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RITROVO AL MONUMENTUM

Post n°23 pubblicato il 26 Agosto 2008 da sangueedanima
 

 

Cosa fare ora? Ogni qualvolta aveva cercato nell’infinità del mondo sensibile un luogo lontano dalla tragedia dell’infanzia non aveva trovato altro che sangue, oscurità e delusione. L’angelo nero, che gli era sembrato una buona ancora di salvezza, si era subito rivelato per il demone che era; il collegio, prima promettente nido, si era trasformato in un secondo tempo in un’oscura prigione; il profeta, lo storico, non era altro che un uomo solo e confuso; il bar, luogo di verità assolute, era ora solo il luogo di un omicidio. Tutto era perduto e lontano dietro le spalle. Perché avrebbe dovuto tornare al locale, alla sua stanza, al suo letto? Non avrebbe forse trovato altre sofferenze, altro sangue, altra violenza? Perché avrebbe dovuto sopportare ancora tutto questo? Non sarebbe stato meglio sparire per sempre, estinguersi nell’oblio di un nulla inesistente? Non sarebbe stato meglio terminare la lunga corsa lungo il corso della vita lì, su quel ponte, su quel fiume?

Grant vagava ormai da parecchie ore per la città, cercando una ragione alla sua misera e sfortunata vita nei vicoli persi di una metropoli nascosta. Era ormai passato sopra il ponte, quel grosso ponte che aveva ispirato tante persone ad abbandonare il mondo per cercare conforto da qualche altra parte, in qualche altro luogo indipendente da questo mondo sensibile o forse addirittura nel nulla. Cercava una strettoia, un porticato, una stazione in cui poter dormire e lasciar perdere definitivamente la piccola vita sociale in cui finora era sopravvissuto. Camminava sul lungo marciapiede nella notte scura, mentre le auto sfrecciavano a qualche centimetro dal suo corpo, cercando l’ultimo rifugio della sua esistenza. Ogni angolo, ogni settore era già pieno di disperati e poveracci, persone dimenticate dal mondo e trascurate da uno Stato opprimente che li aveva completamente estraniati. I poveri stracci e le scarpe bucate ornavano quel mondo umile e misero, cingendolo con un velo di tovaglie rotte e di maglioni forati. Le lunghe barbe ed i capelli sporchi e umidi riflettevano il buio della notte e la luce dei grossi lampioni, fari di un bene artificiale che i poveracci potevano solo osservare. Colbain passeggiava tra quei vicoli e non trovava posto. Nella piccolezza della loro proprietà non consentita, i barboni vietavano ad altri l’accesso ai loro minuscoli territori. Le case, quelle magioni luminose e imponenti nella loro calda accoglienza,  finirono. La lunga strada alla sinistra del ragazzo si fece più trafficata. Davanti a lui comparve un grande parco illuminato alle cui porte stavano di guardia alcuni uomini. Grant penetrò dalle ampie inferriate col consenso dei guardiani e si incamminò lungo le grosse aiuole ricamate da molteplici fiori. Le panchine erano quasi tutte occupate nonostante la stretta sorveglianza e Colbain dovette sedersi sul morbido prato verde appena tagliato in riva ad un laghetto artificiale. Le papere dormivano tra il fogliame e il silenzio regnava incontrastato insieme alla luce delle grosse lampade e delle piccole stelle. Il giovane si distese completamente, appoggiando la pesante testa sulla pungente erba che un poco gli solleticava le orecchie e guardando le piccole luci stellari dipinte nell’oscurità dell’immenso cielo sopra ai propri occhi. Non pensava a nulla. Guardava quell’immensa coperta lucente che lo sommergeva e non pensava a null’altro che a cercare dentro quel manto un po’ di conforto. Il bianco degli astri più lontani sembrava spezzare in un primo momento quell’enorme indaco, per poi ripiombarne sotto per effetto di quell’immensa coltre.

Colbain tremava. Il freddo aspergeva i suoi petali gelati su di lui, soffiando una leggera brezza sul suo corpo. Aveva perso tutto, ed era colpa sua. Perché era fuggito così? Aveva già visto crimini ben più efferati, tragedie ben più profonde, eppure era scappato. Poteva esser fuggito solo per quel motivo? Quel sogno intoccabile di una felice famigliola, tangibile solo davanti ai propri occhi, era subito svanito. Quell’immagine, quell’amore che circondava quelle tre figure, era scomparso nella traiettoria di un proiettile. Tutto era svanito nel nulla. La verità, quella piccola verità che aveva trovato in quei tre familiari, si era dileguata nel boato di una pistola. Cosa rimaneva ora? Quale altra immagine felice sopravviveva ormai nella mente di Grant? Nessuna?

Le piccole onde del laghetto artificiale sparivano nella risacca, creando nello specchio d’acqua piccoli oblò concentrici di perfezione. Il freddo pungente e il cielo opprimente, troppo a lungo osservato, affaticarono gli occhi e il respiro di Colbain. Stava cedendo al sonno che poco a poco invadeva le sue tempie, inebriando il suo pensiero di follie e vagheggiamenti. Ormai la stanchezza si faceva sentire. Era stato sveglio per tutta la scorsa notte e aveva lavorato senza tregua per tutto il giorno, relegando la fatica in un minuscolo antro del suo animo. Ora meritava un poco di riposo.

-  Buonanotte – disse, reagendo involontariamente agli stimoli che il corpo gli inviava. Dopodiché

   si voltò su un fianco. E dormì.           

   

 

 
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