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Un blog creato da sangueedanima il 03/08/2008

Sangue ed anima

Un capitolo al giorno del mio primo libro

 
 

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IL LIBRO

Post n°26 pubblicato il 27 Settembre 2008 da sangueedanima

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VAGARE IN ETERNO

Post n°25 pubblicato il 28 Agosto 2008 da sangueedanima
 

La centrale di polizia non era certo l’ambiente più accogliente della città, ma non si può dire che non fosse un posto interessante. Gente che andava, gente che veniva, gente ricca di storie e di avventure, di verità e di bugie, gente che affollava quel posto rendendolo una vera e propria torre di Babele. Colbain vi era stato trascinato da un ufficiale che lo aveva trovato mezzo assiderato a dormire davanti ad un laghetto in un parco di periferia e che ora, riconoscendolo come testimone dell’omicidio del giorno prima, voleva una sua dichiarazione. Come si sa, i processi hanno bisogno di testimonianze dirette. Quel camion, schiacciando colui che avrebbe dovuto essere il colpevole, aveva eliminato per sempre qualsiasi possibilità di confessione e di pena giudiziaria. Inoltre, non avendo la sicurezza che l’investito fosse in realtà l’assassino, la polizia avrebbe dovuto raccogliere prove sufficienti ad archiviare il caso e a interrompere per sempre le ricerche di un altro possibile colpevole. Il fatto che la vittima fosse il figlio di un noto ispettore e che proprio quest’ultimo aveva portato un importante testimonianza non cambiava le cose: la prova non era certo per questi motivi inconfutabile e il teste non era per questo indubitabile. Chi poteva confermare che la persona investita dal camion fosse l’assassino? Chi aveva visto perfettamente il suo viso al momento dello sparo? Chi, se non l’ispettore e qualche distratto autista, lo aveva visto chiaramente gettarsi nel traffico? Conclusione: tutti i presenti dovevano essere interrogati. Incluso Colbain, ovviamente.

Spinsero Grant in una stanza buia corredata solo da un grande tavolo di plastica, una lampada da interrogatorio e due piccole sedie bianche. La luce era soffusa e l’ossigeno scarso. Il ragazzo si sedette su una delle seggiole, allungando successivamente le mani sul banco. La porta si richiuse pesantemente, facendo ricadere la grave maniglia nella sua posizione originale. Il poliziotto appena entrato, vestito con una bianca camicia a maniche lunghe arrotolate sui gomiti e cinta da grosse bretelle marroni, appoggiò la mano al manico del portone d’acciaio e si assicurò che il varco fosse ben chiuso. Colbain lo fissò intensamente, cercando di scorgere in lui spiragli di rassicurazione e quiete, ma vi trovò solo terrore e ferrea disciplina. Conosceva già la procedura, poiché già l’aveva subita molti anni prima quando l’avevano raccolto in quella cantina, ma la temeva ancora. Sapeva che non avrebbe dovuto intimorirsi, ma non riusciva a trattenere il nervosismo.

-   Allora, ragazzo, come va? – gli disse il poliziotto, cercando di calmarlo un poco. In realtà anche

     lui era molto agitato, poiché la vittima era stato il figlio di un suo amato collega.   

-    Non lo so – rispose il ragazzo, intimorito dal suo interlocutore. La sedia fredda gli congelava le

     gambe già infreddolite, facendo fremere la sua pelle per i brividi.

-    Mmm – mugugnò il pubblico ufficiale, annuendo – Allora, ragazzo, mi puoi dire esattamente

     cosa hai visto in quegli istanti? So che non è facile parlarne, ma ci faresti un grosso favore. Ah –

     aggiunse, vagando per la stanza a passi lenti e con le mani piegate dietro la schiena – fai con

     calma.

I pesanti passi risuonavano nella camera come battiti di un grosso desolato tamburo. Il giovane guardò il tavolo su cui aveva appena poggiato le proprie mani raggrinzite e sbiancate, cercando nella solitudine di quello sguardo vuoto un ricordo recente. Vagò nel suo cuore in cerca di un po’ di coraggio, quindi parlò:

-   Avevamo appena servito la torta.. il.. la vittima.. stava per spegnere le candele.. allora.. il vetro

     s’è rotto e la sua testa è esplosa.. – Grant sembrava un fiume in piena, bloccato talvolta da

     piccole rocce di insicurezza - dall’altra parte della strada.. c’era.. un uomo.. con una pistola in

     mano.. appena è uscito Mike.. lui.. è scappato via..

-   Ok.. ora.. mi sapresti dire.. più o meno.. com’era quell’uomo? – chiese l’interlocutore.

-   Q-quale? Quello.. – rispose il ragazzo.

-    Il.. quello con in mano la pistola. – affermò il poliziotto, appoggiando le mani al tavolo e

     avvicinandosi così all’interrogato, posto proprio di fronte a lui.

-    Era.. – disse il giovane, cercando di trovare nella sua mente un piccolo ricordo – era.. non.. non

      lo so..

-    Ok..- affermò distratto l’interrogatore, cercando nelle proprie tasche qualcosa – Se ti faccio

      vedere delle foto, mi sai dire chi è?

-    Non.. non lo so – rispose Grant, guardando il volto indaffarato dell’agente.

Il suo interlocutore estrasse dalla giacca due o tre foto di un corpo apparentemente distrutto. Dovevano essere i resti del cadavere del presunto assassino.

-    So che sono foto un po’ dure, ma riconosci quest’uomo? – chiese l’ispettore.

Le immagini erano crude, fredde, oscure. I poveri macabri rimasugli erano disposti su un tavolino metallico. Si intravedeva un mucchietto di capelli, una mano, un tratto di viso, un pezzo di collo. Tutto era macchiato dal sangue, ormai condensato, e dal nero delle ruote e del catrame.

Colbain le osservò bene, impressionato dalla forza di quelle visioni, cercando al loro interno una reazione, un ricordo, un segno. Scorse nell’occhio del cadavere, in quel piccolo bulbo rossastro e vuoto, una luce, una sorta di reminescenza. L’aveva già visto, l’aveva già notato. Quell’occhio lo osservava, lo guardava, attendeva impaziente la sua risposta al poliziotto.

-    Sì, è lui! – disse il ragazzo, con istintiva sicurezza.

L’ispettore lo fissò a lungo, poi, con un’espressione sollevata, raccolse le foto e disse – Bene.. puoi andare. Grazie dell’aiuto. – Si rimise quindi le immagini in tasca e aprì il portone, stando poi sulla sua soglia in piedi aspettando l’uscita dell’interrogato.

L’interrogatorio era finito. Grant aveva svolto il suo compito appieno ed ora poteva tornare ai suoi piaceri. Avrebbe vagato ancora per qualche ora al parco, per poi tornare nuovamente a pensare al da farsi.

 

 
 
 

RITROVO ALL'ULTIMO PIANO

Post n°24 pubblicato il 27 Agosto 2008 da sangueedanima
 

-  Buongiorno! – gli gridò una voce, appena fu sveglio. Il lago si faceva sentire vicino ai suoi piedi,

    colmando il suo cranio di calma e angoscia – Dormito bene?

Colbain alzò la schiena pesante, grattandosi la fronte pulsante e cercando di concentrare lo sguardo, intontito dalla luce improvvisa. Le paperelle nuotavano nel lago, ferme e ieratiche nella loro freddezza, mentre uno stormo di cigni passeggiava nel cielo. Tutto l’ambiente era più chiaro, estremamente più chiaro. Il cielo aveva ormai assunto un colore paglierino, mentre i prati e le docili acque erano dipinte di un tenero rosa. Nessuno, oltre a lui e al suo interlocutore, si trovava in quel luogo misterioso.

-   Sì – disse Grant, automaticamente, senza pensare. Si stropicciò gli occhi, come se quello scenario

    fosse tutt’altro che straordinario. Di fianco a lui, seduto comodamente sul roseo prato, stava un

    uomo alto, di carnagione chiarissima, bruno e robusto.

-  Guarda quella papera! – aggiunse l’uomo sogghignando – Si è capovolta!

-  Già – rispose Colbain, non trascinando le risate di quell’individuo sulla propria persona.

I due guardavano il lago, tranquilli e beati nel loro riposo. Le anatre circolavano sulla sua superficie aspettandosi molliche e regalini dal vento. La brezza spazzava i piccoli arbusti della larga pianura estirpando piccole macchie di polline e foglie leggere.

-   Perché.. – disse il ragazzo, lanciando un sasso nel bacino di fronte a lui e confondendone le

    acque – perché te ne sei andato.. così.. presto?

L’uomo continuò a fissare le papere, non rivolgendo il proprio sguardo al giovane conoscente.

-   Non l’ho deciso io. E’ stato giusto così – rispose, quindi, lo strano personaggio.

-   Io.. io.. ho sofferto tanto! – affermò Grant, alzando la voce e il corpo in segno di protesta e

    struggendo la sua voce in un pianto accennato – Perché dovrei credere in qualcuno che mi ha

    fatto soffrir così tanto?

-   Tu.. non puoi capire.. è una cosa più grande di te.. e poi.. che diritto hai di dirlo? Se non ti avesse

    dato la vita.. ora non saresti neppure qui a lamentarti.. – dichiarò l’uomo, alzando anche lui la

     voce, ma stando fermo immobile al suo posto.

-    Non è giusto! – gridò il ragazzo, gettando un pugno di sassi nel lago.

-    Che diritto hai per poter dire cosa è giusto? – disse calmo l’individuo, dopo qualche attimo di

      silenzio – Ciò che è stato è stato. Ciò che era stato deciso è stato e sarà. Devi solo accettarlo.

Vuoto. Le parole erano finite e ora tutto era quiete. Le anatre erano tornate a proteggere i loro pulcini, i cigni si erano nuovamente posati sulla superficie dell’acqua.

-     Comunque.. io sto bene.. – affermò la strana figura – inoltre.. anche se un poco sconvolto.. vedo

       bene anche te.

-     .. – Grant stette zitto, fissando l’immensità di quel bacino artificiale irreale. – mi manchi – disse,

      infine.

-    Lo so. – disse l’uomo, volgendo il viso al ragazzo. Il volto era oscuro, nebbioso. Non c’erano né

      occhi, né bocca, né un qualsiasi naso. Solo quella claustrofobica pelle bianca sfocata e quei folti

      capelli nocciola – ora devo andare. Ciao.

-    No! – gridò il ragazzo, afferrando quella figura ombrosa – Non te ne andare! – strillò

      potentemente, mentre i cigni si sollevavano dalla superficie dello stagno per sparire nell’oblio di

      un falso cielo. – Papàaaaaaa! 

Il ricordo di quel suo affettuoso padre stava ormai svanendo nel vuoto. I suoi lineamenti, le sue fattezze, stavano scomparendo nell’oblio di una mente confusa e colpita da ripetute tragedie. Grant stava per perderlo un’altra volta, cancellandolo perfino dalla sua mente desiderosa d’affetto.

-    Perché non posso rivederti? Papàaaaaaa! – gridò, stremato – Ti rivedrò, lo giuro! Ti rivedrò.

Il lago scomparve, insieme alle papere, ai cigni, al fogliame e alla brezza. Tutto si fece per un attimo buio, poi la luce invase le palpebre e si infiltrò vigorosamente e violentemente nella mente del ragazzo. Si era svegliato. Il freddo della notte lo aveva quasi assiderato, rinchiudendogli gli arti in un grande torpore. Un poliziotto lo fissava, sbattendo ripetutamente il manganello sulla propria mano sinistra.

-    Abbiamo fatto tardi, eh? – chiese il pubblico ufficiale.

Grant si alzò e, scusandosi con la guardia, si ripulì i vestiti sporchi d’erba e di terra. Un’altra dura giornata lo attendeva.

 

 
 
 

RITROVO AL MONUMENTUM

Post n°23 pubblicato il 26 Agosto 2008 da sangueedanima
 

 

Cosa fare ora? Ogni qualvolta aveva cercato nell’infinità del mondo sensibile un luogo lontano dalla tragedia dell’infanzia non aveva trovato altro che sangue, oscurità e delusione. L’angelo nero, che gli era sembrato una buona ancora di salvezza, si era subito rivelato per il demone che era; il collegio, prima promettente nido, si era trasformato in un secondo tempo in un’oscura prigione; il profeta, lo storico, non era altro che un uomo solo e confuso; il bar, luogo di verità assolute, era ora solo il luogo di un omicidio. Tutto era perduto e lontano dietro le spalle. Perché avrebbe dovuto tornare al locale, alla sua stanza, al suo letto? Non avrebbe forse trovato altre sofferenze, altro sangue, altra violenza? Perché avrebbe dovuto sopportare ancora tutto questo? Non sarebbe stato meglio sparire per sempre, estinguersi nell’oblio di un nulla inesistente? Non sarebbe stato meglio terminare la lunga corsa lungo il corso della vita lì, su quel ponte, su quel fiume?

Grant vagava ormai da parecchie ore per la città, cercando una ragione alla sua misera e sfortunata vita nei vicoli persi di una metropoli nascosta. Era ormai passato sopra il ponte, quel grosso ponte che aveva ispirato tante persone ad abbandonare il mondo per cercare conforto da qualche altra parte, in qualche altro luogo indipendente da questo mondo sensibile o forse addirittura nel nulla. Cercava una strettoia, un porticato, una stazione in cui poter dormire e lasciar perdere definitivamente la piccola vita sociale in cui finora era sopravvissuto. Camminava sul lungo marciapiede nella notte scura, mentre le auto sfrecciavano a qualche centimetro dal suo corpo, cercando l’ultimo rifugio della sua esistenza. Ogni angolo, ogni settore era già pieno di disperati e poveracci, persone dimenticate dal mondo e trascurate da uno Stato opprimente che li aveva completamente estraniati. I poveri stracci e le scarpe bucate ornavano quel mondo umile e misero, cingendolo con un velo di tovaglie rotte e di maglioni forati. Le lunghe barbe ed i capelli sporchi e umidi riflettevano il buio della notte e la luce dei grossi lampioni, fari di un bene artificiale che i poveracci potevano solo osservare. Colbain passeggiava tra quei vicoli e non trovava posto. Nella piccolezza della loro proprietà non consentita, i barboni vietavano ad altri l’accesso ai loro minuscoli territori. Le case, quelle magioni luminose e imponenti nella loro calda accoglienza,  finirono. La lunga strada alla sinistra del ragazzo si fece più trafficata. Davanti a lui comparve un grande parco illuminato alle cui porte stavano di guardia alcuni uomini. Grant penetrò dalle ampie inferriate col consenso dei guardiani e si incamminò lungo le grosse aiuole ricamate da molteplici fiori. Le panchine erano quasi tutte occupate nonostante la stretta sorveglianza e Colbain dovette sedersi sul morbido prato verde appena tagliato in riva ad un laghetto artificiale. Le papere dormivano tra il fogliame e il silenzio regnava incontrastato insieme alla luce delle grosse lampade e delle piccole stelle. Il giovane si distese completamente, appoggiando la pesante testa sulla pungente erba che un poco gli solleticava le orecchie e guardando le piccole luci stellari dipinte nell’oscurità dell’immenso cielo sopra ai propri occhi. Non pensava a nulla. Guardava quell’immensa coperta lucente che lo sommergeva e non pensava a null’altro che a cercare dentro quel manto un po’ di conforto. Il bianco degli astri più lontani sembrava spezzare in un primo momento quell’enorme indaco, per poi ripiombarne sotto per effetto di quell’immensa coltre.

Colbain tremava. Il freddo aspergeva i suoi petali gelati su di lui, soffiando una leggera brezza sul suo corpo. Aveva perso tutto, ed era colpa sua. Perché era fuggito così? Aveva già visto crimini ben più efferati, tragedie ben più profonde, eppure era scappato. Poteva esser fuggito solo per quel motivo? Quel sogno intoccabile di una felice famigliola, tangibile solo davanti ai propri occhi, era subito svanito. Quell’immagine, quell’amore che circondava quelle tre figure, era scomparso nella traiettoria di un proiettile. Tutto era svanito nel nulla. La verità, quella piccola verità che aveva trovato in quei tre familiari, si era dileguata nel boato di una pistola. Cosa rimaneva ora? Quale altra immagine felice sopravviveva ormai nella mente di Grant? Nessuna?

Le piccole onde del laghetto artificiale sparivano nella risacca, creando nello specchio d’acqua piccoli oblò concentrici di perfezione. Il freddo pungente e il cielo opprimente, troppo a lungo osservato, affaticarono gli occhi e il respiro di Colbain. Stava cedendo al sonno che poco a poco invadeva le sue tempie, inebriando il suo pensiero di follie e vagheggiamenti. Ormai la stanchezza si faceva sentire. Era stato sveglio per tutta la scorsa notte e aveva lavorato senza tregua per tutto il giorno, relegando la fatica in un minuscolo antro del suo animo. Ora meritava un poco di riposo.

-  Buonanotte – disse, reagendo involontariamente agli stimoli che il corpo gli inviava. Dopodiché

   si voltò su un fianco. E dormì.           

   

 

 
 
 

VANA RESISTENZA

Post n°22 pubblicato il 24 Agosto 2008 da sangueedanima
 

 

Quella notte era passata lenta, ma ora il pavimento era completamente pulito. Si era presentato al lavoro in perfetto orario, ma, come aveva effettivamente previsto, in condizioni pessime. Aveva gli occhi completamente sbarrati dal sonno e dalla fatica di un riposo non tanto duraturo e confortante, ma si era comunque presentato puntuale. Il capo, contrariamente a quanto pensava, non gli fece alcun rimprovero, anzi, lo elogiò per la perfetta pulizia del locale. La gente tardava ancora ad arrivare, così Grant ebbe il tempo di prepararsi una decente colazione e di preparare i tavoli per il prossimo pranzo. Mise le tovaglie di carta verde pisello, i piatti piani in ceramica bianca e i bicchieri di vetro plasticato, poi collocò su ogni tavolino un vasetto di vetro blu lungo e stretto contenente due o tre fiori colorati. Tornò quindi al bancone e, appoggiando ambedue le braccia sul legno levigato, si fermò ad attendere la clientela.

Verso mezzogiorno, Il Dritto, frequentatore abitualmente notturno del locale, entrò spalancando le ampie porte alla sua famigliola e gettando un’occhiata di saluto verso il barista. I tre si sedettero ad un tavolo lontano sulla sinistra, dove non potevano essere ascoltati né osservati. Il figlio, un casinista di prim’ordine, vociava potentemente gridando insulti ad autisti e professori sconosciuti. La madre, indispettita e innervosita, lo guardava con sguardo punitivo mentre gli tirava forte sul coppino repentine sberle. Mike si sedette, calmo e con un largo sorriso, spostando la tovaglia sopra le gambe e guardando felice e sconsolato la scena. Grant, dal bancone, lo fissava, cercando in lui un qualsiasi bisogno. Era una giornata tranquilla e soleggiata. Le nuvole sembravano essere sparite nel nulla, come se, dopo lo sfogo, il cielo si fosse tutt’a un tratto calmato. La famiglia discuteva pacatamente del più e del meno, aspettando un cameriere che la servisse. Colbain si avvicinò con fare sospetto e infine chiese:

-  Allora.. avete già deciso?

-   Oh, eccolo! – esclamò Il Dritto mostrando il ragazzo ai familiari – Questo è il barista di cui vi

    parlavo.

Grant sembrò un attimo spaventato da tutta quella improvvisa attenzione, poi, abbassando lo sguardo, disse:

-  Beh, piacere.

-  Figliolo, questo giovanotto lavora fino a notte tarda per mantenersi!  Mica come te che passi il

    tempo a cazzeggiare!- disse Mike – Inoltre è un tipo veramente intelligente.. è strano trovar tipi

    così in bettole del genere!

-   Papà! – gridò il figlio – Controllati!

La stanza aveva incentrato la sua attenzione sul trio, svegliata da quell’impropria affermazione. La moglie guardò il marito con aria irritata, poi fissò Colbain e disse, sogghignando:

-   Sai che mio marito torna dal lavoro parlando sempre di te? E’ ossessionato! A volte mi chiedo se

     tu non sia il suo amante!

Il ragazzo arrossì per la vergogna, tra le risa dei clienti, non proferendo neanche una parola. Si ricompose un attimo e quindi disse:

-    Volete ordinare?

-    Ah – rispose la donna, colpita e sorpresa dalla strana reazione – Sì.. vorrei.. una bistecca di

     manzo.. non troppo cotta, mi raccomando – dichiarò, accennando un lieve sorriso. L’imbarazzo e

     la timidezza del barista l’avevano piacevolmente impressionata.

-    Io.. – affermò il figlio di Mike – prendo.. un arrosto con patate. E poi prenderò il dolce, vero

      papà?- chiese al padre.

-    Scegli tu. E’ il tuo compleanno, non il mio – disse Il Dritto, sottintendendo qualcosa verso

      Grant, come volesse uno speciale trattamento per l’erede.

Colbain scrisse tutto sul taccuino, annuì accennando un inchino e si ritirò verso la cucina.

La giornata sembrava calma e normale, ma qualcosa si fiutava nell’aria. La calma precede sempre la tempesta e la felicità precede sempre il dolore. I tre mangiavano tranquillamente, non aspettandosi nulla dal futuro prossimo. Il cibo era buono e scendeva per il palato veloce e dolce come la neve su un prato. Il vetro, accanto al tavolo, mostrava una città tranquilla e allegra, rinchiusa nella celebrazione di quel piccolo cielo blu incastonato tra gli alti palazzi. Le auto passavano lente, quasi calmate dall’atmosfera dolciastra, mentre gli uccelli svolazzavano tra le nuvole. Il dialogo e il pranzo della famiglia era ininterrotti e la sua felicità traspariva nei volti e nell’aria. Mike, con il grosso distintivo piegato nel taschino della camicia, sorseggiava allegramente il vino godendosi il momento in compagnia dei suoi cari.

-    Grant – gridò ad un certo punto il poliziotto – era tutto squisito. Complimenti al cuoco.

Colbain stava passando da quel tavolo proprio in quel momento, quindi si fermò a parlare, cercando nel dialogo un po’ di pace e di sollievo dal duro lavoro.

-     Ok, glielo dirò. Volete il dolce? – chiese quindi il barista.

-     Ehm.. – disse il festeggiato, guardando i visi consenzienti dei genitori – sì, vogliamo il dolce.

Il noto cameriere propose quindi i vari tipi di torta, suggerendo caldamente quella speciale della giornata e allontanandosi poi a decisione presa. Il sorriso della famigliola era abbagliante e visibile da lontano, anche da quei posti da cui la suddetta si era nascosta. Il giovane non stava più nella pelle. Era un goloso e attendeva quindi il dolce come una benedizione.

Colbain ordinò la torta, caldeggiando un festeggiamento da parte del locale con canzoncina del personale e candeline. Ad ogni modo, dopo qualche minuto, convinse i colleghi a canticchiare gli auguri portando il dolce fuori dalla cucina e ignorando, per un po’, i commenti degli altri clienti. La famiglia fu perfettamente servita e il compleanno fu celebrato come di norma. Il figlio di Mike, imbarazzato, tornò per un attimo il bambino che era stato a lungo.

-      Soffia! Soffia! Soffia! Soffia! – gridava la gente intorno, esortandolo a spegnere le candeline.

Il giovane preparò un ampio respiro. Poi avvenne. Il vetro si ruppe in mille frammenti. Nel locale risuonò il metallo di uno sparo. Dall’altra parte della strada, un bruto trasandato impugnava una grossa pistola, diretta contro il ristorante. Lo sguardo di Mike era terrorizzato e sull’orlo del pianto. Il sangue era schizzato sui camici e sugli altri tavoli. La testa del giovane giaceva, aperta come un cocomero,  sulla torta tanto voluta e che aveva ora assunto un colore violaceo. Il personale era terrorizzato. Vomitavano, urlavano, correvano. Colbain era stato spinto a terra e giaceva, appoggiato ai gomiti e con lo sguardo svuotato, sul pavimento lavato la notte prima e ora pieno di macchie. La madre stringeva il corpo del figlio piangendo furiosamente. Aveva l’abito della festa tutto macchiato. Il Dritto, preso da una rabbia furiosa, corse fuori dal ristorante lanciando un potente urlo. Cominciò a rincorrere l’omicida con tutta l’ira che aveva in corpo, spingendo le sue gambe oltre ogni limite. Grant era ancora a terra, a guardare il cadavere di quello che fino a poco tempo prima era stato il festeggiato e la madre che cingeva il corpo vuoto disperandosi. Dopo tanto tempo, Colbain aveva rivisto un morto. E non ne aveva visto solo il corpo. Aveva visto l’attimo. Il proiettile era penetrato nella nuca e, fuoriuscendo dall’altra parte del cranio, lo aveva aperto come un caco. I rimasugli erano dappertutto, perfino sulle sue mani, quelle stesse mani che poco prima avevano posato sul tavolo la torta, quella torta che ora faceva da cuscino al capo svuotato.

Mike correva furiosamente dietro al farabutto. Giunsero ad un incrocio. Il pazzo attraversò la strada senza aspettare il semaforo e senza guardare se passasse qualche macchina. Era pomeriggio, e il sole batteva sull’asfalto. I passi furono lesti e inattesi. Nessuna macchina passò, solo un camion, un grosso camion. L’assassino fu colto di sorpresa in mezzo alla strada e preso in pieno. I freni partirono in ritardo, trascinando il corpo a vari metri tra il paraurti e le ruote anteriori. Il Dritto era fermo sul ciglio della strada, in piedi, appoggiato con le mani sulle ginocchia, a vedere l’orribile scena. Aveva fatto la fine che meritava? O forse meritava di peggio? Di certo non fu questo il primo pensiero del poliziotto. Pensò al suo ragazzo morto e stette lì, fermo, davanti al traffico bloccato, a non pensare a nulla, per non soffrire.

Al locale giunse una volante della polizia. Troppo tardi, inutilmente. Portarono via il corpo nella grossa sacca nera e fecero uscire tutta la gente, cingendo il luogo con un nastro giallo e allontanando i curiosi. Cominciarono a giungere i giornalisti. Qualcuno osò pure tentare di intervistare la madre della vittima, cinta da una coperta per sopportare il freddo che era sopraggiunto al calar della sera e da un muro di sofferenza. Aveva ormai finito le lacrime ed ora era lì, a fissare nel vuoto e ad addolorarsi della scomparsa di qualcuno che non meritava di morire in quel modo.

Mike fu recuperato da un’altra volante. Lo trovarono appoggiato su un muro, fermo e con lo sguardo vuoto. Non aveva pianto, non aveva pensato. Il corpo dell’assassino fu raggranellato in varie operazioni, bloccando il traffico imbestialito e i soliti inopportuni curiosi. Grant vagava ormai da ore per la città cercando di capire il perché di una tale tragedia. Quel pomeriggio, le sue speranze di trovare nel bar una risposta erano finite. Erano rimaste lì, a fissare quel cadavere, quel corpo morto e rimpianto. Erano rimaste lì, in quel ristorante, a vagare per l’eternità.

 

 

 
 
 
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