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RITROVO ALL'ULTIMO PIANO

Post n°24 pubblicato il 27 Agosto 2008 da sangueedanima
 

-  Buongiorno! – gli gridò una voce, appena fu sveglio. Il lago si faceva sentire vicino ai suoi piedi,

    colmando il suo cranio di calma e angoscia – Dormito bene?

Colbain alzò la schiena pesante, grattandosi la fronte pulsante e cercando di concentrare lo sguardo, intontito dalla luce improvvisa. Le paperelle nuotavano nel lago, ferme e ieratiche nella loro freddezza, mentre uno stormo di cigni passeggiava nel cielo. Tutto l’ambiente era più chiaro, estremamente più chiaro. Il cielo aveva ormai assunto un colore paglierino, mentre i prati e le docili acque erano dipinte di un tenero rosa. Nessuno, oltre a lui e al suo interlocutore, si trovava in quel luogo misterioso.

-   Sì – disse Grant, automaticamente, senza pensare. Si stropicciò gli occhi, come se quello scenario

    fosse tutt’altro che straordinario. Di fianco a lui, seduto comodamente sul roseo prato, stava un

    uomo alto, di carnagione chiarissima, bruno e robusto.

-  Guarda quella papera! – aggiunse l’uomo sogghignando – Si è capovolta!

-  Già – rispose Colbain, non trascinando le risate di quell’individuo sulla propria persona.

I due guardavano il lago, tranquilli e beati nel loro riposo. Le anatre circolavano sulla sua superficie aspettandosi molliche e regalini dal vento. La brezza spazzava i piccoli arbusti della larga pianura estirpando piccole macchie di polline e foglie leggere.

-   Perché.. – disse il ragazzo, lanciando un sasso nel bacino di fronte a lui e confondendone le

    acque – perché te ne sei andato.. così.. presto?

L’uomo continuò a fissare le papere, non rivolgendo il proprio sguardo al giovane conoscente.

-   Non l’ho deciso io. E’ stato giusto così – rispose, quindi, lo strano personaggio.

-   Io.. io.. ho sofferto tanto! – affermò Grant, alzando la voce e il corpo in segno di protesta e

    struggendo la sua voce in un pianto accennato – Perché dovrei credere in qualcuno che mi ha

    fatto soffrir così tanto?

-   Tu.. non puoi capire.. è una cosa più grande di te.. e poi.. che diritto hai di dirlo? Se non ti avesse

    dato la vita.. ora non saresti neppure qui a lamentarti.. – dichiarò l’uomo, alzando anche lui la

     voce, ma stando fermo immobile al suo posto.

-    Non è giusto! – gridò il ragazzo, gettando un pugno di sassi nel lago.

-    Che diritto hai per poter dire cosa è giusto? – disse calmo l’individuo, dopo qualche attimo di

      silenzio – Ciò che è stato è stato. Ciò che era stato deciso è stato e sarà. Devi solo accettarlo.

Vuoto. Le parole erano finite e ora tutto era quiete. Le anatre erano tornate a proteggere i loro pulcini, i cigni si erano nuovamente posati sulla superficie dell’acqua.

-     Comunque.. io sto bene.. – affermò la strana figura – inoltre.. anche se un poco sconvolto.. vedo

       bene anche te.

-     .. – Grant stette zitto, fissando l’immensità di quel bacino artificiale irreale. – mi manchi – disse,

      infine.

-    Lo so. – disse l’uomo, volgendo il viso al ragazzo. Il volto era oscuro, nebbioso. Non c’erano né

      occhi, né bocca, né un qualsiasi naso. Solo quella claustrofobica pelle bianca sfocata e quei folti

      capelli nocciola – ora devo andare. Ciao.

-    No! – gridò il ragazzo, afferrando quella figura ombrosa – Non te ne andare! – strillò

      potentemente, mentre i cigni si sollevavano dalla superficie dello stagno per sparire nell’oblio di

      un falso cielo. – Papàaaaaaa! 

Il ricordo di quel suo affettuoso padre stava ormai svanendo nel vuoto. I suoi lineamenti, le sue fattezze, stavano scomparendo nell’oblio di una mente confusa e colpita da ripetute tragedie. Grant stava per perderlo un’altra volta, cancellandolo perfino dalla sua mente desiderosa d’affetto.

-    Perché non posso rivederti? Papàaaaaaa! – gridò, stremato – Ti rivedrò, lo giuro! Ti rivedrò.

Il lago scomparve, insieme alle papere, ai cigni, al fogliame e alla brezza. Tutto si fece per un attimo buio, poi la luce invase le palpebre e si infiltrò vigorosamente e violentemente nella mente del ragazzo. Si era svegliato. Il freddo della notte lo aveva quasi assiderato, rinchiudendogli gli arti in un grande torpore. Un poliziotto lo fissava, sbattendo ripetutamente il manganello sulla propria mano sinistra.

-    Abbiamo fatto tardi, eh? – chiese il pubblico ufficiale.

Grant si alzò e, scusandosi con la guardia, si ripulì i vestiti sporchi d’erba e di terra. Un’altra dura giornata lo attendeva.

 

 
 
 
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