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IL PASTO SACRO. Mito e rituale della Comunione.

Post n°30 pubblicato il 22 Luglio 2009 da marcalia1
 

 

          Nel mito cristiano, il peccato originale deriva incontestabilmente da un'offesa commessa nei confronti di Dio Padre. Ma la dottrina del peccato originale, come spiega Freud, è di origine orfica[1]; essa si è conservata nei misteri ed è poi penetrata nelle scuole filosofiche dell'antica Grecia: gli uomini erano discendenti dei Titani, i quali avevano ucciso e sbranato il giovane Dioniso-Zagreo; questo delitto e tutto quanto ne era derivato doveva condurre perciò ad un castigo. (Nella trasposizione cristiana, Gesù, liberando gli uomini dal peso del peccato originale con il sacrificio della propria vita, ha portato l'umanità alla riconciliazione col Dio Padre. In virtù dello stesso atto, il Figlio, che offre al Padre l'espiazione più piena, diviene egli stesso Dio accanto al Padre, in cui la religione del Figlio si sostituisce a quella del Padre).

          Per riepilogare tale tragedia ancestrale, nel momento centrale della messa viene riesumato il primitvo banchetto totemico in forma di Comunione, nella quale i fedeli si santificano col sacrificio umano compiuto dal Figlio, riconciliandosi pertanto a Dio. Perciò l'Eucarestia (dal greco "rendere grazia"), che nel rituale sacramentale è intesa appunto come la "santa Comunione", in realtà è un residuo destorificato del summenzionato "banchetto totemico" che trova affinità rituale nei diversi culti misterici mediterranei antichi ed ha poco o niente in comune con la tradizione giudaica[2]. La consumazione del cibo sacro era infatti una pratica rituale nella celebrazione soteriologica dei culti misterici tributati al dio morto e risorto, compresi quelli in onore di Dioniso, Tammuz e Osiride, essendo tale assimilazione della sostanza divina un modo per unirsi in senso mistico al dio stesso e conquistare di qui l'elevazione verso i gradi più alti dello spirito. Il segreto che circondava il rituale e soprattutto la "comunione" con la divinità, tramite l'iniziazione, trova dunque ancora oggi riscontro nel banchetto totemico più sopra schematizzato, ove il sacro vincolo fra tutti gli individui che vi partecipano e gli dèi prende forma nella cosiddetta "cena del Signore": non a caso l'etnologo ante litteram James Frazer, nella sua monumentale opera del 1890 diventata ormai un classico della ricognizione antropologica, Il ramo d'oro, sosteneva decisamente che la comunione cristiana aveva assorbito in sé un sacramento ben più antico dello stesso cristianesimo[3].

          Nella parte centrale della messa secondo il rito romano, nell'atto della consacrazione eucaristica, le sostanze del pane e del vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Gesù[4]. Quando il sacerdote poi sume l'ostia consacrata, in cui secondo il dogma il corpo del Cristo è presente in maniera vera, reale, altro non si riepiloga che un primitivo atto mistico di partecipazione totemica, l'antica "comunione" sacrificale col divino:

Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui[5].

 


[1] Cfr. Sigmund Freud, Totem e tabù, Roma, Newton&Compton, 1990, p. 207.

[2] "L'idea di 'mangiare e bere il dio' era ripugnante per i giudei"; Lynn Picknett e Clive Prince, La Rivelazione dei Templari, Milano, Sperling&Kupfer, 2002, p. 214.

[3] Per esempio, gli antichi messicani rievocavano questa pratica deglutiva con una solenne celebrazione denominata teoqualo, cioè "dio è mangiato", che recupera sconcertanti affinità con la dottrina cristiana della transustanziazione (vedi nota 4). Gli Aztechi infatti credevano che i loro sacerdoti, consacrando il pane nella sostanza di Huitzilopochtli come personificazione del dio-mais, lo trasformassero nel corpo medesimo del loro nume, sì che quanti ne mangiavano entravano in mistica comunione con la divinità ricevendone una parte entro di loro. La dottrina della transustanziazione, o trasformazione magica del pane in carne, era familiare anche agli antichi Ariani dell'India, molto prima che fosse, non solo diffuso, ma persino apparso il cristianesimo. Ad ogni modo, nella festa del solstizio d'inverno, gli Aztechi uccidevano in effigie Huitzilopochtli e poi lo mangiavano. L'immagine del dio in forma umana era formata di varie specie di semi, impastati con sangue di bambini. Uno dei sacerdoti estraeva il cuore dall'immagine e lo dava da mangiare al re. Il resto dell'immagine, diviso in minuti frammenti, veniva distribuito a tutti i maschi grandi e piccoli, fino ai bimbi in fasce, ma le donne non potevano mangiarne. Sul cosiddetto "banchetto totemico", come aspetto mistico-magico elementare, e primitivo rituale della "comunione", si veda anche Ambrogio Donini, Breve storia delle religioni, Roma, Newton&Compton, 1991, p. 73 e segg. (a proposito dell'inticiuma praticato dagli Arunta australiani).

[4] È la dottrina della transustanziazione, definita dogmaticamente dal Concilio Lateranense IV (1215).

[5] Gv 6,53-56.

 

 
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