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VAGARE IN ETERNO

Post n°25 pubblicato il 28 Agosto 2008 da sangueedanima
 

La centrale di polizia non era certo l’ambiente più accogliente della città, ma non si può dire che non fosse un posto interessante. Gente che andava, gente che veniva, gente ricca di storie e di avventure, di verità e di bugie, gente che affollava quel posto rendendolo una vera e propria torre di Babele. Colbain vi era stato trascinato da un ufficiale che lo aveva trovato mezzo assiderato a dormire davanti ad un laghetto in un parco di periferia e che ora, riconoscendolo come testimone dell’omicidio del giorno prima, voleva una sua dichiarazione. Come si sa, i processi hanno bisogno di testimonianze dirette. Quel camion, schiacciando colui che avrebbe dovuto essere il colpevole, aveva eliminato per sempre qualsiasi possibilità di confessione e di pena giudiziaria. Inoltre, non avendo la sicurezza che l’investito fosse in realtà l’assassino, la polizia avrebbe dovuto raccogliere prove sufficienti ad archiviare il caso e a interrompere per sempre le ricerche di un altro possibile colpevole. Il fatto che la vittima fosse il figlio di un noto ispettore e che proprio quest’ultimo aveva portato un importante testimonianza non cambiava le cose: la prova non era certo per questi motivi inconfutabile e il teste non era per questo indubitabile. Chi poteva confermare che la persona investita dal camion fosse l’assassino? Chi aveva visto perfettamente il suo viso al momento dello sparo? Chi, se non l’ispettore e qualche distratto autista, lo aveva visto chiaramente gettarsi nel traffico? Conclusione: tutti i presenti dovevano essere interrogati. Incluso Colbain, ovviamente.

Spinsero Grant in una stanza buia corredata solo da un grande tavolo di plastica, una lampada da interrogatorio e due piccole sedie bianche. La luce era soffusa e l’ossigeno scarso. Il ragazzo si sedette su una delle seggiole, allungando successivamente le mani sul banco. La porta si richiuse pesantemente, facendo ricadere la grave maniglia nella sua posizione originale. Il poliziotto appena entrato, vestito con una bianca camicia a maniche lunghe arrotolate sui gomiti e cinta da grosse bretelle marroni, appoggiò la mano al manico del portone d’acciaio e si assicurò che il varco fosse ben chiuso. Colbain lo fissò intensamente, cercando di scorgere in lui spiragli di rassicurazione e quiete, ma vi trovò solo terrore e ferrea disciplina. Conosceva già la procedura, poiché già l’aveva subita molti anni prima quando l’avevano raccolto in quella cantina, ma la temeva ancora. Sapeva che non avrebbe dovuto intimorirsi, ma non riusciva a trattenere il nervosismo.

-   Allora, ragazzo, come va? – gli disse il poliziotto, cercando di calmarlo un poco. In realtà anche

     lui era molto agitato, poiché la vittima era stato il figlio di un suo amato collega.   

-    Non lo so – rispose il ragazzo, intimorito dal suo interlocutore. La sedia fredda gli congelava le

     gambe già infreddolite, facendo fremere la sua pelle per i brividi.

-    Mmm – mugugnò il pubblico ufficiale, annuendo – Allora, ragazzo, mi puoi dire esattamente

     cosa hai visto in quegli istanti? So che non è facile parlarne, ma ci faresti un grosso favore. Ah –

     aggiunse, vagando per la stanza a passi lenti e con le mani piegate dietro la schiena – fai con

     calma.

I pesanti passi risuonavano nella camera come battiti di un grosso desolato tamburo. Il giovane guardò il tavolo su cui aveva appena poggiato le proprie mani raggrinzite e sbiancate, cercando nella solitudine di quello sguardo vuoto un ricordo recente. Vagò nel suo cuore in cerca di un po’ di coraggio, quindi parlò:

-   Avevamo appena servito la torta.. il.. la vittima.. stava per spegnere le candele.. allora.. il vetro

     s’è rotto e la sua testa è esplosa.. – Grant sembrava un fiume in piena, bloccato talvolta da

     piccole rocce di insicurezza - dall’altra parte della strada.. c’era.. un uomo.. con una pistola in

     mano.. appena è uscito Mike.. lui.. è scappato via..

-   Ok.. ora.. mi sapresti dire.. più o meno.. com’era quell’uomo? – chiese l’interlocutore.

-   Q-quale? Quello.. – rispose il ragazzo.

-    Il.. quello con in mano la pistola. – affermò il poliziotto, appoggiando le mani al tavolo e

     avvicinandosi così all’interrogato, posto proprio di fronte a lui.

-    Era.. – disse il giovane, cercando di trovare nella sua mente un piccolo ricordo – era.. non.. non

      lo so..

-    Ok..- affermò distratto l’interrogatore, cercando nelle proprie tasche qualcosa – Se ti faccio

      vedere delle foto, mi sai dire chi è?

-    Non.. non lo so – rispose Grant, guardando il volto indaffarato dell’agente.

Il suo interlocutore estrasse dalla giacca due o tre foto di un corpo apparentemente distrutto. Dovevano essere i resti del cadavere del presunto assassino.

-    So che sono foto un po’ dure, ma riconosci quest’uomo? – chiese l’ispettore.

Le immagini erano crude, fredde, oscure. I poveri macabri rimasugli erano disposti su un tavolino metallico. Si intravedeva un mucchietto di capelli, una mano, un tratto di viso, un pezzo di collo. Tutto era macchiato dal sangue, ormai condensato, e dal nero delle ruote e del catrame.

Colbain le osservò bene, impressionato dalla forza di quelle visioni, cercando al loro interno una reazione, un ricordo, un segno. Scorse nell’occhio del cadavere, in quel piccolo bulbo rossastro e vuoto, una luce, una sorta di reminescenza. L’aveva già visto, l’aveva già notato. Quell’occhio lo osservava, lo guardava, attendeva impaziente la sua risposta al poliziotto.

-    Sì, è lui! – disse il ragazzo, con istintiva sicurezza.

L’ispettore lo fissò a lungo, poi, con un’espressione sollevata, raccolse le foto e disse – Bene.. puoi andare. Grazie dell’aiuto. – Si rimise quindi le immagini in tasca e aprì il portone, stando poi sulla sua soglia in piedi aspettando l’uscita dell’interrogato.

L’interrogatorio era finito. Grant aveva svolto il suo compito appieno ed ora poteva tornare ai suoi piaceri. Avrebbe vagato ancora per qualche ora al parco, per poi tornare nuovamente a pensare al da farsi.

 

 
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