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Messaggi del 12/06/2024

 

Il mio viaggio a New York

Post n°218 pubblicato il 12 Giugno 2024 da robertocass
 
Foto di robertocass

 

 

 

 

E’ stato qualche anno fa, prima dell’11 settembre, data che verrà ormai sempre ricordata come l’inizio della crisi che ha colpito il mondo occidentale.

Il nostro modo di vivere, le nostre abitudini, i nostri sprechi e i nostri assurdi consumi presto finiranno e saremo costretti a confrontarci con un mondo completamente diverso.

Mi ricordo molto bene il viaggio, fra l'altro fatto per lavoro con la Uniroyal, ma quello che mi è rimasto impresso è il famoso questionario che veniva portato da compilare prima dell’arrivo.

La domanda sei comunista è folle, ma era l’approccio vero ad una società molto particolare, una società che nasce da un mix talmente diverso di razze e costumi da diventare un laboratorio in continua evoluzione e traino del mondo occidentale.

Questo prima di quella data, oggi l’asse si sta spostando sulla Cina e la Russia in eterno conflitto con gli Stati Uniti ed è tornato solo in parte verso la nostra Europa.

New York non è bella ma è un mito, passeggiare per le avenue è passare in mezzo ai grattacieli, non c’è niente di bello da vedere, ma uno si chiama Empire State Building ed è qualcosa di particolare.

E’ il grattaciello che alla morte di Frank Sinatra si è illuminato di blu, protagonista di film e romanzi, visitato da milioni di persone ogni anno.

Anch’io sono salito su in cima ed ho visto il paesaggio della città dall’alto.

La città dall’alto è splendida con le due torri gemelle, il mare ed un panorama che trasuda di storia, di emozioni, di jazz, di blues, di tutta la musica moderna che nasce qui e che qui si sviluppa con nomi e personaggi mitici.

Sono stato a Manhattan, le torri gemelle dal basso erano enormi, sembravano confondersi con il cielo.

C’era una grande fila per entrare a visitarle, io non l’ho fatto, mi sembrava stupido andare a vedere degli uffici.

Oggi non ci sono più, al loro posto c’è quel ground zero che solo a vederlo ti angoscia.

Sono stato poi su Ellis Island, la famosa base di stazionamento per gli emigranti che restavano giorni e giorni nell’attesa del permesso per entrare in America.

Dall’isola si vede Manhattan e il piccolo isolotto dove sorge la Statua della Libertà, altro monumento non bello ma talmente ricco di fascino da restarne impressionati.

Sono rimasto a guardarlo per ore, ripensi a quanti sono passati con le valigie di cartone, a milioni di persone che qui sono arrivati senza niente, solo con la certezza che questa era la terra promessa, che qui potevano rifarsi una vita, che qui i loro figli sarebbero cresciuti forti e liberi, che qui sarebbero diventati americani.

Italiani, irlandesi che dopo un viaggio in mare sono rimasti di sasso davanti a quella statua, ed hanno pianto al pensiero che il loro sogno si stava realizzando.

E sono gli stessi che oggi attraversano il mare sui barconi fino a Lampedusa, hanno gli stessi sogni? le stesse speranze?

Non credo l’Italia e l’Europa non sono l’America e non potranno mai esserlo.

L’America era un mito, un sogno, e il solo arrivarci era già toccare il nuovo mondo, era già arrivare nel posto dove tutto era possibile, dove tutti potevano fare fortuna.

Oggi sono viaggi della disperazione, non seguono un sogno, cercano solo qualcosa di meglio, fuggono da zone dove non hanno nulla e il poco che possono avere da noi per loro è già tanto.

Ma il ricordo più vivo e più emoziante è stata una sera che si girava per i locali a sentire un pò di musica.

In un angolo vicino a Central Park c’era un gruppo che suonava un buon rock e gli dava giù con forza che era un piacere sentirli.

Tutto intorno gente sdraiata in terra a bere e a cantare, molti ubriachi, sia donne che uomini, tanti a ballare e tanta confusione.

Ad un certo punto la musica si ferma e il chitarrista attacca Star Spangled Banner, l’inno americano suonato come Jimi Hendrix in quella magica notte del 1969.

Tutti si fermano, in silenzio si alzano e con la mano sul cuore cominciano a cantare, tutti bianchi e neri, ubriachi e non, e tutti con il viso serio e gli occhi chiusi.

In quella notte con quella chitarra che svisava con forza quell’inno, quelle persone che cantavano nel silenzio, un silenzio rotto solo da una chitarra e da un ragazzo solo sul palco, io mi sono commosso.

Ho visto la realtà vera di un’America che nonostante tutto, nonostante un’apartheid forse mai finito, nonostante una competizione portata agli estremi, nonostante tutto quello che vogliamo dire, rimane legata al suo sogno, rimane legata ad un qualcosa che non riesci bene a capire.

Ripenso spesso a quella notte, non era il 1969, non era Jimi e non c’era la guerra nel Vietnam, ma mi piace pensarlo e mi piace crederlo.

 

Roberto Cassandro

 
 
 
 
 

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