ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 02/12/2009

MESSAGGIO DELLA REGINA DELLA PACE A MIRJANA DEL 2 DICEMBRE 2009

Post n°2729 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

"Cari figli, in questo tempo di preparazione e di gioiosa attesa, Io come Madre desidero indicarvi ciò che è più importante: la vostra anima. Può nascere in essa mio Figlio? E’ purificata con l’amore dalla menzogna, dalla superbia, dall’odio e dalla malvagità? La vostra anima ama al di sopra di tutto Dio come Padre e il fratello in Cristo? Io vi indico la strada che innalzerà la vostra anima all’unione completa con mio Figlio. Desidero che mio Figlio nasca in voi. Che gioia per me, la Madre. Vi ringrazio!"

 
 
 

"IL MIO DRAMMA CON LA RU486: STAVO MORENDO, HO PERSO TUTTO".

Post n°2728 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi test fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... Invece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un "medicinale" che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio». «Ero partita dall’Università della Calabria per il "Progetto Erasmus" – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire. La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...». La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre. Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù. Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà». Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...». Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo». - Lucia Bellaspiga e Enzo Gabrieli - Avvenire -

 
 
 

I FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE E LA DEVOZIONE A GESÙ BAMBINO

Post n°2727 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
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Giovanni Battista de La Salle (1651-1719) fu da giovane sacerdote cappellano delle Suore di Gesù Bambino e probabilmente fu in quell’ambiente che acquisì la devozione al Santissimo Bambin Gesù che lo accompagnerà per tutta la sua vita. Nel 1680, quando pensava di stabilire l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, consacrò al Bambin Gesù il nascente Istituto, i fanciulli ad esso affidati e i maestri destinati a condurre gli alunni lungo la strada della fede cristiana. Il de La Salle volle anche che la prima cappella dei Fratelli fosse dedicata a Gesù Bambino ed ai suoi religiosi diceva: “Se non rassomiglierete al Bambino Gesù, mediante la povertà e l’umiltà, sarete poco conosciuti e non potrete avere molto favore dai vostri allievi. Non sarete né amati né compresi dai poveri, , né vi si potrà attribuire il titolo di salvatore. Voi condurrete i vostri allievi a Dio vivendo nella povertà conformemente ad essi e al nato Salvatore” (Meditazioni per le domeniche e le principali feste dell’anno 86,3). Ed ancora ricordava ai suoi religiosi insegnanti: “La meditazione dell’infanzia di nostro Signore deve suscitare in noi orrore al peccato e fermo proposito di fuggirlo. Per distruggerlo, egli si è assoggettato a indicibili sofferenze: si è umiliato e, come scrive san Paolo, “umiliò se stesso prendendo la forma di schiavo” (Fil 2, 7). Oseremo ancora commettere il peccato, sapendo che, come dice san Giovanni, “Egli apparve per togliere i peccati e per disfare le opere del demonio” (Gv 3, 5-8)? Oseremo far rivivere quanto il Signore ha voluto distruggere? I nostri peccati lo hanno indotto a farsi piccolo, ad assumere uno stato di povertà e di umiliazione: l’umanità peccatrice gli ha fatto versare tante lacrime fin dalla sua nascita” (Meditazioni per le domeniche e le principali feste dell’anno 88, 2). Il de La Salle volle che il primo “Piccolo Noviziato” fosse solennemente consacrato a Gesù Bambino e subito pensò di mettere nell’Oratorio una bella statua del Santissimo Bambino Gesù affinché i “Piccoli Novizi” fossero sotto la sua celeste protezione; nel giorno del Santo Natale di quell’anno pronunziò per primo la formula di consacrazione che i giovani aspiranti Fratelli, per turno, fecero altrettanto. Il santo ricordava ai Fratelli che “il primo frutto che deve produrre in noi la meditazione della Natività di nostro Signore è l’orrore e l’avversione ad ogni peccato, vedendo quanto il Figlio di Dio si è abbassato e umiliato, annichilendo se stesso, facendosi bambino per distruggere il peccato. Il secondo frutto è la grande fiducia di ottenere da Dio il perdono dei nostri peccati a patto che ne abbiamo vero dolore, con fermo proposito di non peccare mai più con deliberata volontà. Il terzo frutto è un amore grande per nostro Signore ed una tenera devozione verso di Lui, considerandolo come Dio Bambino, nato per amore nostro. Il quarto, un sommo disprezzo delle ricchezze e degli onori, vedendo il Figlio di Dio nascere in questo mondo così povero e umiliato. Il quinto, infine, il sommo desiderio di imitarlo in tutte le virtù delle quali ci da l’esempio fin dalla nascita” (Esplicazione del metodo di orazione 3, 4). Inoltre il Santo istitutore delle Scuole Cristiane prescrisse ai Fratelli la recita delle Litanie del Santissimo Bambino Gesù, al mattino dopo colazione, al fine di disporsi bene all’insegnamento scolastico per ricevere dal Dio Bambino il suo spirito e comunicarlo così ai loro alunni. Infine il de La Salle volendo dare ai Fratelli un modello di meditazione, svolto secondo il suo metodo, non trovò nessun soggetto migliore della “Santa Infanzia di nostro Signore”. Alla sua morte i Superiori generali dell’Istituto seguirono le sue stesse direttive ed esortarono i Fratelli a nutrire una grande devozione al Santissimo Bambin Gesù. Nel 1870, il Fratello Agatone fece dipingere dal noto pittore Le Maître un grosso quadro di Gesù Bambino per la Cappella della Comunità di Melun, allora Casa madre, con lo scopo di ottenere dal Signore una speciale protezione per tutto l’Istituto delle Scuole Cristiane in quei tempi particolarmente difficili. Il Fratello Irlide compose egli stesso un Atto di Consacrazione al Santo Bambino Gesù che rinnovava ogni anno nel giorno di Natale durante tutto il tempo del suo generalato. Il Fratello Joseph con la Circolare del 1° gennaio 1894 incoraggiò la devozione verso Gesù Bambino, sorgente di benedizioni per ogni singolo Fratello e per gli alunni affidati alle sue cure. Il Capitolo generale del 1897 stabilì che il Calendario religioso liturgico dei Fratelli riportasse al 25 di ogni mese: “Comunione in onore del Santissimo bambino Gesù per il nostro Istituto e per i nostri alunni”. Il Fratello generale Gabriel-Marie alla chiusura del Capitolo generale del 1901 volle solennemente consacrare a Gesù Bambino l’Istituto ed i membri che lo rappresentavano, cioè i Fratelli deputati al capitolo; tale Atto di Consacrazione volle inserito nel Manuale di Pietà affinché ogni anno, nel giorno di Natale, fosse rinnovato da tutte le Comunità dei Fratelli. Nel 1905 il Fratel Evagrio, Visitatore provinciale del Distretto di Gerusalemme, con il permesso dei Superiori maggiori organizzò a Betlemme l’Associazione di Gesù Bambino che fu, in seguito, approvata dalla Santa Sede e divenne una Arciconfraternita ed in numerose Scuole di Fratelli si crearono varie associazioni di Gesù Bambino aggregate a quella di Betlemme. Sempre per merito suo venne fondato un Bollettino dal titolo “L’Eco di Betlemme” che era collegato al santuario costruito dai Fratelli sulla collina più elevata di Betlemme. Ancor oggi, nel XXI secolo, i Fratelli Lasalliani ed i loro collaboratori laici sono sempre i benemeriti nel diffondere questa devozione a Gesù Bambino in tutta Chiesa Cattolica.  don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 

EUTANASIA: TE LA DO IO LA MEDICINA

Post n°2726 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Lo presentano come la punta di diamante della sanità inglese, ma il protocollo Liverpool di cure palliative apre all’eutanasia. E abbatte i costi dell’assistenza (insieme ai malati terminali). E in italia sinistre e finiani, chiedono un biotestamento più "britannico".

Ha quasi 81 anni, si chiama Hazel Fenton e doveva essere morta dieci mesi fa, quando i medici del Conquest Hospital di Hastings le hanno negato per dodici giorni di seguito l’alimentazione artificiale e sospeso la terapia antibiotica, certi che alla signora, ricoverata per una polmonite acuta, restavano pochi giorni da vivere. La forte fibra e l’insistenza della figlia l’hanno salvata: le cure sono state riprese e la donna oggi vive, il Times ha raccontato la sua storia. Un destino differente è toccato alla sorella della signora Marie Mcmanus Muir, londinese: ricoverata in una casa di cura a causa della sclerosi multipla di cui soffriva da anni, dopo alcuni mesi di declino fisico è stata privata di cibo e acqua e sottoposta a infusione permanente di morfina nonostante la contrarietà della sorella; dopo una settimana è deceduta. A metà strada fra i due il caso del 95enne Eric Troake, ricoverato al Frimley Park Hospital nel Surrey dopo un ictus. La figlia, Rosemary Munkenbeck, ha denunciato sui giornali che a suo padre è stata interrotta per cinque giorni la somministrazione di tutti i fluidi, medicinali e per idratazione; è sua convinzione che sia stato fatto con l’intenzione di accelerarne la dipartita. «Abbiamo fatto le nostre rimostranze e questo a loro non piace», ha detto la figlia. «Dicono che mia sorella ed io siamo crudeli perché ci aggrappiamo alla vita di nostro padre. Ma quest’uomo ha diritto a vivere: non ha una malattia in fase terminale, ha solo patito un ictus. Vogliamo proteggerlo. Abbiamo la sensazione che abbiano deciso fin dall’inizio di "scartarlo" perché ha 95 anni». In Inghilterra i casi veri o presunti, tentati o riusciti di eutanasia come i tre sopra citati vanno sotto un nome e una sigla che per alcuni incarnano l’eccellenza della sanità pubblica britannica, per molti altri rivelano la congenita inclinazione delle autorità per la neo-lingua orwelliana: Lcp, Liverpool Care Pathway, ovvero Percorso di cura di Liverpool. Si tratta di un modello di assistenza che indica le cure che un paziente dovrebbe ricevere negli ultimi giorni di vita per soffrire il meno possibile. È stato creato dal Marie Curie Palliative Care Institute di Liverpool, che lo definisce (traduzione letterale) «un percorso di cura integrata utilizzato al capezzale per incrementare un’elevata qualità del morente nelle ultime ore e giorni di vita». Dal 2004 è raccomandato dal National Institute for Health and Clinical Excellence (Nice), l’authority nazionale per la qualità dell’assistenza sanitaria. Infatti è stato adottato da 300 ospedali, 130 ospizi e 560 case di cura. Descritto in poche parole, l’Lcp consiste nel sospendere la somministrazione intravena di alimentazione e medicinali al paziente e sostituirla con un’infusione permanente di morfina. Per i parenti di molti ricoverati anziani e non solo anziani l’Lcp è una sorta di sentenza di morte pronunciata da medici e infermieri che non hanno più voglia di occuparsi del loro caro o che sono stati incaricati di realizzare risparmi sulle spese sanitarie. Patricia Cooksley, una lettrice del Daily Telegraph ex infermiera che ha visto morire uno zio 81enne malato di cancro dopo 11 giorni di disidratazione e somministrazione continua di morfina, in una lettera al quotidiano l’ha definita "licenza di uccidere".
Finché a lamentarsi erano singoli cittadini, la cosa è passata sempre in cavalleria. Ma all’inizio del settembre scorso a incendiare il dibattito ci ha pensato un gruppetto di esperti comprendente docenti universitari di geriatria, consulenti di medicina palliativa e anestesisti che ha scritto al Daily Telegraph una lettera collettiva per denunciare diagnosi di morte imminente errate ed eccessiva fretta da parte di strutture ospedaliere e case di cura nel sospingere i pazienti a compiere passi senza ritorno sul Percorso di Liverpool. «Un approccio modulistico alla gestione della morte sta provocando una crisi nazionale nell’assistenza», scrivono i firmatari dell’appello. «Se si barrano tutte le caselle giuste del Liverpool Care Pathway, il risultato inevitabile del trattamento è la morte. Un’ondata di scontento si sta diffondendo fra gli amici e i familiari che osservano come siano negati fluidi e cibo ai pazienti. Vengono applicati microinfusori per la somministrazione continua di sedazione terminale, senza preoccuparsi del fatto che la diagnosi potrebbe essere errata». Stavolta le reazioni ci sono state. Un portavoce del ministero della Sanità ha precisato: «L’Lpc è uno strumento istituzionale e raccomandato che fornisce agli operatori un protocollo basato su dati di fatto per aiutarli a fornire assistenza di alta qualità alle persone che sono alla fine della loro vita. Stiamo investendo 286 milioni di sterline per il biennio 2010/11 per sostenere l’implementazione della End of Life Care Strategy, per migliorare l’assistenza di fine vita a tutti i pazienti adulti».

Morire col minor disagio possibile
Secondo Sharon Cusack, un’operatrice familiare con l’Lpc, esso «raccomanda che il riconoscimento che una persona sta per morire non sia la decisione di una persona, ma dell’intera équipe responsabile dell’assistenza al paziente e della famiglia. Se ci sono obiezioni, l’Lpc non dovrebbe essere imposto. Le condizioni del paziente devono essere monitorate continuamente. Se si percepisce che le sue condizioni sono migliorate, i trattamenti precedenti devono essere reintrodotti. L’Lcp non è uno strumento per l’eutanasia, ma per aiutare le persone a morire con dignità». Concetti simili a quelli espressi dal portavoce del Frimley Park Hospital dopo le proteste della signora Munkenbeck: «A volte trattare attivamente un paziente che sta morendo può prolungare senza necessità le sue sofferenze. La decisione di sospendere un trattamento è presa solo dopo attenta considerazione da parte di un team multidisciplinare di clinici, consultando la famiglia e, quando è possibile, il paziente. Prendersi cura di lui può implicare l’applicazione del Liverpool Care Pathway. Questo protocollo permette ai pazienti di affrontare il morire con il minor disagio e con la maggiore dignità possibili, nel mentre che ricevono appropriata assistenza personalizzata».
Belle parole, ma molti parenti di malati indirizzati sull’Lcp dalle équipe di ospedali e ricoveri smentiscono vigorosamente che le cose vadano in questo modo. A ciò si aggiunge il fatto che nessuno fino a questo momento ha potuto confutare un dato che i firmatari dell’appello apparso sul Daily Telegraph hanno evidenziato, e cioè che nel biennio 2007/08 il 16,5 per cento di tutti i decessi nel Regno Unito è avvenuto dopo sedazione terminale: una percentuale doppia di quella registrata in paesi come Belgio e Olanda, dove esistono legislazioni che autorizzano l’eutanasia. «Mia madre sarebbe stata lasciata morire di fame e di disidratazione. È davvero un sotterfugio per l’eutanasia legalizzata degli anziani all’interno dell’Nhs (il servizio sanitario nazionale britannico, ndr)», protesta la figlia della signora Hazel Fenton, cui un giovane medico subito dopo il ricovero della madre avrebbe detto che costei sarebbe stata avviata all’Lcp, mentre un’infermiera le avrebbe chiesto «Che cosa vuole fare col corpo di sua madre?». «La decisione di sospendere alimentazione e fluidi a mio fratello, che al momento era perfettamente lucido, e di somministrargli morfina con un microinfusore ha compromesso la funzionalità renale e causato una dolorosa infezione dei reni con febbre alta», scrive un lettore del Daily Telegraph che si firma Alex. «Mia sorella ed io siamo rimasti scandalizzati per le condizioni in cui mio fratello è stato ridotto a causa delle inadeguate spiegazioni date a lui e a sua moglie intorno alle cure palliative. Non essendo i suoi parenti più stretti, siamo stati esclusi dalle discussioni sul suo trattamento. Circa sei mesi prima avevamo accudito un altro fratello che è morto di cancro in Francia. Il trattamento nei suoi e nei nostri confronti è stato illuminato e umano. Costui è morto con dignità, assistito con gentilezza e superbe cure mediche, l’altro ha sopportato tre settimane di dolore e stress terribili a causa di quello che adesso abbiamo capito essere il Liverpool Care Pathway». «Mio suocero è stato "assassinato" dall’Nhs», scrive un certo Peter. «L’Lpc è stato istigato da un giovane dottore e le flebo di diamorfina e midazolam erano già state iniziate al momento in cui è stata consultata la famiglia. Da notare che nelle stesse note del dottore è stato registrato che mio suocero non presentava dolore né stress psicologico; l’unico scopo delle flebo non poteva essere che quello di accelerare il suo decesso». «La settimana scorsa a mio padre è stato applicato l’Lpc», scrive una certa Katie. «Era entrato in ospedale per le fratture di una caduta, ha sviluppato una polmonite ed è stato portato in rianimazione. Quando si è ripreso i medici gli hanno tolto la ventilazione e lo hanno riportato in reparto. Una volta lì hanno immediatamente deciso di applicare l’Lpc, gli hanno sospeso tutti i fluidi, alimentazione e medicinali. Il protocollo non è stato discusso con noi della famiglia prima di essere avviato. Dopo due giorni papà è morto». Ci sono casi che ricordano quello della signora Hazel Fenton. «A mia zia, che ha 75 anni, è stato diagnosticato un tumore allo stomaco dopo mesi di dolori», scrive Laura R. «È stata mandata a casa accompagnata da due infermiere che dovevano istruire mia cugina a rendere "confortevoli" i suoi ultimi giorni: niente cibo e acqua, ma solo la medicazione che avevano portato per lei. Mia cugina le ha cacciate di casa e quelle andandosene le hanno detto: "Non vivrà più di una settimana". Sono passati quattro mesi!». Dietro a tutto questo pare stagliarsi una politica di riduzione dei costi della sanità, ispirata dal Nice, l’authority citata all’inizio. Lo scorso agosto l’istituto ha emesso una direttiva nella quale si spiega che i pazienti non devono attendersi che l’Nhs salvi la loro vita se ciò costa troppo.

Risorse limitate, cure "razionalizzate"
Leggere per credere: «Quando le risorse per la sanità sono limitate, applicare la norma del "dovere di salvataggio" (cercare di salvare una persona precisa la cui vita è in pericolo) può significare che altre persone non potranno avere il trattamento o l’assistenza di cui hanno bisogno. Il Nice riconosce che quando prende decisioni dovrebbe considerare le necessità dei pazienti presenti e futuri dell’Nhs, che sono anonimi e non dispongono necessariamente di persone che difendano la loro causa». La base formale per discriminare gli anziani rispetto ai giovani nell’erogazione di cure è gettata, così come per usare l’Lcp come la grande scopa con cui fare piazza pulita dei pazienti che costano troppo. D’altra parte il Nice in questi anni ha definito il limite di spesa pubblica sanitaria al quale ogni paziente avrebbe diritto sulla base dei Qaly, "quality adjusted life years", cioè l’aspettativa di anni di vita in buona salute. Attualmente il Nice indica un tetto di 25-30 mila sterline di spesa sanitaria per anno di vita in buona salute presumibilmente guadagnato col trattamento. Ovvio che per i malati gravi e anziani, che di anni in buona salute ne possono guadagnare ben pochi, non restino che le briciole. Questa politica è criticata anche dai produttori di tecnologia medica in quanto scoraggerebbe l’innovazione, ma soprattutto dai pazienti, che si sentono sempre più sacrificati alle esigenze del bilancio sanitario. Altro che la regina: Dio salvi i poveri malati inglesi. - Rodolfo Casadei - Tempi -

 
 
 

E' VERO: LA CHIESA E' CAPACE DI "INGERENZA"

Post n°2725 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
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L’intervento di Papa Wojtyla nella contesa per il canale di Beagle s’ispirava allo stesso principio enunciato da Pio XII nel 1939: «Nulla si perde con la pace, tutto può andare perduto con la guerra».

Venticinque anni fa l’opera di mediazione della Santa Sede riuscì a scongiurare un conflitto incombente tra Cile ed Argentina che si contendevano il possesso del canale di Beagle, all’estremità meridionale del continente latino-americano. Una vertenza secolare, riesplosa tra l’ultimo scorcio degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta sull’onda del virulento nazionalismo fomentato dalle dittature militari dei due Paesi. C’era un clima esagitato nel Cono Sud dove nel 1982 sarebbe scoppiata la guerra delle Falkland-Malvinas tra la Gran Bretagna della signora Thatcher e l’Argentina del generale Videla, mentre il Cile di Pinochet tifava apertamente per gli inglesi. A Buenos Aires e a Santiago si mobilitavano gli eserciti. Lo scontro armato sembrava inevitabile. Fu evitato grazie al coraggio di Giovanni Paolo II che volle intromettersi nella faccenda e inviò nelle due capitali un suo emissario, nonostante il rischio di un clamoroso fallimento. Dopo cinque anni di serrate trattative la difficile mediazione della Santa Sede fu coronata da successo ed il 29 novembre del 1984 l’Argentina, nel frattempo tornata alla democrazia, ed il Cile, con Pinochet ancora al potere, firmavano uno storico accordo di pace. L’anniversario è stato celebrato ieri in Vaticano dalle due presidentesse Bachelet e Kirchner alla presenza di Benedetto XVI che ha ricordato «l’instancabile lavoro» a favore della pace condotto da Giovanni Paolo II. E certamente, se il suo intervento non cadde nel vuoto fu perché seppe risvegliare quella comune vocazione di fraternità e di amicizia tra due popoli di tradizione cattolica. Fu un grande esempio di come il dialogo paziente e la volontà sincera di pace possono averla vinta sulla tentazione di ricorrere alla forza. Da quel giorno i rapporti tra Cile ed Argentina sono costantemente migliorati e oggi sono sfociati in una collaborazione strategica di grande valore per tutta l’America Latina. È un fatto che riempie di legittimo orgoglio quei Paesi. E dovrebbe far riflettere noi europei. L’intervento di Papa Wojtyla nella contesa per il canale di Beagle s’ispirava allo stesso principio enunciato da Pio XII nel 1939: «Nulla si perde con la pace, tutto può andare perduto con la guerra». Ma, come sappiamo, non venne ascoltato. Anzi fu deriso e minacciato in nome di ideologie follemente totalitarie e radicalmente anti-cristiane. La vecchia Europa tradiva le propri origini e s’avviava alla catastrofe. È risalita dall’abisso dove giacciono decine di milioni di morti ed è rinata nella pace e nella prosperità. Si è data perfino una bandiera con 12 stelle che richiamano la simbologia mariana. Ma ancora oggi l’Unione Europea non intende riconoscere le proprie radici cristiane, mentre una recente sentenza di una Corte che fa capo al Consiglio d’Europa vorrebbe bandire il crocifisso dai luoghi pubblici. E da più parti non si perde occasione d’accusare la Chiesa di volersi intromettere nella vita dei popoli e degli Stati. Già, nella nostra vecchia Europa una "ingerenza" così sfacciata come quella compiuta da Papa Wojtyla in America Latina avrebbe fatto gridare allo scandalo. Ma, vale la pena ripeterlo: la Santa Sede riuscì a evitare una guerra. Fu la prima concreta affermazione di quella «ingerenza umanitaria» che Giovanni Paolo II avrebbe poi rivendicato apertamente in tante altre situazioni di conflitto. È per questo che «il Papa della libertà» è stato anche il Papa che si è battuto instancabilmente per la giustizia e per la pace, sfidando piccoli dittatori e grandi leader mondiali. - donboscoland -

 
 
 

E IL GEMELLO DOWN NON VALE UN EURO?

Post n°2724 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Leggo l’agenzia di stampa e, nonostante mi reputi abituata a sentirne di tutti i colori, riesco ancora a sbalordire. Qualcosa nella ragionevolezza si è inceppato.

La donna che nel giugno 2007, incinta di due gemelli, per un errore nell’aborto selettivo all’ospedale San Paolo di Milano subì una interruzione di gravidanza sul feto sano invece che su quello affetto da sindrome di Down ha chiesto un risarcimento di un milione di euro. Ad avanzare la richiesta di condanna al risarcimento dei tre medici imputati nel processo in corso a Milano è stato il legale della donna e del marito, l’avvocato Davide Toscani. "Si tratta della perdita di una vita umana - ha spiegato il legale -, dell’impossibilità di questa coppia di avere in futuro una nuova gravidanza per il trauma subito". Nessuna condanna o risarcimento, ha aggiunto Toscani, "darà mai ristoro a questa coppia".

Intanto dico subito che non si è trattato della perdita di una vita umana, ma di due. Infatti i bambini abortiti sono due. A meno di voler sostenere che una, quella sana, era vita umana e l’altra, quella malata, no. Cioè a dire che un malato non è un appartenente alla famiglia umana. E tutti i bimbi affetti da sindrome di Down non sono umani? A meno di voler sostenere che una aveva diritto di nascere e l’altra no. Dunque i portatori di trisomia 21 che sono al mondo ci stanno da clandestini? Ci sono ma non dovrebbero esserci? Per loro il foglio di rimpatrio significa rispedirli al mittente, cioè a quel caso o a quel Dio che li ha imbarcati sulla fragile imbarcazione di un utero materno? Sono sbalordita: all’epoca della notizia mi ero commossa, avevo pensato al dolore di una mamma e di un papà che immaginavo sconvolti per aver toccato con mano quanto la pretesa del figlio perfetto si fosse tramutata in tragedia reale. Sarà difficile percepire l’ingiustizia di un aborto selettivo quando tutto "va bene", quando poi stringi tra le braccia un figlio come tu lo volevi, lo coccoli, lo nutri, lo proteggi e lui ti guarda e ti sorride come solo un figlio fa. La mente allontana il pensiero del costo che hai dovuto pagare (anzi, siamo franchi: che qualcun altro ha pagato). Salvo poi lasciarsi come Pollicino le briciole di un dolore che sa di rimorso per tutta la vita. Ma questa è una altra storia, vergognosamente negata da chi vede nell’aborto un problema tecnico da risolvere con una operazione o due pilloline. Ma in un caso come questo, no. La realtà mette di fronte all’evidenza: erano uguali ma uno era voluto, l’altro no. Non posso credere che la reazione sia: accidenti a quei medici che hanno sbagliato! Tutta colpa loro! Loro si saranno anche sbagliati, e forse potevano essere ancora più scrupolosi, ma la medicina non è a prova di errore, anche se non c’è scritto in questi termini nei moduli di consenso informato. A prova di errore dovrebbe essere l’amore: per andare sul sicuro si ama tutti, è così che non ci si sbaglia. Nessun risarcimento sarà adeguato alla perdita di una vita umana? E quale risarcimento è un milione di euro? Una cifra "simbolica"? Ma cinquecento per due o un milione per una, perché l’altra non valeva niente? Caspita, come galoppa l’inflazione. - Chiara Mantovani - piuvoce.net -

 

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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