ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 14/12/2009

VIVERE L’AVVENTO:LA VEGLIA

Post n°2794 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La veglia fa parte dell’Avvento. Possiamo percepire la venuta di Dio solamente se smettiamo di dormire se deponiamo le illusioni che ci siamo fatti della vita. L’Avvento non è una fuga in sogni ad occhi aperti, ma è destarsi alla realtà. La realtà vera è Dio, ma, poiché noi per di più dormiamo e vagabondiamo in vari sogni ad occhi aperti, non prendiamo Dio sul serio, quando egli giorno dopo giorno giunge a noi, quando la sua presenza di salvezza e di amore ci avviluppa da ogni parti. Eppure, non si tratta solamente di star svegli, ma anche del vigilare come atteggiamento di fondo. La parola ‘vegliare’ significa esattamente ‘essere fresco, vispo’. Chi è vigile, vive coscientemente ogni attimo, totalmente presente, è vivo. Della vigilanza fa parte la sobrietà. Sveglio è chi non si assopisce, né con droghe né con il consumo né con la distrazione. Nel tempo di Avvento molti si stordiscono con il nervosismo che diffondono. Credono di dover sbrigare tutte le lettere di scusa che durante l’anno hanno rimandato. Contro questo stordimento puoi tentare di abituarti consapevolmente ad un altro atteggiamento, durante il tempo d’Avvento: l’atteggiamento della sobrietà e della veglia. Se tu passeggi sveglio tra le zone animate, chiuse al traffico, della tua città, capirai quanto sia inutile l’affanno di molti, capirai quanti con il loro nervosismo scappino dalla realtà. L’attenzione e la veglia ti insegneranno che cosa è veramente importante a Natale. Nel tempo di Avvento sentiremo continuamente le esortazioni bibliche: dobbiamo vegliare come le vergini sagge o come il servo fedele, poiché non sappiamo quando verrà il Signore. li Signore può venire come uno sposo nella notte, invitandoci alla festa. Se dormiamo, perdiamo la festa della nostra umanizzazione, la festa dell’unione con Dio. li Signore, però, può anche venire come un ladro nella notte: «Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa» (Mt 24,43). Nella notte dobbiamo vegliare, poiché il Signore non annuncia la sua venuta. Viene segretamente, come un ladro. Solamente se noi siamo svegli e attendiamo ogni attimo la sua venuta, possiamo accoglierlo a casa nostra. La veglia non è l’atteggiamento di fondo solamente dell’ Avvento. Anche a Natale sentiamo parlare dei pastori che stavano svegli di notte. Poiché erano svegli, venne loro annunciata la lieta notizia della nascita del Messia. Anche una veglia non prevista è buona: se di notte ti capita di svegliarti e non riesci più a dormire, non difenderti, ma cogli al volo questa opportunità per vigilare in piena coscienza. Stai in ascolto della notte, del silenzio, del tuo cuore! Cosa ti vuol dire Dio? Quale angelo ti manda per annunciarti una buona, notizia? Forse capirai perché i monaci hanno prediletto le veglie notturne. Infatti, proprio quando stiamo svegli di notte, ci facciamo sensibili al mistero di Dio che ci vuole afferrare. - A. Grun - donboscoland -

 
 
 

VIVERE L’AVVENTO: LA NOSTALGIA

Post n°2793 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L’avvento è il tempo della nostalgia. La nostalgia è il desiderio colmo di amore di quanto riempie nel profondo il nostro cuore e lo può rendere felice. Ha sempre a che fare con l’amore, con il cuore che con la nostalgia si dilata. Per Agostino la nostalgia è la condizione di fondo dell’essere umano. L’essere umano, per sua natura, ha nostalgia di Dio. Non è sempre evidente, ma in ogni desiderio terreno risuona questa nostalgia estrema di Dio. Se io cerco appassionatamente di raggiungere il successo, di avere qualcosa, di essere ricco, di essere famoso, la mia nostalgia va molto al di là di quanto posso raggiungere. Non c’è nessun riconoscimento capace di colmare fino in fondo la mia nostalgia. Non c’è nessun possesso capace di donarmi pace piena. In tutto io ho ultimamente nostalgia di Dio. Lo ha bene espresso Agostino nella formula classica: «Il mio cuore è inquieto finché non trova pace in te, mio Dio». Chi rimuove la sua nostalgia, si ammala di qualche mania. La mania è sempre una nostalgia rimossa. L’Avvento sarebbe il tempo nel quale mutare le nostre manie nuovamente in nostalgie. Ognuno di noi ha delle manie, delle dipendenze interiori. Non si tratta solamente di manie che saltano subito agli occhi come l’ alcolismo, la dipendenza dalle droghe o dalle medicine, la mania di lavorare sempre, la mania di avere relazioni o del sesso, la mania del gioco. Non appena noi diventiamo dipendenti da un comportamento o da una certa cosa, si forma in noi una struttura maniacale. Non possiamo più stare senza quel comportamento o senza quella precisa cosa. Il trucco starebbe tutto nell’ osservare esattamente le nostre manie e scoprire in esse la nostalgia che ci mostra che il nostro desiderio rimanda al di là del quotidiano e del banale. In ultimo vi si trova la nostalgia di una patria e di sicurezza, la nostalgia di un paradiso perduto. Questo, però, non è uno sviluppo erroneo o insano, non è espressione di immaturità o una regressione. Indica piuttosto qualcos’ altro, cioè l’intuizione che noi possiamo metterci sul campo di battaglia della vita solamente se stiamo bene con noi stessi e se percepiamo Dio come il mistero che abita in noi. Se durante il tempo d’Avvento entro in contatto con la mia nostalgia, posso riconciliarmi con la mediocrità della mia vita. Posso prendere distacco dalle illusioni che io mi sono fatto della mia vita, per esempio dall’illusione di poter corrispondere fino in fondo alla mia vocazione, o che la mia famiglia possa vivere sempre in completa armonia, oppure che io abbia sempre successo e sia amato da tutti. Molti si attengo- no ostinatamente a queste illusioni. Se la vita non le porta a compimento, le rimuovono per poter figurare la propria vita con colori rosei. Se raccontano qualcosa ad altri, spesso esagerano. Descrivono la realtà in modo più coinvolgente di come essa realmente è. Tutto in loro è qualcosa di particolare. Quando parlano di sé, raccontano sempre quanto sia straordinario il processo che avviene in loro. Vogliono nascondere così il fatto di trovarsi in una profonda crisi. Serrano gli occhi di fronte alla banalità della loro vita e sostengono l’illusione della propria particolarità con una descrizione esagerata della propria situazione. La mia nostalgia ha effetti positivi. Mi impedisce di avere aspettative esagerate dalla mia vita e di schiacciare gli altri con le mie voglie. Posso riconciliarmi con il mio quotidiano così come è. Posso accogliere le persone così come esse sono…. La nostalgia mi porta al di là di questo mondo. Vi è in me un qualcosa al di là del mondo, un qualcosa sul quale il mondo non ha potere. La nostalgia mi libera, quindi, dalla prigionia di questo mondo. Accetto che nessuno possa colmare la mia nostalgia più profonda. A partire da un simile atteggiamento posso andare incontro alle persone in piena libertà, senza fissarle in una immagine statica con eccessive attese. La nostalgia mi rende possibile un’apertura senza pregiudizi di fronte agli altri. In tal mo- do posso godere dell’incontro e della relazione, senza voler sempre avere qualcosa di più. L’altro mi rimanda a Dio, senza dover essere Dio per me. È di Saint-Exupéry la frase: «Se tu vuoi costruire una nave, insegna agli uomini la nostalgia del mare aperto». Nella nostalgia si trova, quindi, una forza che ci rende capaci di affrontare in modo concreto le utopie. La nostalgia ha spronato le persone del medioevo a costruire cattedrali altissime. Quest’arte di costruire è nata dalla nostalgia. La musica vive di nostalgia. Apre una finestra sul cielo. Ogni arte è, alla fin fine, il venire alla luce dell’eterno, di quanto non è mai stato, espressione della nostalgia del totalmente Altro. La nostalgia ha la forza di frantumare il cemento, di scassinare i carri armati che noi ci siamo costruiti a nostra difesa per essere insensibili di fronte all’altro mondo. La nostalgia apre il nostro piccolo mondo. Mantiene aperto l’orizzonte che sta al di sopra di noi. La nostalgia non si chiude ai fatti spaventosi della vita. Ci pone sulla traccia della speranza, che ci fa guardare in faccia la realtà, senza dubitarne. Domandati sempre, durante il tempo d’Avvento, quale sia veramente la tua più profonda nostalgia. Se entri in contatto con la tua nostalgia, il tuo cuore si allargherà. Ti sentirai libero, anche se tutto intorno a te ti sta stretto. Credi alla tua nostalgia di patria e di sicurezza, di vera vita e di amore autentico. Quando canti i canti di Avvento o ascolti i testi del profeta Isaia, lascia che le parole penetrino profondamente in te, in modo che siano esse a stimolare la tua nostalgia. La tua nostalgia amplierà la tua vita e ti condurrà alla fonte della vita che in te sgorga e non si lascerà limitare alla ristrettezza delle pietre che si trovano intorno a te. - A. Grun - donboscoland -

 
 
 

VIVERE L’AVVENTO: L'ATTESA

Post n°2792 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L’attesa è l’atteggiamento al quale ci spinge in ogni momento il tempo dell’ Avvento: «siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa» (Lc 12,36). L’attesa è carica di tensione. C’è qualcosa da aspettare: il ritorno del signore dalle nozze. Oppure, lo sposo stesso, come viene descritto nella parabola delle vergini i sagge e stolte (cfr. Mt 25,1ss.). L’attesa fa nascere nella persona una tensione positiva. Chi attende, non uccide il tempo nella noia. È orientato ad una meta. La meta dell’ attesa è una festa, la festa della nostra umanizzazione, dell’autorealizzazione, del nostro entrare in unione con Dio, ma non siamo solamente noi ad attendere: anche Dio attende noi. Attende che noi ci apriamo alla vita e all’amore. La parola ‘attesa, stare in guardia’ indica propriamente stare nella ‘torre di guardia’. La ‘torre di guardia’ è il luogo dell’osservazione, delle vigilie. Attendere indica, quindi, stare attenti se qualcuno viene, osservare tutt’intorno quanto SI avvicina a noi. Attendere  significa anche fare attenzione, preoccuparsi di qualcosa, come il ‘guardiano’ osserva ogni singola persona e le presta attenzione. Attendere provoca questi due atteggiamenti in noi: l’ampiezza dello sguardo e l’attenzione all’attimo, a quanto stiamo vivendo, alle persone con le quali stiamo parlando. L’attesa allarga il cuore. Quando attendo, io sento che non basto a me stesso. Ognuno di noi lo sa, quando aspetta un amico o un’ amica. Si guarda ogni secondo l’orologio, per vedere se non sia ancora ora. Si è tesi all’attimo nel quale l’amico o l’amica scenderà dal treno o suonerà alla porta di casa. Grande è la nostra delusione,. se di fronte alla porta di casa si trova qualcun altro. L’attesa fa nascere in noi una tensione eccitante. Sentiamo di non bastare a noi stessi. Nell’attesa usciamo da noi stessi verso colui che cerca il nostro cuore, che lo fa battere con più forza, colmando la nostra attesa. Oggi molti non riescono più ad attendere. Vivono il tempo di Avvento non come tempo di attesa, ma già come un Natale  passato. Alcuni celebrano sempre Natale, invece di mantenere sveglia l’attenzione e di protendere il proprio cuore nell’attesa del mistero del Natale. I bambini non sanno attendere che la madre dica la preghiera prima di mangiare. Devono mangiare subito, se c’è qualcosa sul tavolo. Non aspettano che la cioccolata sia messa nella borsa della spesa. Devono mangiarla ancor prima che sia pagata alla cassa del super mercato. La gente in fila davanti alla cassa o allo sportello della stazione non riesce ad aspettare. Si spinge. In tutto questo c’è qualcosa di importante: chi non sa aspettare non svilupperà mai un forte io. Dovrà per forza soddisfare ogni bisogno immediatamente, ma diventerà allora completamente dipendente da qualsiasi bisogno. L’attesa ci rende liberi dentro. Se sappiamo aspettare finché il nostro bisogno sia soddisfatto, siamo in grado di sopportare , anche la tensione che l’attesa suscita in noi. Il nostro cuore si allarga e ci dona, inoltre, la sensazione che la nostra vita non è banale. Lo vediamo quando aspettiamo un qualcosa di misterioso, poiché vi attendiamo il compimento della nostra nostalgia più profonda. Allora riconosciamo che noi siamo più di quanto ci possiamo dare. L’attesa ci mostra che il nostro vero essere deve esserci donato. Forse riesci a ricordarti le sensazioni di quando hai aspettato qualcosa. Hai invitato degli amici per una festa. Se qualcuno arriva troppo presto, questo disturba la tensione della tua attesa. Ti va perso qual- cosa. Il gusto dell’attesa, l’anticipazione della gioia della festa insieme, i preparativi per la festa si inceppano. L’attenzione, che fa parte dell’ attesa, è saltata a pié pari. Non puoi badare al tuo cuore, con tutte le aspettative e i desideri che vi nascono. Se però al tempo fissato non c’è ancora nessuno, anche in quel caso tu sei deluso. In quel caso l’arco dell’ attesa è teso oltre misura. Vengono idee come: «Non mi vogliono bene. Non sono di nessun valore per loro. Con me possono fare questo. Per loro ci sono cose più importanti di me». Che cosa spegne la tensione dell’attesa? Come ti senti, quando attendi la venuta di una persona che ami? Entra un qualcosa di nuovo nella tua vita. È come ricevére un dono. Provi gioia al pensiero di quella persona. Ti senti vivo. Crescono in te sentimenti forti. Eppure non solo tu attendi. Tu stesso sei atteso. Come ti senti, quando altri ti aspettano, quando Dio ti attende? Gli altri hanno aspettative su di te. Le aspettative possono limitarti, ma, se nessuno si aspetta più niente da te, tu ti senti superfluo. Il tempo dell’ Avvento ti invita ad allargare nell’ attesa il tuo cuore e ad alzarti in piedi, perché sei atteso. Tu ne vali la pena. Molti ti aspettano. Dio ti aspetta, perché tu viva una vita vera.
Forse in ogni attesa tu senti un qualcosa, delle tue attese infantili per il Natale. Io riesco a ricordarmi ancora bene come noi bambini aspettassimo per la santa notte Gesù bambino, cioè la distribuzione dei doni. Era una tensione particolare. Andavamo a passeggiare con nostro padre nella notte, vedevamo ovunque nelle case brillare le luci. Poi dovevamo aspettare di sopra, nella camera da letto, finché non suonava la campana di Natale. Era un evento carico di mistero entrare nel salotto illuminato solamente dalle candele. Le impressioni infantili si stampano a fondo nell’anima. Anche più tardi ci sentivamo a nostro agio, parlando di questi sentimenti di un tempo. Probabilmente in ogni attesa vi è una traccia dell’attesa del Natale, l’intuizione che la nostra vita è più luminosa e sana per la venuta di una persona o di un evento. - A. Grun - donboscoland -

 
 
 

LE SCIOCCHEZZE DI CORRADO ANGIUS

Post n°2791 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La corazzata mediatica del quotidiano Repubblica continua a sfornare, tramite i suoi giornalisti, libri e libelli contro la Chiesa. Sembra la sentano come un dovere morale irrefrenabile. Dopo la presunta inchiesta di Curzio Maltese, La questua, zeppa di imprecisioni e maldicenze, sono venuti il poderoso e inconcludente La chiesa del no, del vaticanista Marco Politi (con prefazione di Emma Bonino), ed il pamphlet ottocentesco di Claudia Rendina, La santa casta della Chiesa, incentrato su tutte le malvagità vere o presunte di uomini di Chiesa e credenti in generale. Ma soprattutto, tra le opere più aggressive e più fortunate, quanto a pubblico, si segnalano i tre libri di Corrado Augias: Inchiesta su Gesù, Inchiesta sul Cristianesimo, e, infine, Disputa su Dio, dialogo a due voci con Vito Mancuso. Augias, è bene ricordarlo, è anche un presentatore televisivo, un volta noto al grande pubblico. Chiaramente ne approfitta, per gettarsi a capofitto anche in campi che non conosce e in cui ammette, en passant, di essere un vero dilettante. Questo non gli impedisce di proporre le sue opinioni, infondate, come verità certe e consolidate. In realtà, sempre, dietro le sue ricostruzioni, vi è l’ideologia, il pregiudizio di chi ritiene che l’uomo sia equiparabile ad un ammasso casuale di atomi, senza scopo e senza significato. Interessanti, per capire la sua visione antropologica, due dichiarazioni presenti in Disputa su Dio. Nella prima paragona l’anima ad un computer futuro, nulla più, «in grado di manifestare sentimenti e di elaborare in modo autonomo forme di autoapprendimento» (p. 123); nella seconda equipara l’uomo ad una scimmia, volendo desumerne la negazione dell’esistenza di Dio e dell’anima immortale: «Una volta, allo zoo, ho sentito fortissima la tentazione di abbracciare il povero corpo peloso, lubrico, inconsapevole di uno scimmione, e che lui abbracciasse me, annullando in tal gesto di goffa fraternità i milioni di anni che ci separano» (p. 242). Alla luce di queste affermazioni si capisce perché, al di là della sua produzione libraria, Augias dedichi numerose sue risposte su Repubblica, nella pagina dei lettori, ai temi della bioetica, difendendo a spada tratta aborto, contraccezione, eutanasia, Ru 486 ecc. con sordo rancore, con vero astio verso le posizioni dei cattolici, che per lui, poco democraticamente, sono sempre e immancabilmente «intollerabili». L’idea di Augias, infatti, è che in una democrazia non vi possano essere «principi non negoziabili», che non mutano, che non possono essere calpestati da chicchessia. Il perché non è dato capirlo, dal momento che tutta la storia del Novecento, con le sue guerre, i suoi lager, gulag e laogai, dimostra proprio quanto i valori intangibili siano indispensabili per impedire alla legge, all’auctoritas, di diventare tirannica, dittatoriale e prevaricatrice. Hitler, Lenin, Stalin, Mao, e Pol Pot, per intenderci, non riconoscevano valori non negoziabili, e neppure valori spirituali: il risultato si è visto. Augias, si diceva, contrasta il pensiero cattolico soprattutto nel campo della bioetica, deciso come è ad affermare l’assoluta possibilità di ogni singolo uomo di autodeterminarsi, come fosse il padrone della vita, propria e altrui. Su Repubblica del 10 marzo 2006 ebbe a scrivere al suo direttore: «sto per acquistare il kit della "Buona morte" in vendita a Bruxelles e credo anche in Olanda. Il prezzo è contenuto, meno di cento euro. C’è nel suicidio consapevole responsabilmente esercitato una traccia della virtù romana antica. Il desiderio di restare padroni di sé, di congedarsi dalla vita senza doversi vergognare». Tornando ai suoi libri sul cristianesimo, Augias propone le sue verità «inconfutabili»: Gesù non si sarebbe mai proclamato Dio e avrebbe creato una Chiesa, ma solo come «comunità messianica», «realtà escatologica», per il «giorno del giudizio»! Dopo simili, grottesche affermazioni, Augias — omettendo volutamente di parlare dei primi 300 anni in cui papi, sacerdoti e semplici fedeli vennero uccisi negli anfiteatri romani, bruciati nei giardini di Nerone, depredati dei loro beni e delle loro proprietà, pur di mantenere la loro fede — spiega che l’affermazione del cristianesimo fu dovuta essenzialmente all’intervento dell’imperatore Costantino. Costui, d’altra parte, si sarebbe convertito solamente per interesse, per fare della religione cattolica uno strumento di potere, trovando subito l’alleanza di una istituzione, la Chiesa appunto, sempre pronta a fare i suoi sporchi interessi politici ed economici. Come sempre Augias propone ogni sua stramberia come un dogma inconfutabile, avvalorato, a suo dire, dal giudizio unanime di non meglio precisati «storici». Da una parte cioè vi sarebbero i cattolici, sciocchi e creduloni, ancora disposti ad andare dietro alle favole delle conversioni, e dall’altra coloro che invece hanno il coraggio di guardare in faccia alla realtà. La verità è completamente un’altra. Chi vuole può limitarsi a sfogliare la storiografia attuale, in gran parte laica, su Costantino. Vedrà come si può vendere fumo, dare per accertate tesi che non lo sono affatto, con la più grande naturalezza. A sostenere la veridicità della conversione di Costatino, il graduale cammino di avvicinamento sincero che quest’uomo fece alla religione di Cristo, sono tutti i più grandi conoscitori di quell’epoca. Cito solo Guido Clemente, titolare della cattedra di storia romana all’università di Firenze, autore di una Guida alla storia romana (Mondadori); Augusto Fraschetti, docente di storia economica e sociale del mondo antico a La Sapienza di Roma, autore di La conversione. Da Roma a Roma cristiana (Laterza); Arnaldo Marcone docente di Storia romana all’Università di Udine e autore di Pagano e cristiano. Vita e morte di Costantino (Laterza); Robin Lane Fox, docente di Storia antica al New College di Oxford, autore di Pagani e cristiani (Laterza), e tantissimi altri titolati studiosi del mondo antico, come Andrea Alfoldi, Franchi de’ Cavalieri, Norman Baynes, Marta Sordi, Klaus Bringmann... Tra costoro segnalo solo, per mancanza di spazio, il grande archeologo Paul Veyne, di formazione laica e comunista. Veyne sostiene con sicurezza l’autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua «rivoluzione fu forse l’atto più audace mai commesso da un autocrate in spregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi». È innegabile, infatti, che all’epoca di questo imperatore, che pose fine alle persecuzioni dei cristiani, essi non erano per nulla appetibili come forza politica e sociale: costituivano solo il 5—10 % della popolazione, mentre Senato, aristocrazia romana ed esercito erano in stragrande maggioranza pagani. Il cristianesimo, continua Veyne, si impose allora «perché offriva qualcosa di diverso e nuovo», perché era «religione dell’amore», non certo grazie alla forza ed al potere. La stessa faciloneria e malizia con cui Augias liquida Costantino caratterizza anche la gran parte delle altre sue argomentazioni: quando afferma erroneamente che le opere di Darwin furono condannate dalla Chiesa; quando copia interi brani di E. O. Wilson, tratti dalla rete, senza citare la fonte e spacciandoli per suoi; quando definisce sbrigativamente Eluana un «cadavere vivente» quando colloca il filosofo Spinoza e Freud tra i grandi scienziati e racconta che la Chiesa li avrebbe scomunicati; quando spiega che la Chiesa, che ha creato l’istituzione ospedaliera, avrebbe ostacolato l’uso degli antidolorifici per un macabro gusto del dolore […]. Sempre, ogni sciocchezza è detta con l’aria di chi la sa lunga. E il lettore ingenuo non può che credere al volto noto e suadente...
Bibliografia: Francesco Agnoli, Perché non possiamo essere atei. Il fallimento dell’ideologia che ha rifiutato Dio, Piemme, 2009.
Paul Veyne, Quando l’Europa diventò cristiana, Garzanti, 2008.
Marco Fasol, I vangeli di Giuda, Fede & Cultura, 2007. - Francesco Agnoli -kattoliko/leggendanera

 

 
 
 

NOTIZIE DA MEDJUGORJE DI SUOR EMMANUEL

Post n°2790 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

12 dicembre 2009 - Festa della Madonna di Guadalupe - Cari figli di Medjugorje, lode a Gesù e Maria!

1 – Il 2 dicembre, Mirjana ha ricevuto la sua mensile apparizione a casa sua, alla presenza di poche persone e non alla Croce Blu, a causa della pioggia. Alla fine dell’apparizione ha condiviso il seguente messaggio:

"Cari figli, in questo tempo di preparazione e di gioiosa attesa, io come Madre, desidero indicarvi ciò che è più importante: la vostra anima. Può nascere in essa mio Figlio? E' purificata per mezzo dell'amore, dalla menzogna, dalla superbia, dall'odio e dalla malvagità? La vostra anima ama al di sopra di tutto Dio come Padre e ogni uomo come fratello in Cristo? Io vi indico la strada che innalzerà la vostra anima all'unione completa con mio Figlio. Desidero che mio Figlio nasca in voi. Che gioia sarebbe per me, come Madre. Vi ringrazio"

2 – Un importante compleanno! Una lettera immaginaria da Gesù Bambino, ha navigato attraverso internet in questi ultimi anni. Per farla breve, il Dio Bambino ha raccontato la sua gioia nel vedere tutte le amorevoli preparazioni nelle case in tutto il mondo, per celebrare la sua nascita: belle decorazioni, candele, ghirlande luccicanti, grandi alberi di Natale, magnifici regali, buonissimi pranzi di festa, vestiti eleganti, dolci melodie, sorprese di tutti i tipi… e così tanti ospiti! La cosa più bella di tutte, per amore Suo, fu che le famiglie creavano dei modelli in miniatura del luogo della sua nascita, costruendo delle piccole stalle per celebrare meglio questo giorno benedetto. Come erano tutti eccitati nei preparativi! Ma la storia finisce con un terribile colpo: quando alla fine, arriva la notte di Natale sulla terra, quando tutto è pronto e il felicissimo Bambino sta davanti alla porta delle case, allora con sua grande sorpresa Lui non è invitato! Nessuno Lo invita ad entrare! E’ completamente ignorato, addirittura disprezzato! Celebreranno il suo compleanno senza di Lui? Come è possibile? Si, Colui di cui si celebra il compleanno rimarrà fuori da solo al freddo, affamato e con il cuore spezzato. Aspettava con tanta gioia di essere in mezzo a loro! Aveva preparato tanti doni divini! Ma i festeggiamenti si svolgono senza di Lui…Senza di Lui? La Gospa ci dice oggi: "Desidero che mio Figlio nasca in voi. Che gioia per me, la Madre!". Nella nostra casa, quale posto diamo a Gesù? Il primo? L’ultimo? Nessun posto?

3 – Chi è mia madre? Rileggendo i suoi messaggi di Natale tra il 1981 e il 2008, vediamo quanto la Santa Vergine si augura che proprio i nostri cuori divengano la mangiatoia dove Gesù nasce. Nel fare questo, ci comunica qualcosa che le è proprio, perché è Lei che ha portato Gesù nel suo grembo! Ma non ci dice forse Gesù che anche noi possiamo essere per lui una madre? "Chi è mia madre… Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc. 3, 31-35). Più che mai in questo Natale, il Bambino Gesù cercherà delle madri, dei cuori materni!

La Gospa ha insegnato dei punti precisi ai giovani del gruppo di preghiera per preparare beni i cuori alla nascita di suo Figlio, e in questo Avvento anche noi possiano viverli a nostra volta!

Raccomanda di riunirci ogni giorno in famiglia per una condivisione sui bei testi del tempo di Avvento offerti dalla liturgia. Così ci aiutiamo scambievolmente a crescere attorno alla Parola di Dio. Ci immaginiamo facilmente che questa era la sua attività, alla sera dopo il lavoro, con Giuseppe e Gesù, nell’umile casa di Nazaret, là dove i loro cuori bruciavano forte a contatto con la Thora…

Chiede che visitiamo le persone sole, ricche o povere, per portare loro il calore di una presenza, di un sorriso, la consolazione di un gesto di affetto. Raccomandava in particolare le famiglie dove ci sono dei malati ed esortava a pregare per loro e con loro.

Invitava i giovani del gruppo di preghiera ad andare nelle famiglie povere per fare dei piccoli lavori, le pulizie, rendere la loro casa più bella e pulita (una vera mamma ebrea!) e a lasciar loro un piccolo segno concreto d’amore come del cibo, della frutta, un dolce fatto in casa, ecc.

Domandava a questi giovani di pregare di più per approfondire l’attesa del Bambino Gesù a Natale, (che Lei chiama il Giorno della Gioia) e di fare attenzione di riconciliarsi con tutti. Li invitava a trovare dei tempi di raccoglimento e dire a Gesù dal profondo del cuore: "Grazie"!

Ci invita a fare una novena prima di Natale (dal 16 al 24), a rinunciare a quello a cui siamo più attaccati (caffè, sigarette, alcool..ecc) ed a spegnere la televisione.

Infine, ci mette in guardia contro la tentazione di essere troppo presi dai preparativi materiali e dimenticare l’essenziale: la venuta di Gesù nel mondo e nei nostri cuori.

Queste istruzioni sono per tutti. Ci vengono dall’Alto e confermano così bene il Vangelo! Credo che se le seguiamo, la Gospa potrà veramente dirci a Natale: "Che gioia sarete per me, come Madre! Vi ringrazio". Non manchiamo di offrirle questo regalo di Natale ben meritato!

4 – S. Francesco di Assisi. Nel 1223, tre anni prima della sua morte, Francesco di Assisi voleva celebrare la notte di Natale con i suoi fratelli ed un gruppo di credenti. Poiché la sua cappella era troppo piccola, usò una grotta naturale a Greccio, in montagna. Ispirato da Dio, volle ricreare una vera mangiatoia come quella dove il nostro Salvatore era nato, la povera grotta di Betlemme, senza alcuna comodità, con la ‘attrezzatura’ di quell’epoca, una mangiatoia con il fieno, un vero bue ed un vero asino. Francesco forse non realizzò di aver inventato il primo Presepio vivente al mondo! Proprio lì, nel magnifico scenario del Monte Greccio, Francesco visse la solenne Messa di mezzanotte alla presenza di tutti gli abitanti della zona in stupore e ammirazione. Poco per volta, grazie a S. Francesco, nacque la tradizione della scena della Natività! Sarà adottata da milioni di Cristiani e diverrà una delle loro tradizioni più popolari. Uno dei biografi di S. Francesco,fratello Tommaso da Celano, che era presente quella notte, ne fa un indimenticabile racconto pieno di poesia. Un altro biografo S. Bonaventura, ci racconta: "L’uomo di Dio (san Francesco), stava davanti alla mangiatoia pieno di devozione e di pietà, in lacrime e raggiante di gioia; il Santo Vangelo fu cantato da Francesco, il levita di Cristo. Poi fece una predica alla gente presente sulla Natività del Re povero; ed essendo incapace di pronunciare il Suo Nome per la tenerezza del Suo Amore, lo chiamò il "Bebé" di Betlemme. Un certo valoroso uomo d’armi, Giovanni di Greccio, che, per amore di Cristo, aveva lasciato la carriera militare ed era diventato un caro amico di questo sant’uomo, affermò che vide un Bambino meravigliosamente bello, addormentato nella mangiatoia che il beato Padre Francesco abbracciava con ambedue le braccia, come se volesse svegliarlo dal sonno. Questa visione del devoto soldato è credibile, non solo per la santità di colui che aveva la scena, ma per i miracoli che successivamente confermarono questa verità. L’esempio di Francesco, anche solo dal punto di vista umano, è senza dubbio sufficiente a commuovere tutti i cuori che hanno poca fede in Cristo; e il fieno della mangiatoia, essendo stato conservato dalla gente presente, miracolosamente guarì tante malattie del bestiame e molte altre epidemie; così Dio ha glorificato il suo servo e confermando la grande efficacia delle sante preghiere di Francesco"

5 – L’anno sacerdotale. Ecco la nostra nuova preghiera per i sacerdoti da recitare per un mese:

"Oh Gesù ! Prego per i tuoi preti fedeli e ferventi, per i tuoi preti infedeli e tiepidi, per i tuoi preti che lavorano vicino o in lontane missioni, per i tuoi preti che sono tentati, per i tuoi preti che soffrono di solitudine e desolazione, per i tuoi preti giovani, per i tuoi preti anziani, per i tuoi preti malati, per i tuoi preti agonizzanti, per quelli che soffrono in purgatorio. Ma primaditutto di affido i sacerdoti che mi sono più cari, il prete che mi ha battezzato, quello che mi assolve dai miei peccati, i preti alle cui Messe ho assistito e che mi hanno dato il Tuo Corpo ed il Tuo Sangue nella Santa Comunione, i preti che mi hanno insegnato e istruito, incoraggiato e consigliato, tutti i preti verso i quali ho un debito di gratitudine, specialmente …..Oh Gesù, tienili tutti vicini al tuo cuore e dona loro abbondanti benedizioni nel tempo e nella eternità! Amen"

6 – Non dimenticare il tuo Santo per il 2010! E’ molto utile estrarre a sorte un Santo come compagno per il nuovo anno. Chi non desidererebbe questa celestiale preesenza al suo fianco, sempre disponibile ad aiutare?

O carissima Madre di Dio, ti preghiamo di venire e deporre il Tuo Divin Bambino nella oscura mangiatoia dei nostri cuori!

Les Enfants de Medjugorje 2009 - Suor Emmanuel +

 

 
 
 

SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Post n°2789 pubblicato il 14 Dicembre 2009 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

San Giovanni della Croce è, accanto a Santa Teresa d'Avila e Santa Teresina di Lisieux, uno dei più grandi santi carmelitani, mistico e dottore della Chiesa. Nato a Fontiveros nel 1542, frate carmelitano nel '63, rifondò l'Ordine dandogli la nuova forma di Ordine dei Carmelitani Scalzi (1568). Morì il 14 dicembre 1591. Venne canonizzato nel 1726, e dichiarato Dottore della Chiesa nel 1926. Nell’immaginario collettivo la grandezza di un uomo viene misurata e ammirata non solo per come ha saputo vivere la propria avventura umana, ma anche per il modo in cui ha affrontato le ore del supremo transito dagli affanni della vita mortale "all’altra riva" quella di Dio. Il momento della propria morte: quello delle scelte definitive, cioè della "crisi" finale, che fa paura a tutti. Giovanni della Croce sul letto di morte, ai suoi confratelli che gli leggevano le preghiere dei moribondi, chiese qualcosa di più "allegro": domandò espressamente qualche versetto del Cantico dei Cantici, un bellissimo e travolgente poema d’amore dell’Antico Testamento (che lui ben conosceva). Non andava forse incontro all’Amore? Allora ci voleva qualcosa di più appropriato. Dopo la lettura Giovanni finì il cammino terreno pregando le parole "Nelle tue mani, Signore, affido, il mio spirito". Cioè nelle mani di Dio Amore, per il quale era vissuto, aveva lavorato e sofferto, per quel Dio che lui aveva amato, predicato e cantato. Alcuni anni prima aveva scritto la poesia "Rompi la tela ormai al dolce incontro". Ecco che cosa era la morte per lui: un "dolce incontro" con Dio Amore. Aveva 49 anni tutti spesi per Dio. Giovanni nacque a Fontiveros non lontano da Avila nel 1542 in una famiglia ricca di amore ma povera di mezzi materiali. È interessante notare il perché di tutto questo. Il padre, Gonzalo de Yepes, apparteneva ad una nobile e ricca famiglia di Toledo. Nei suoi viaggi d’affari incontrò Caterina, una tessitrice, orfana, povera e bella. Innamoratosi di lei, la sposò, per amore e contro la dura volontà dei parenti, ricchi, che per questo lo diseredarono. Gonzalo così diventò poverissimo, tanto che è Caterina stessa ad accoglierlo nella sua casetta, e ad insegnargli il mestiere di tessitore. Il loro matrimonio d’amore fu allietato dalla nascita di tre figli. L’amore tra loro era grande, ma anche la povertà. Giovanni, il terzogenito, rimase presto orfano: Caterina dopo aver ricevuto uno sdegnoso rifiuto di aiuto dai parenti del marito, cercò lavoro a Medina del Campo, importante centro commerciale. Qui Giovanni fece i suoi primi studi e nello stesso tempo accettò di fare dei piccoli lavori: fu così apprendista sarto, falegname, intagliatore e pittore. Fece anche l’infermiere, sempre amorevole con i malati: in questo modo si pagava gli studi che contemporaneamente faceva nel collegio dei Gesuiti. Terminati brillantemente questi, nel 1563 entrò nell’Ordine Carmelitano: era ormai Fra Giovanni di San Mattia.

L’incontro con Teresa
Fu inviato a Salamanca, nella famosa Università. Qui Giovanni non solo crebbe nella conoscenza della filosofia e teologia, ma intensificò anche la propria vita spirituale, fatta di preghiera, di lunghe ore di contemplazione davanti al tabernacolo e di ascesi pratica. Si sentiva portato alla vita contemplativa ed è per questo che stava meditando di cambiare Ordine ed entrare tra i Certosini. Ma poco prima di essere ordinato sacerdote, ecco l’incontro provvidenziale con una affascinante monaca carmelitana di nome Teresa d’Avila che gli espose il proprio progetto di riforma dell’ordine maschile e gli chiese nello stesso tempo di soprassedere alla decisione di cambiare ordine. E questi accettò. Nel 1568, Teresa finalmente riuscì a fondare il primo convento maschile, a Duruelo, presso Avila. Giovanni (che da questo momento si chiamerà Giovanni della Croce) iniziava così una forma di vita religiosa, condividendo con Teresa l’ideale di riforma della vita carmelitana. Anzi fu lei stessa a cucirgli il primo saio di lana grezza. Nascevano così i Carmelitani Scalzi.

In prigione a pane e acqua
Nel 1572, Teresa venne nominata priora del grande convento di Avila (non riformato), con 130 monache, alcune delle quali erano poco sante e molto turbolente. E volle accanto a sé per la loro rieducazione spirituale proprio Giovanni della Croce: confessore e direttore spirituale delle monache. I risultati spirituali furono brillanti grazie all’opera congiunta dei due santi riformatori. Ma i rancori e l’opposizione di alcuni carmelitani non riformati si scatenarono contro Giovanni che Per ordine superiore, sotto l’accusa di essere un frate ribelle e disobbediente, fu arrestato e incarcerato in un convento a Toledo. Gli lasciarono in mano solo il breviario. Fu maltrattato, umiliato e segregato in un’angusta prigione, con poca luce e molto freddo. Nove mesi di prigione: a pane e acqua (e qualche sardina), con una sola tonaca che gli marciva addosso, con il supplemento di sofferenza (flagellazione) ogni venerdì nel refettorio davanti a tutti. Divorato dalla fame e dai pidocchi, consumato dalla febbre e dalla debolezza, dimenticato da tutti. Ma non da Teresa (che protestò vigorosamente anche in alto, ma invano) e tanto meno da Dio. Sì Dio non solo non lo aveva dimenticato, anzi era sempre stato con lui, con la sua grazia. Giovanni sapeva che anche nella notte della prigione Dio era nel suo cuore, presentissimo in ogni istante. E il miracolo avvenne. In una situazione che per molti versi e per molte persone poteva essere di collasso psico fisico e di naufragio spirituale, Giovanni della Croce (possiamo immaginare per un "input" dall’alto) compose, con materiale biblico, le più calde e trascinanti poesie d’amore, ricche di sentimenti, di immagini e di simboli. Vivendo in Dio e di Dio anche in quelle circostanze, egli attingeva così a Lui, fonte perenne di ogni novità e creatività, "anche se attorno era notte".

Maestro di vita spirituale
Alla vigilia dell’Assunta del 1578, fuggì coraggiosamente dal carcere, rischiando seriamente la vita, qualora fosse stato preso.
Le sofferenze inaudite di 9 mesi di carcere non furono vane. Infatti, due anni dopo, i Carmelitani Scalzi ottennero il riconoscimento da Roma, che significava autonomia. Giovanni della Croce era finalmente libero di espletare il suo ministero con tutte le sue qualità di cui era dotato, influendo positivamente tutti: confratelli e monache Carmelitane (e molti laici) che lo conobbero o che lo ebbero come superiore o come confessore e direttore spirituale, negli anni seguenti fino alla morte. Fu inviato anche al sud della Spagna, in Andalusia, dove il clima, la natura, l’assenza di contrasti e il successo della riforma di Teresa di Gesù (e sua) gli diedero il tempo e l’ispirazione per comporre la maggior parte delle opere di spiritualità, tanto da farne uno dei grandi maestri nella Chiesa.
Tra i suoi scritti ricordiamo, oltre il già citato Cantico Spirituale in poesia, la Salita al Monte Carmelo e la Notte Oscura. Pur avendo una solida formazione filosofica e teologica (il che lo aiutava certamente), ciò che Giovanni ha scritto non è tanto il risultato di sistematiche ricerche in biblioteca quanto il frutto della propria esperienza ascetica e spirituale.

«A che serve che tu dia al Signore una cosa quando da te ne richiede un'altra? Rifletti a quello che Dio vuole e compilo; per questa via il tuo cuore sarà soddisfatto più che con quelle cose alle quali ti porta la tua inclinazione.»

«Se desideri che nel tuo spirito nasca la devozione cresca l'amore di Dio e il desiderio delle cose divine, purifica l'anima da ogni appetito, attaccamento ed esigenza, di maniera che non ti importi nulla di nulla.»

«Poiché al momento della resa dei conti ti dovrai pentire di non avere impiegato bene questo tempo nel servizio di Dio, perché ora non lo ordini e non lo impieghi come vorresti aver fatto in punto di morte?»

Preghiere

O San Giovanni della Croce, che imparasti ad amare Dio soprattutto nella sofferenza e facesti l’esperienza del "tutto" solo in Lui praticando il "nulla" per le cose create, ottienici l’amore a Gesù Crocefisso e la forza di abbracciare le nostre croci quotidiane sperimentando anche noi che "Dio solo basta".

O Dio, che hai guidato San Giovanni della Croce alla montagna che è Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l'amore ardente della croce, concedi a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione della tua gloria. - Innamorati di Maria -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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