Angelo Ribelle

Attesa


In quella poltiglia di nebbia impastata col gasolio dell'A1 che corrre a pochi chilometri non è mica facile mantenere il pensiero lucido. Il cuore in subbuglio e due paia di calzini a cercare di proteggerlo dalla polmonite.Vagava come un navigante alla deriva, senza riferimenti e senza vento, disgustato eppure attratto da quella realtà mutilata. Smarrito eppur felice come non era mai stato.Lo chiamano "Torrente Parma", affluente destro del Grande Fiume, ma per gran parte dell'anno tirava poco di più dello scarico di un cesso. Mentre lo guardava dal ponte di Mezzo gli faceva quasi compassione con quel suo scorrere esanime dentro al cuore di questa città godereccia, con le sue belle figlie che traballano su tacchi improbabili e portano sui cappotti sempre un malcelato aroma di torta fritta. Seduzione e tradizione.Passeggiava nel silenzio, protetto dalla nottata di febbraio pescata come un jolly in mezzo alla settimana lavorativa: qui c'è da produrre e a parte qualche nordafricano dai lineamenti tirati  e uno studente universitario era stato difficile trovare anima viva.Aveva nevicato qualche sera prima ed era un freddo micidiale. -Si tratta di una perturbazione che arriva direttamente dalla Siberia- avevano pontificato sulle reti nazionali -preparatevi ad almeno dieci giorni di gelo assoluto, neve, disagi-. Nel sentirlo aveva scrollato le spalle e provveduto ad acquistare doppie razioni nella bottega vicino al Teatro Due: doppia pasta, doppia carne, doppi libri e doppio vino. Si sentiva autosufficiente come un sovrano medievale, percezione amplificata dal pacchetto di marlboro ancora praticamente pieno.La neve ghiacciata scrocchiava sotto le scarpe, difficile anche solo mantere l'equilibrio. Una passeggiata estemporanea e vietata da qualsiasi regola di buonsenso era per lui diventata questione di vita o di morte.Troppo importante ricercare i luoghi, le luci, gli attimi, per capire se quanto aveva vissuto poco prima era stato reale o machiavellica proiezione della sua mente. O magari ancora allucinazione dovuta ai primi sintomi di assideramento.Una donna dai lineamenti sottili, le mani leggere, lo sguardo deciso e quella dolcezza che sembrava aver fatto sbocciare la primavera nella più dura settimana dell'inverno.L'aveva vista sparire in una nuvola di polvere ghiacciata, un istante dopo averla baciata e stretta a sè con la promessa di sentirsi qualche ora dopo. Attorno a loro il silenzio surreale di una città post-atomica, coi lampioni in ferro unici testimoni di un miracolo.Ma lui non poteva aspettare il sorgere del sole, l'amore non dorme mai e così dopo essere risalito per qualche istante nel piccolo monolocale, era sceso nuovamente in strada ad investigare sul sogno ad occhi aperti che aveva vissuto. O era stato tutto vero?Era tornato sul punto del loro congedo ed aveva alzato lo sguardo verso le stelle, come per trovare una spiegazione razionale al battito accelerato, all'esplosione di gioia, al fatto di come fosse possibile che le note di Reverie nelle orecchie gli iniettassero energia direttamente nella parte più profonda dell'anima. Tredici gradi sottozero e non sentire freddo.Poi passi, tanti passi. Necessari a scaricare l'adrenalina che il sistema endocrino aveva rilasciato copiosa nelle vene, impossibile anche solo immaginare di prendere sonno. Molto meglio camminare, o per meglio dire arrancare cercando di non rompersi la testa, mentre il vento siberiano sibilava tra i rami la sua gelida sonata.Un semaforo lampeggiante come ultimo luogo di avvistamento, poi la berlinetta tedesca era partita danzando leggera sulla strada di cristallo. Giallo-Spento-Giallo-Spento-Giallo-Spento.Ma le gambe non ne volevano sapere di fermarsi. Camminava il ragazzo, parlava con le lunghe stalattiti di ghiacco che si distendevano da sotto i balconi sino quasi al marciapiede, perchè doveva assolutamente raccontare a qualcuno del miracolo appena vissuto e loro erano ideali interlocutrici nella loro perfezione traslucida.Il freddo aveva fatto precipitare a terra l'umidità ed il cielo era limpido e vivo come non mai.Riconobbe tre costellazioni, poi si chiese poi se i passeggeri di quel puntino lampeggiante che stava solcando trasversalmente il cielo potessero vedere quanta luce avesse dentro gli occhi.Immaginò di essere dentro alla pancia dell'aereo assieme a Lei, destinazione sconosciuta e solo un bagaglio a mano fatto sogni. Sorrise.Poi guardò l'orologio, erano quasi le cinque.Decise di tornare nella sua piccola stanza ed attendere rannicchiato nel plaid l'alba del nuovo giorno.Fu bellissimo aspettare le prime luci dell'alba che irrompeva da Est: la coperta aveva ancora il suo odore.Buona fortuna."Correva la giovane donna, sognava, amava.Compiva orbite lunghissime senza mai perdere il contatto.Lei, sole che riempie stanze altrimenti colme di nulla.Lei, esemplare unico di chiave in grado di aprire quella soglia mai varcata.Lei, sempre e solo Lei.Attesa."