ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 04/01/2010

CASTITA' PREMATRIMONIALE: PERCHE' SI?

Post n°2882 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La Chiesa si ostina a proporla. Molti giovani non la capiscono. È ancora possibile spiegare le ragioni ed i vantaggi della castità prematrimoniale? Ecco che cosa dire. Anche a chi non crede.

Un giovane e una giovane si conoscono, si frequentano,-si vogliono bene. Scoprono di desiderare una vita insieme e, magari, stabiliscono che un giorno diventeranno solennemente e pubblicamente marito e moglie. Un periodo di tempo - più o meno lungo - li separa dal momento in cui, salvo ripensamenti, si uniranno in matrimonio. Come vivere questa particolarissima stagione della vita che è il fidanzamento? Secondo la mentalità corrente, nulla di più normale che quei giovani si comportino come se fossero già sposati. Nell'insegnamento della Chiesa, invece, soltanto il matrimonio rende lecito il rapporto sessuale tra l'uomo e la donna. Si tratta di un conflitto acutissimo tra il senso comune dei contemporanei e il Magistero petrino; il divieto dei cosiddetti “rapporti prematrimoniali” rischia di risuonare sempre meno ascoltato e compreso, al punto da suscitare perfino nei pastori la tentazione allo scoraggiamento. Non è raro ascoltare il “lamento” di qualche parroco: “Dissuadere i fidanzati dai rapporti prematrimoniali? Figuriamoci, inutile perfino parlarne, non ci capiscono”.
Che fare, dunque?
C'è un significato profondamente umano di questo insegnamento che, ininterrottamente e ostinatamente, la Chiesa affida agli uomini di ogni tempo. Bisogna aiutare le persone a riscoprire che non si tratta di un'impuntatura moralistica - “devi fare così perché devi, perché te lo dico io” - né di un sacrificio imposto ai fidanzati per il gusto di mortificarli, né di una prescrizione formalistica priva di qualsiasi giustificazione razionale. Come sempre quando la Chiesa insegna una verità morale, la castità al di fuori del matrimonio ha un profondo significato antropologico: è proposta perché “fa bene” all'uomo, rispetta e promuove la sua più intima natura, lo aiuta a comprendere in profondità l'essenza del matrimonio. Proveremo dunque a offrire alcuni argomenti “umani” che possano aiutare a riaprire gli occhi sulla bellezza di questa “fatica” richiesta ai fidanzati e a chiunque viva al di fuori del matrimonio. Un piccolo prontuario per ragionare sul fatto che il “bene” insegnato dal “Papa e dai preti”, alla fine, conviene. E che il sesso prematrimoniale è, in verità, “anti-matrimoniale”.
1. Una prima constatazione di buon senso: il sesso unisce. Crea cioè subito tra gli amanti un'unione affettiva, psichica, emotiva, intima e speciale che nessun'altra relazione è in grado di eguagliare. Il sesso produce un legame, poiché il corpo parla un linguaggio che va anche al di là delle intenzioni coscienti del partner. Ora, poiché questo legame nasce più o meno consapevolmente ogni volta, più partner sessuali si hanno più il legame con ognuno si fa più debole. Il sesso prematrimoniale aumenta drammaticamente le chance di divorzio.
2. Saper aspettare irrobustisce il legame coniugale, perché il rapporto sessuale diviene qualcosa che i coniugi hanno condiviso solo l'uno con l'altro, dopo averlo desiderato senza soddisfarlo per un certo periodo. Un tempo che li ha visti cimentarsi (e cementarsi) in un impegno che implica aiuto reciproco, buona volontà “incrociata”, crescita nella stima l'un per l'altro.
3. Il rapporto sessuale prematrimoniale determina un accecante “effetto valanga”, poiché è così affettivamente forte da annebbiare la scelta della persona. Il fidanzamento è tempo di verifica della scelta, tant'è vero che si può ancora ripensarci. Ebbene, se il rapporto lascia insoddisfatti, porta a concludere che i due sono “incompatibili”, mentre magari il matrimonio potrebbe dimostrare il contrario; se, viceversa, risulta soddisfacente, maschera effettive incompatibilità pronte ad esplodere dopo il matrimonio.
4. Esiste un nesso intrinseco fra il sesso e il rapporto stabile tra uomo e donna. Dunque è innaturale creare, attraverso il rapporto sessuale, un'intimità così forte per poi romperla. Ciò avverrà a prescindere dalle intenzioni delle persone: il significato oggettivo del sesso è infatti più importante - prevale - sul significato soggettivo. Il don Giovanni impenitente può credere soggettivamente che nessun rapporto è per lui realmente importante, ma non può evitare che ciascuno di quei rapporti lasci segni profondi nella struttura più intima della sua persona. C'è un fatto inequivocabile: l'effetto unitivo automatico del sesso.
5. A questo punto, un'obiezione classica consiste nell'ipotizzare che due ragazzi abbiano giàdeciso di sposarsi, e che solo un lasso temporale “organizzativo” (la casa, il lavoro, gli studi...) li separi dal matrimonio. Perché “rifiutarsi” quegli atti che, compiuti dopo le nozze, la Chiesa considera pienamente legittimi? L'errore del ragionamento sta nella premessa: anche in casi simili, il sesso avverrebbe al di fuori di una decisione di esclusività e permanenza. Soltanto il matrimonio è un punto di non ritorno che cambia la vita. Soltanto il patto matrimoniale è cosi forte e inclusivo - come scrive il filosofo Fulvio Di Blasi - da giustificare, cioè rendere giusta di fronte a Dio e agli uomini anche l'unione corporea. La castità prematrimoniale è il percorso propedeutico alla comprensione della vera essenza del matrimonio. Non si può capire l'indissolubilità matrimoniale se si rifiuta ottusamente il valore della continenza prima delle nozze.
6. I fidanzati non hanno “il diritto” a possedersi carnalmente per la semplice ragione che ancora non si appartengono. Il sesso fuori dal matrimonio è quindi una specie di furto. Né vale a dissipare la colpa la tesi del sesso come “prova d'amore”. L'amore non si prova. Ci si crede e lo si vive, responsabilmente. Provare una persona è ridurla a oggetto.
7. La convivenza “di fatto” è, in tal senso, l'abbaglio più clamoroso per le coppie moderne: infatti, esse pensano in questo modo di “provare” il matrimonio, mentre la convivenza è tutto fuorché una prova di matrimonio, poiché manca della responsabilità di una vita altrui per tutta la vita, che è tipica solo della promessa matrimoniale. Come scrivono Arturo Cattaneo, Paolo Pugni e Franca Malagò, c'è una bella differenza tra coniuge e compagno: l'uno - da cum e iugum - è colui con il quale divido il giogo; l'altro - da cum e panis - colui con il quale divido il pane. Un conto è condividere il pranzo - esperienza aperta ai più svariati incontri - e un conto è mettere in comune la sorte e tutto se stesso. L'amore dei conviventi è tutto tranne che libero; perché un amore libero da impegni è un controsenso. Il motto implicito di ogni convivenza è: “fin che dura”.
8. Nonostante queste argomentazioni, resta oggi molto difficile convincere le persone che è meglio sforzarsi di aspettare la prima notte di nozze. Da un lato, gioca in senso contrario la pulsione degli istinti, che la modernità ha pensato di liquidare secondo le parole di Oscar Wilde: “L'unico modo di vincere le tentazioni è assecondarle”. Ma c'è poi un motivo più profondo: i fatti della legge morale sono molto più evidenti nel lungo periodo. Può darsi che ad alcune generazioni possa sfuggire una verità morale. Ma di fronte al lungo cammino della storia, la verità si impone: una società non casta è ricca di divorzi e povera di figli.
9. Che cosa dire ai giovani che abbiano fatto esperienza della caduta nel cammino verso il matrimonio? Di solito c'è una tacita convinzione - magari avallata dall'arrendevolezza degli educatori - secondo la quale non è possibile “invertire la rotta” una volta che due fidanzati vivano, sessualmente parlando, more uxorio: “oramai...”, quasi che esistessero persone sottratte alla potenza della grazia santificante per colpa di una scelta o di uno stile di vita sbagliato. È dovere di ogni cattolico invece proporre la verità tutta intera anche a questi fratelli, trasmettendo loro la certezza della misericordia e del perdono di Dio, insieme alla robusta convinzione dell'efficacia degli strumenti che la Chiesa mette a disposizione per “fare nuova” la vita di ognuno. Di fronte alla vertigine che oggi un giovane prova nel sentirsi proporre la castità matrimoniale, valgano sempre le parole così umane degli Apostoli di fronte alla “intransigenza” del loro Maestro: “Dunque, chi potrà salvarsi?”. E la risposta di Gesù: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,25-26). - Mario Palmaro - Cattolici Romani -

La parola di Dio
“Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si da alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?”.
(1 Cor 6, 18-19).

 
 
 

BIOTESTAMENTO & COMPANY: NEL 2010 RIPARTIAMO DAL MESSAGGIO DI PATRIZIA

Post n°2881 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Testamenti biologici, eutanasia, fine vita: tempo pochi giorni e si tornerà a discutere su questi argomenti. A Roma, alla Camera, si dovrà licenziare il disegno di legge già passato al Senato; a Bologna e un po’ in tutta Italia i politici locali continueranno a litigare sull’istituzione dei simbolici registri comunali dei testamenti biologici: il 9 febbraio si celebrerà il primo anniversario della morte di Eluana Englaro e, neanche dieci giorni dopo, Povia canterà a Sanremo la straziante storia della ragazza che ha spaccato l’Italia. Ci si dividerà anche al festival, vedrete. Oggi proviamo fornirvi un approccio diverso a questi temi: un’esperienza più che un ragionamento. Un’esperienza che qualche giorno fa mi ha ‘scritto’ con il battito degli occhi (è l’unico modo che ha per comunicare) un’ amica romagnola: si chiama Patrizia Donati, ha 52 anni e 17 anni fa è stata colpita da un ictus. Da allora è immobile, non parla, dipende da tutto e da tutti. E’ ospite della Casa della Carità di Bertinoro.«Tanti anni fa, quando stavo ancora bene, se avessi pensato di trovarmi nella situazione di oggi avrei probabilmente sostenuto che era meglio non vivere e porre fine a un’esistenza che, agli occhi del mondo, sembra non avere senso. Oggi credo che, fino a quando ci sono persone disposte a volermi bene e a ‘curare’ con amore le mie disabilità, io possa vivere, e proprio perché mi trovo in una situazione così precaria, sento di amare la vita più di prima. Il valore della vita si scopre nelle piccole cose che ci vengono date ogni giorno, nelle persone amiche che non ci abbandonano».Patrizia lancia una sfida che, visti i tempi, è in qualche modo rivoluzionaria. E che magari sottintende anche un nuovo modo di interpretare l’esistenza, il suo significato, il concetto stesso di libertà; per i disabili, certo, ma un po’ anche per noi ’sani’. Forse libertà vera non è solo il diritto di ‘spegnere la luce’ quando non ce la si fa più: forse libertà vera vuol dire aiutare chi soffre a ritrovare una strada per ridare un senso a tutto. E una strada c’è sempre, può esserci sempre. Ce lo insegna Patrizia: nel suo dolore, nel suo mistero, nel suo grido di speranza. Con la sua — sì, diciamolo senza paura — vita. Vita piena e vera. - Pandolfi, Massimo - culturacattolica -

 
 
 

TERRORISMO/GUERRA E SIMBOLI: COLPIRE A NATALE PER COLPIRE I CRISTIANI

Post n°2880 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
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L’islam fondamentalista aggredisce i simboli della nostra civiltà, e noi ci allarmiamo ovviamente per l’attacco materiale mentre ci sfugge quello simbolico. L’attentato all’aereo per Detroit era stato programmato per il giorno di Natale: un aereo doveva saltare per aria nel nome di Allah. L’attentato è fallito; l’aggressione al fondamentale simbolo della cristianità rimane - anche se l’azione, cioè l’atto materiale, non ha raggiunto il suo scopo - come un gesto altamente significativo per quel mondo islamico che tanto ci odia.
Se noi volgiamo lo sguardo alle più clamorose iniziative terroristiche dell’islam (come a quelle apparentemente di minor rilievo) ci accorgiamo che innanzitutto l’attacco è rivolto a un simbolo dell’Occidente, a uno di quei simboli più detestati dal fondamentalismo islamico. Si pensi per esempio, alla distruzione delle Torri Gemelle newyorchesi, simboli della potenza economica americana, quella potenza che gli arabi considerano la prima ragione dell’imperialismo espansionistico occidentale. Senza tanti giri di parole si è parlato di «guerra di civiltà»: la storia moderna ci insegna che una guerra non si ripete mai con le stesse modalità di quella precedentemente combattuta. Questa guerra di civiltà mette in campo un potenziale terroristico così ad ampio raggio che risulta difficilissimo da arginare. La politica degli occidentali non ama il concetto di «guerra di civiltà» perché non intende rinunciare alla mediazione, alla trattativa, alla ricerca dell’isolamento degli estremisti attraverso il sostegno dei moderati, sulla base di un principio essenziale: non è la nostra civiltà ad aggredire l’islam; sono le organizzazioni fondamentaliste islamiche ad attaccare l’Occidente. E così noi porgiamo la mano nella comprensibile speranza di incontrare la pace. Siamo perfino disponibili a discutere se togliere o lasciare il crocefisso sulle pareti delle nostre scuole per non offendere il sentimento religioso degli islamici. Accettiamo la costruzione di moschee nelle nostre città, non ci turba il burqa; se un padre musulmano massacra di botte la figlia perché è innamorata di un cristiano siamo pronti a capirne le ragioni. Siamo deferenti ai simboli della civiltà islamica, siamo indifferenti ai simboli che hanno costruito la nostra millenaria civiltà. A questo ci ha portato duecento anni di illuminismo con le sue idee di tolleranza e di uguaglianza. Un’idea fasulla di tolleranza ha minato le basi della nostra cultura, e in nome della fratellanza mondiale tra i popoli non siamo neppure riusciti a scrivere una Costituzione europea, perché la sola indicazione che la nostra civiltà sia fondata sulla tradizione giudaico-cristiana fa inorridire gli spiriti liberi, democratici ed egualitaristi. Una civiltà tramonta non per le sue crisi economiche, ma perché distrugge e lascia distruggere i propri simboli. I simboli sono i riferimenti di significati intorno ai quali un popolo riconosce i propri valori. Se questi non vengono difesi, marciscono le radici da cui è cresciuto l’albero della civiltà. Oggi stentiamo perfino a riconoscere i simboli che hanno generato la nostra cultura, e riteniamo - per ben che vada - discutibile la loro difesa. Non amiamo la nostra tradizione, e per questo siamo vulnerabili. Crediamo che l’essere tolleranti, e quindi degni figli dell’illuminismo, ci renda superiori agli altri; in realtà ci rende passivi di fronte alle civiltà che credono nei propri simboli tradizionali. Per noi, oggi, il Natale è una grande festa consumistica che affratella tutti nel nome del benessere. Per quel ragazzo islamico, che voleva far saltare per aria un aereo, il Natale è un simbolo cristiano che va annientato con il suo sangue e con quello di centinaia di innocenti. La giustizia occidentale dovrà essere tollerante? Non si scambi questa tolleranza con un segno di forza della nostra democrazia: la si consideri, piuttosto, una conseguenza delle fragili radici simboliche del nostro moderno Occidente. -Stefano Zecchi - fattisentire -

 
 
 

QUEL MALE OSCURO DIFFUSO SU INTERNET

Post n°2879 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
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La possibilità di connessione nella civiltà on-line crea nuovi saperi, nuovi luoghi e anche nuove persone. Gli esseri connessi si costruiscono una diversa identità, libera da qualsiasi appartenenza, che dura nel tempo. Sfoderano un nuovo IO: L'IO VIRTUALE. Un IO che, parafrasando Freud, non ha nulla a che vedere con l'Io, l'Es, l'Ego. Però, senza entrare nella quasi retorica della psicanalisi, è un po' parente del Superego, perché si compiace di dimenticare l'Io reale e fa nascere una rappresentazione enfatica quasi drammaturgica di sé stesso. E allora via con accorati e fantastici racconti di sé alla tastiera con l'amico o l'amica on-line. Si stabilisce così una relazione sempre in linea e spesso, come dicono le statistiche, nasce dal sesso. E se l'invenzione elaborata al computer segue la coerenza dell'illusione può diventare una pseudo realtà da gustare anche solo pochi minuti per lui: l'IO VIRTUALE. E l'immaginazione vola. Dai una magnifica rappresentazione di te, esattamente come vorresti essere. Ti ritagli un intervallo splendido della tua vita dove puoi dire ciò che non ti concedi nella vita normale. Una dimensione onirica del tuo Io, appunto, dove ti senti esaltato e gratificato come mai ti è accaduto nella realtà. Raggiungi il "Superego", assolutamente non malvagio come in certa letteratura, ma talmente dilatato da offrirti una sconfinata autogratificazione. Nel trasporto amoroso virtuale non c'è passato che pesi, ma solo presente immaginifico. Come eravamo, come siamo, come saremo non contano. Conta solo quella "nuvoletta internet" sulla quale ci siamo adagiati per provare piacere. Il nostro corpo vive in un'aura speciale. Ti senti più potente in ogni senso. Parli e descrivi senza complessi inibitori e i confini tra verità e falsità sono talmente labili che, nella tua testa, l'illusione diventa reale. Dentro di te c'è un'energia nuova che ti fa credere onnipotente. Ma pochi minuti dopo la fine del contatto si insinua il dubbio; si fa strada la delusione e il rammarico di non essere come nella rappresentazione dell'Io virtuale. Peccato non avere più tutta quella potenza. E si comincia a sentire qualche disagio. È la fragilità dell'Io virtuale che ti spacca a metà. Il tuo Io reale emerge di nuovo e non ti senti più in una dimensione fantastica come fiaba antica. Ti accorgi che era solo falsità. Chi sei dei due? Il reale o il virtuale? Ma se hai recitato correttamente la commedia, il virtuale ritorna a sedurti, a convincerti e si sedimenta dentro di te facendo parte della tua coscienza. Ce ne sono veramente due: quello fantastico virtualmente fragile, quello noioso solidamente reale. S'innesta una dicotonomia di non poco conto tra i due, spesso un vero duello tra Super Virtual e Boring Real. E tu, uomo del computer, cominci a dare i numeri. Quante volte vorresti correre al video per trovare quella mail che aspettavi. Che fatica trascorrere un'intera giornata senza pensare al tuo appuntamento dove provi pulsioni come mai nella vita reale. Per problemi di fuso, spesso ti sei svegliato nella notte per correre al video. Queste sembrano tutte scemenze, ma non è così. La tua, la nostra è come una malattia, un innamoramento nella fase più acuta. Poi ti connetti con altri, ma solo per chattare e soddisfare la megalomania di diffondere il tuo super pensiero. E quando sei con il tuo patner e ti chiamano, preferisci saltare la cena adducendo di fare lavoro extra. E' il momento dell'apoteosi virtuale; il resto è mediocrità e banalità. I fieri oppositori del contatto virtuale di fronte al tuo comportamento un po' schizzato rimangono allibiti. Ma tu sai che si tratta di mediocri anacronistici personaggi in vena di moralismi mediocri come loro. La tua è ormai una dipendenza e non vuoi uscirne perché il tuo Io virtuale è diventato l'Io reale. - MARIALUISA TRUSSARDI - I SEGNI DEI TEMPI -

 
 
 

LA MIA VITA FUORILEGGE SALVATA DALLA MATERNITA'

Post n°2878 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
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Una perdita, in fondo, è solo un filo di sangue. Routine per un pronto soccorso - «vada a casa e riposi» - ma Barbara trema. Si regge al mancorrente. Pochi passi e ci fermiamo al primo bar, i camionisti hanno scaricato i peperoni all’Ortomercato di Milano e ora puntano verso Genova. Una carezza furtiva al ventre, una gravidanza di sei mesi, uno strano matrimonio e un compagno che alla bella notizia ha cambiato la serratura di casa. Ragazza madre senza essere stata una ragazza: «le mie compagne di classe abbassavano lo sguardo mentre passavo». Le si inumidiscono ancora gli occhi, chiari e induriti come le cicatrici; tante, si confondono ai tatuaggi. Sceglie il tavolino contro la parete, poi ci ride su. «Non ho paura di nessuno se non per lei, la piccola. Ma basta una ferita a ricordarmi quel mattino». Quando i grumi la guardavano da vicino, rannicchiata sul pavimento, dove il dolore mescolava sangue, lacrime, quant’altro. «Prima dello stupro non ho mai avuto questa reazione, e dire che ne ho visti con la faccia rotta perché facevano i furbi». Il distacco irrita, tant’è ostentato, marchio di fabbrica di una vita border line, notti brave a Milano, le strade dello spaccio, i locali di viale Bligny, i Navigli sbarluccicanti e l’Oltrepo delle ville e delle Ferrari. «Anche lo zio ne aveva una»: sovente, le porte della mala si spalancano in famiglia. Anni prima, un’altra zia, la Rosa del Giambellino, aveva tirato su con gli stessi metodi il bel René: «Renato Vallanzasca. Mi pare che si conoscessero, lui e lo zio. Ma sono storie vecchie. Per 22 anni ho vissuto la vita sbagliata, al suo fianco. Lo seguivo, lo veneravo, lo zio mi usava come palo, per portare messaggi, incontrare persone ricche e potenti». Ti prostituivi? «Mai». Droga? «Cocaina, a fiumi. Lo zio faceva affari tra la Calabria e la Croazia, a quanto ho capito». Secondo gli inquirenti, Barbara aveva capito ben più di quello che ha rivelato, quando si è presentata al commissariato vogherese per essere arrestata: «Non ce la facevo più a vivere di notte, a vestire Prada e Moschino, a bere, tirare di coca, tra pestaggi e intimidazioni contro chi non voleva pagare la roba. E io al mattino ero niente di niente: le mie compagne di classe, al solo vedermi, cambiavano marciapiede». La mano cerca lei: «La sento crescere e mi rendo conto di essere una donna diversa, voglio che lei lo sia, un giorno. Ho paura per lei, sono felice per lei e lavoro per lei. Faccio l’imbianchina, lavoro pesante, per una come me: perché Voghera non dimentica». Adesso Barbara va a Milano per imbiancare pareti e se entra in un night è per ristrutturarlo: «Ma i clienti appena sanno chi sono mi mandano via, dicono che non vogliono noie». Ha tentato di mettere a frutto il diploma di infermiera: solo porte chiuse. È tornata a vivere dai genitori. Giura di aver smesso con le piste ma intercetta il mio sguardo, che è poi il medesimo dei vogheresi. «Quando lo dico mi guardano tutti con il tuo scetticismo, ma gli esami del sangue non mentono: leggili anche tu, sono pulita». Tira fuori dalla borsa un mazzo di fogli stropicciati, le stesse analisi che ha mostrato ai responsabili dell’Associazione Giovanni XXIII: «Loro non mi hanno giudicata, mi hanno aiutata ad avere coraggio. Vivo del mio lavoro, cercavo solo qualcuno che mi dicesse che faccio bene a tenerlo, questo figlio». L’ecografo dice femmina: «la chiamerò Carol» precisa di getto e tu pensi alla faccia che farà il parroco; pensi che potrà sempre mimetizzarsi tra le tante Carolina di queste campagne; pensi che comunque nell’Italia delle Noemi poteva andarle anche peggio. Anche nel nome, però, c’è un indizio di questa rinascita. «La chiamerò Carol – m’illumina Barbara – perché se era un maschietto si sarebbe chiamato Giovanni Paolo».           Finalmente trovo il coraggio di metterle sotto gli occhi una foto di don Benzi: «Crediamo nello stesso Dio, non dico di essere stata una buona cristiana ma so di volere il meglio per la mia bambina e per il nostro futuro. Ho chiesto aiuto al Signore nei momenti peggiori, anche quel mattino, e quest’aiuto è arrivato». Quel mattino erano in due e sono entrati in casa con lo spaccadenti tra le dita. Il ricordo strizza gli occhi: «Mi hanno detto "vai a raccontare anche questo". Con il tempo ho dimenticato il dolore fisico. Del resto, non posso mica passare tutta la vita a odiare quei due». Del resto, uno degli stupratori è sparito nel nulla. «Il mio incubo peggiore – confida – è la vita che ho sprecato. Non cerco alibi, è avvenuto anche per volontà mia. Ho iniziato a lavorare per lo zio che avevo sei anni: è entrato nella mia cameretta, mi ha messo una valigia sotto il letto e mi ha detto: non alzarti neanche per fare pipì. Andandosene, mi ha lasciato una mancia di cinquantamila lire: era il 1982, giocavo ancora con le bambole. Poche settimane prima di morire, mi ha chiesto scusa di ciò che aveva fatto di me. Non so se sono riuscita a perdonarlo». A trentatre anni, Barbara è una donna che rinasce scegliendo di dare la vita. Inquieta e incerta, sola contro tutti, assistita dalla Papa Giovanni e protetta da quei genitori ai quali aveva voltato le spalle. «Ho voluto raccontare questa storia perché so cosa sia la violenza e forse posso convincere qualche donna incinta, indecisa e stordita dalla paura, che si può credere nella vita anche quando il passato ti assedia. Ne ho parlato con un amico che fa il prete e ho deciso di raccontare la mia storia a Natale, perchè è oggi che rinasce la speranza. La mia è che il passato sia veramente passato». Per strapparselo via, tutto quel suo passato pesante, Barbara ha dovuto implorare i poliziotti, ha rivelato dove si trovava la ed è quasi impazzita di fronte ai loro sguardi increduli. «La prima volta è stata cacciata in malo modo. È tornata all’indomani e pian piano si è conquistata la loro fiducia» spiega oggi Maurizio Sorisi, l’avvocato che l’ha assistita per anni. Fu sua una delle prime istanze di ricusazione di un giudice in base alla legge Cirami: «Era appena entrata in vigore la legge - ricostruisce - e abbiamo scoperto che la possibilità di ricusazione era molto più restrittiva, tant’è che la Cassazione ce l’ha negata». Nell’estate del ’99 Barbara si è trovata ad essere la principale confidente degli inquirenti nell’operazione Intreccio: decine di inquisiti, altrettante condanne, un giro di coca e complicità su cui la stampa locale ha versato fiumi d’inchiostro. Si sa, alla casalinga di Voghera certe storie torbide piacciono alquanto. Che poi a vuotare il sacco fosse una delle regine delle notti dell’Oltrepo bastava a far tremare la buona società delle cascine e degli studi professionali, quella dello shopping da Melchionni e del crodino in piazza Duomo...
«Racconterò tutto a mia figlia - giura -, senza tacere nulla e il racconto finirà con l’assoluzione, perché alla fine il giudice mi ha assolto». A non essersi assolta è lei: «Negli anni in cui facevo quella vita - racconta - un mio amico fu stroncato da un’overdose. Ho la sensazione di averlo ucciso anch’io. Ma alla mia bimba insegnerò che, se ci tieni davvero, puoi cambiare». Lo sguardo è diventato quello di una mamma. - Paolo Viana - donboscoland -

 
 
 

SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE ED IL PURGATORIO

Post n°2877 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da diglilaverita
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Santa Margherita Margherita Alacoque nacque a Latecour in diocesi di Autun, era figlia del notaio e consigliere di corte Claudio Alacoque,  ella fu la grande apostola della devozione al Cuore di Gesù. Tale devozione le fu rivelata attraverso apparizioni del Signore stesso ed esperienze mistiche intime. Benché afflitta dalla povertà e dalle malattie, a 24 anni nel 1671 entrò nel monastero della visitazione di Paray-le-Monial dove ebbe doni carismatici straordinari. Nonostante tante amarezze, ebbe la gioia di veder riconosciuta e celebrata nella Chiesa la festa liturgica del Sacro cuore. Appassionata di Cristo, operò mirabilmente per la diffusione della pia pratica dei primi nove venerdì del mese in onore del Sacro Cuore di Gesù, morì a 43 anni, il 17 ottobre 1690. La santa ebbe diverse apparizioni delle anime del Purgatorio. La santa monaca visitandina narra nei suoi scritti: “ Mentre ero davanti al Santissimo il giorno del Corpus Domini, d’improvviso mi si presentò davanti una persona tutta avvolta dalle fiamme, i cui ardori mi penetrarono così fortemente, che mi sembrava bruciassi con lei. Lo stato pietoso, in cui mi fece vedere che si trovava in Purgatorio, mi fece versare molte lacrime. Mi disse che era quel religioso benedettino che una volta aveva ascoltata la mia confessione e mi aveva ordinato di ricevere la santa Comunione.; per compensarlo di un consiglio tanto utile, Dio gli aveva permesso di  rivolgersi a me, perché gli dessi sollievo nelle sue pene, chiedendomi per tre mesi tutto ciò che avrei potuto fare e soffrire. Glielo promisi dopo aver ottenuto il permesso della Superiora. Mi disse che la prima causa delle sue grandi sofferenze era aver preferito il proprio interesse alla gloria di Dio, per troppo attaccamento alla sua reputazione; la seconda, la mancanza di carità verso i confratelli; e la terza, l’eccessivo affetto naturale verso le creature, e l’averlo manifestato nei colloqui spirituali, cosa che dispiace molto a Dio. Mi sarebbe difficile raccontare quanto ebbi a soffrire in quei tre mesi. Non mi lasciava mai, e mi sembrava avere il fianco presso cui stava, avvolto in una fiamma di fuoco, con dolori così acuti, da gemere e piangere quasi continuamente. La Superiora, presa da compassione, mi dava buone penitenze, soprattutto di disciplina; perché le pene e le sofferenze esterne che mi facevano soffrire per carità davano molto sollievo alle altre che la santità d’amore imprimeva in me come un piccolo saggio di ciò che essa fa soffrire a quelle povere anime. Alla fine dei tre mesi, lo rividi in maniera ben diversa: al colmo della gioia e circonfuso di gloria, se ne andava a godere la  eterna felicità; ringraziandomi, mi disse che mi avrebbe protetta davanti a Dio. Io mi ero ammalata; però, siccome la mia sofferenza scomparve con la sua, guarii subito”. Santa Margherita Maria Alacoque in seguito ebbe una visione di una suora in purgatorio, ecco il suo racconto: “ una volta vidi in sogno una religiosa deceduta da molto tempo, la quale mi disse che soffriva molto in Purgatorio e che Dio le faceva soffrire una pena incomparabile, cioè la vista di una sua parente precipitata nell’inferno, Mi svegliai a queste parole, tra angustie così grandi che mi sembrava che quella mi avesse dato le sue.  Mi sentivo il corpo a pezzi, tanto che riuscivo appena a muovermi. Ma, siccome non si deve credere ai sogni, non vi feci gran caso, ma ella me lo fece prendere in considerazione anche se non volevo. Insisteva talmente che non mi dava tregua, dicendomi di continuo: “ prega Dio per me. Offri le tue sofferenze unite a quelle di Gesù Cristo, per alleviare le mie. Dammi tutto ciò che farai fino al primo venerdì di maggio, giorno in cui riceverai la comunione per me”, come feci col permesso della superiora. Ma la mia pena aumentò tanto che mi opprimeva, senza che potessi trovare sollievo né riposo. L’ubbidienza mi fece ritirare per riposare, ma appena fui a riposare, nel letto, mi sembrava di averla vicina a me che mi diceva queste parole: “ Eccoti a letto, comodamente sdraiata; guarda me coricata in un letto di fiamme, dove soffro mali intollerabili”. Mi fece vedere quell’orribile letto che mi fa fremere ogni volta che ci penso, poiché il materasso era di punte acuminate tutte di fuoco che le entravano nella carne. Mi disse che era a causa della sua pigrizia e negligenza nella osservanza delle regole e della infedeltà a Dio: “ Mi strazia il cuore con pettini di ferro incandescente, e questo è il mio più crudele tormento, per i pensieri di mormorazione e di critica nei quali mi sono soffermata contro le superiore, e ho la lingua mangiata da parassiti per punire le parole che ho detto contro la carità. E, per aver mancato di silenzio, ecco la bocca tutta ulcerata. Ah, come vorrei che tutte le anime consacrate a Dio mi potessero vedere in questo orribile tormento. Se potessi far loro provare la grandezza delle mie pene e di quelle che sono preparate a quante vivono negligentemente nella vocazione senza dubbio si comporterebbero ben diversamente osservando con esattezza i loro doveri, e si guarderebbero dal cadere nei difetti che mi fanno soffrire”. Tali lamenti mi facevano versare torrenti di lacrime. Mi volevano dare qualche medicina. Allora mi disse: “ si pensa a dare sollievo ai tuoi mali, ma nessuno pensa ad alleviare i miei… Ohimè! Un giorno di silenzio assoluto di tutta la comunità, guarirebbe la mia bocca ulcerata! Un altro trascorso nella pratica della carità, senza cadere in alcuna colpa contro questa, mi guarirebbe la lingua; e un terzo, senza mormorazioni né critiche contro la superiora, guarirebbe il mio cuore straziato”. Dopo la comunione che mi aveva chiesta, mi disse che gli orribili tormenti erano diminuiti, poiché le era stata detta una messa in onore della passione, ma doveva restare ancora per lungo tempo in purgatorio, dove soffriva le pene dovute alle anime tiepide nel servizio di Dio. Mi trovai liberata dalle mie pene: ella mi aveva detto che non sarebbero diminuite affatto finchè non fosse consolata”. Un’altra volta mentre la santa stava pregando per due defunti, che avevano ricoperto nella società degli incarichi molto importanti, le fu rivelato dal Signore che una di queste persone era condannata ad espiare a lungo in Purgatorio e che tutte le preghiere e le sante Messe che sarebbero state offerte in suo suffragio non sarebbero tornate a suo profitto, ma a vantaggio dei defunti di quelle famiglie che erano state danneggiate dall’operato di costui. Questo accadeva perché tali famiglie, ridotte in povertà dai danni patiti, non avevano la possibilità economica di soccorrere le anime del Purgatorio dei loro defunti con la celebrazione di sante Messe e così in tal modo provvedeva il signore stesso. Un altro giorno santa n altro giorno santa Margherita Maria stava pregando per tre persone defunte recentemente. Due di esse erano religiose e la terza una laica. Il signore apparve alla santa e l’interrogò: “ Quali di queste persone vuoi che io liberi adesso immediatamente dal Purgatorio?”. La monaca rispose: “ O Signore degnati di scegliere Tu secondo la tua volontà  e per ciò che più tornerà a gloria del tuo onore”. Allora la santa vide che il Signore fece entrare in paradiso l’anima della semplice cristiana, mentre le diceva che i consacrati gli facevano meno pietà in quanto essi avevano avuto tanti mezzi a loro disposizione per guadagnarsi il Paradiso e specialmente avrebbero potuto riparare i loro peccati sulla terra specialmente con l’osservanza della loro regola. - don Marcello Stanzione -Pontifex -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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