboccanti e per nulla sintonizzati su quel sentimento di penitenza, continenza e sobrietà che invece richiede la Quaresima". Che invito rivolge, dunque?: " che le celebrazioni liturgiche siano composte e sobrie, orientate al giusto valore e significato della Quaresima, che va vissuta in ogni momento con decoro e senso della conversione". Ultimamente lei è stato in visita a Medjugorje, qual è la opinione del teologo, su Medjugorje?: " io ci vado dal 1985. Dal punto di vista pastorale non ho alcun dubbio: vi è un fiorire di vocazioni ed anche un elevato numero di conversioni. Quindi siamo davanti ad un fenomeno che produce frutti ed effetti positivi". Ma la Chiesa sul tema è molto prudente: " comprendo ed apprezzo la prudenza. Ma con la stessa lealtà, dico che la Chiesa non ha rigettato Medjugorje, semmai ne ha sospeso solo il giudizio, e basta". Per quale ragione secondo lei il Vescovo di Mostar è contrario?: " credo che lo sia più per ragioni di diritto canonico, ovvero la disputa con i francescani, che per reali motivi teologici". Infine come trova i messaggi di Medjugorje, da teologo?: " assolutamente corretti e attendibili, come lo sono i veggenti, dei quali varie consulenze hanno scartato patologie o sintomi di malattia mentale". - Bruno Volpe - Pontifex -

 
 
 

UN TESTAMENTO PER LA VITA

Post n°1597 pubblicato il 05 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Francesco Miceli testimonia come l’amore cura e lenisce il dolore e la sofferenza. Aveva 41 anni, sposato con due figli, un buon lavoro, aveva acquistato una casa e pensava di continuare a vivere serenamente. Ma un giorno accadde il dramma: un incidente stradale, è gravissimo, si salva ma a quali condizioni? Completamente paralizzato, riesce a muovere solo la testa, il midollo è lesionato all’altezza della cervicale. Ha difficoltà a respirare e quindi vive solo grazie ad uno stimolatore diaframmatico. La sua condizione è molto peggiore di quella di Eluana. Eppure, dopo la disperazione Francesco Miceli ha ritrovato il senso della vita. Non ha cercato più la morte, non si è più lamentato della sua condizione, non ha più pensato solo a sé. Ha cominciato a dedicarsi alla consolazione degli altri. Ha offerto la sua testimonianza per suscitare speranza. Ha scoperto la fede e con essa ha capito di poter fornire aiuto a chi dispera. Francesco ha raccontato che nei primi sei mesi dopo l’incidente non ha pensato altro che a come suicidarsi. Era accecato dalla disperazione e vedeva solo quello che aveva perso. Finché un giorno non ha incontrato Paolo Rosini, un conoscente della moglie, un diacono permanente di Modena. Paolo era venuto a trovarlo all’ospedale ma Francesco non aveva voglia di parlare, voleva solo morire. Paolo però gli disse che la vita non era solo sua, che gli era stata data e non poteva disporne a piacimento. E poi, se era ancora vivo, di certo il Signore aveva un disegno. Francesco rimuginò quelle parole per tutta la notte, ed il giorno dopo chiese a Paolo di aiutarlo a fare un cammino di fede. Prima dell’incidente Francesco al massimo andava a messa con i bambini, ma la religione non incideva per nulla nella sua vita. Da allora la vita di Francesco è cambiata radicalmente, è diventata segno e testimonianza di speranza. Francesco ha scoperto quel Dio Buono che non conosceva. Ha scoperto di essere parte di un progetto, ha capito che la sua vita ha un significato per tante altre persone. Lui che pensava di essere consolato ora è compatito, ora consola gli altri. La sua forza è quello di una persona che ha trovato attraverso le fede una ragione di vita profonda. E intorno a lui si sono raccolti tanti amici che lo vanno a trovare, a chiedergli consiglio, a raccontargli di sofferenze e dolori, ma anche di gioie, gente che va a rinnovarsi nella speranza. "L’infermità non mi ha tolto la libertà di amare", ha scritto nel libro "Correre … sulle ali del pensiero". Centotrentasei pagine che raccolgono le poesie, i racconti e le lettere di Francesco, tutti fatti reali e concreti, corredati anche da altre testimonianze di amici e persone che hanno conosciuto e condiviso la sua vicenda ma anche di persone che hanno avuto esperienze simili. Il libro testimonia quanto le persone disabili o rese disabili da incidenti possano contribuire a rafforzare l’attaccamento alla vita, l’amore gratuito tra le persone che cura più di qualsiasi altra medicina. Insomma oggi Francesco è convinto che Dio lo abbia tenuto in vita per portare e comunicare speranza alle persone toccate dalla sofferenza. Francesco ha sofferto moltissimo per come si è conclusa la vicenda di Eluana Englaro. Per questo il 22 febbraio ha deciso di stilare un testamento per la vita. Un segno per tutti coloro che amano la vita e rifiutano ogni forma di eutanasia. ZENIT è stata autorizzata a pubblicarlo:

"Sono un tetraplegico a causa di un incidente automobilistico fatto il 17 novembre 1998. Vivo e respiro grazie ad uno stimolatore iaframmatico collegato al nervo frenico (…). Tenendo conto che qualora all’improvviso si dovesse fermare lo stimolatore mi resterebbero 4 minuti di vita e quindi andrei in coma con grosse lesioni cerebrali e dopo 13-15 minuti subentrerebbe la morte perché non potrei respirare dato che la mia lesione è altissima (cervicale C1-C2, quindi oltre alla tetraplegia ho anche i polmoni paralizzati), sono costretto a vivere nell’istituto di riabilitazione di Montecatone nel quale, all’interno, è presente un reparto di terapia intensiva dove potrebbero prestare soccorso al mio coma collegandomi ad un respiratore ed alimentandomi con la nutrizione enterale tramite un sondino nasogastrico. Alla presenza di due testimoni, dichiaro quanto segue: ‘non permetto a nessuno, né il mio procuratore e/o procuratrice o un mio eventuale amministratore di sostegno di chiedere o autorizzare il famoso ‘distacco della spina’ e la chiusura del sondino d’alimentazione. Una sola cosa chiedo ai sanitari: non riversare sul mio corpo l’ormai famoso accanimento terapeutico ma usare le parole del loro giuramento e, secondo scienza e coscienza, fare tutto il possibile per tenermi in vita perché essendo io molto religioso dirò il mio volere: il Signore mi ha dato la vita e il Signore me la dovrà togliere". [Per poter avere il libro "Correre … sulle ali del pensiero", basta scrivere all’autore all’ospedale di Montecatone, via Montecatone 37, 40026 Imola, tel. 0542/632811]

 
 
 

IL VANGELO DEL GIORNO: CHIEDETE E VI SARA' DATO

Post n°1596 pubblicato il 05 Marzo 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Dal Vangelo secondo Matteo. In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe?
Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti".

Medita:

Non è umiliante per noi qualificarci nei confronti di Dio come dei poveri mendicanti; non possiamo fare a meno infatti di confrontare la sua onnipotenza con la nostra estrema povertà. Guidati dalla fede, lo riconosciamo come nostro creatore e Signore, come la fonte inesauribile di ogni bene e come norma sicura per ogni nostro comportamento. La nostra esperienza di credenti ci convince che egli è Padre e che ci ama di un amore senza limiti, reso visibile dalla persona di Cristo. La sua presenza tra noi, la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione, hanno reso evidente la misericordia divina per noi. È da questi principi che traiamo i motivi della nostra fiducia e della nostra preghiera verso il buon Dio. Siamo certo che egli ci ascolta e si prende cura di ciascuno di noi con amore di Padre. Gesù viene a confermarci in questa nostra fede: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». Vuole inculcarci innanzitutto la perseveranza nella preghiera e non farla diventare soltanto grida isolate in momenti di emergenza e di estremo bisogno. Dobbiamo pregare sempre, senza stancarci mai, nella consapevolezza che tutta la nostra vita può e deve diventare preghiera, sia quando sediamo comodamente nei banchi di chiesa, sia quando siamo intenti a svolgere le nostre diverse mansioni. Alla preghiera delle labbra e del cuore fa seguito quella delle nostre braccia, ancora protese verso Lui. Possiamo e dobbiamo chiedere «qualsiasi cosa» al Signore, ma non dobbiamo mai dimenticarci che egli, sapientemente vuole darci solo «cose buone», proprio come farebbe un buon padre terreno nei confronti dei propri figli. Nella preghiera ci deve perciò accompagnare costantemente un umile fiducia e un legittimo sospetto che forse non siamo sempre in grado di chiedere cose buone secondo la visione di Dio e di conseguenza, può capitare, e capita che la risposta di Dio alle nostre preghiere non coincida con le nostre richieste. Del resto il primo motivo della nostra preghiera è sempre quello che Gesù stesso ci ha suggerito nel Padre Nostro, che si compia cioè in noi la santissima volontà di Dio. Lo stesso Gesù nel dramma della sua agonia nel Getsemani così invoca il Padre: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Quel «come vuoi tu», riferito a Dio, dovrebbe risuonare fiduciosamente al termine di ogni nostra richiesta, anche la più urgente!

Preghiamo:

Ti sono grato, Signore, per questa tua Parola che mi invita ad avere fiducia in Dio. Tu conosci bene il suo cuore di Padre e il suo desiderio di dare a tutti i suoi figli cose buone. Per questo insisti perché non mi stanchi di chiedere, di cercare presso di lui le cose buone di cui ha bisogno la mia vita. Insegnami, Signore, ad avere fiducia come te quando prego il Padre, ad attendere con pazienza che nella mia vita si compiano le promesse di Dio, ad accogliere le cose buone che il Padre intende offrirmi. Donami un cuore filiale, che chiede senza stancarsi; un cuore fraterno che prega per gli altri, per chi soffre, perché trovi la serenità; per chi non crede, perché trovi la fede; per chi è chiamato da te, perché sappia dirti di sì. Maestro, insegnami a pregare. Amen. -

*Io sono Amore*-

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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