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CULTURA E GIUSTIZIA
 

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Messaggi di Febbraio 2024

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4111 pubblicato il 29 Febbraio 2024 da antonioi0

L’ALTERNATIVA È UTILIZZARE UN GRANDE NUMERO DI “PICCOLE” ANTENNE 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4110 pubblicato il 28 Febbraio 2024 da antonioi0

ALLE DIMENSIONI DEI DISCHI (CON FAST

SIAMO AL MASSIMO)

 

 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4109 pubblicato il 27 Febbraio 2024 da antonioi0

POICHÉ ESISTONO LIMITI STRUTTURALI

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4108 pubblicato il 26 Febbraio 2024 da antonioi0

I RADIOTELESCOPI DEVONO AVERE UN DIAMETRO MOLTO PIÙ GRANDE DI QUELLO

DEI TELESCOPI OTTICI.

 

 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4107 pubblicato il 25 Febbraio 2024 da antonioi0

 

CHE HANNO LUNGHEZZE D’ONDA MOLTO PIÙ ELEVATE DELLA

RADIAZIONE VISIBILE

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RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4106 pubblicato il 24 Febbraio 2024 da antonioi0

QUESTO SIGNIFICA

 

CHE PER “OSSERVARE” LE ONDE RADIO

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4105 pubblicato il 23 Febbraio 2024 da antonioi0

E IL DIAMETRO DELLO STRUMENTO. 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4104 pubblicato il 22 Febbraio 2024 da antonioi0

TRA LA LUNGHEZZA D’ONDA DELLA RADIAZIONE

 

 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4103 pubblicato il 21 Febbraio 2024 da antonioi0

ED È DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AL RAPPORTO

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4102 pubblicato il 19 Febbraio 2024 da antonioi0

DI SEPARARE DUE

 

RADIO SORGENTI ANGOLARMENTE MOLTO VICINE

 
 
 

TERREMOTO E RICOSTRUZIONI IN IRPINIA IL RESTAURO E I PIANI DI RECUPERO DEI CENTRI STORICI MINORI.

Post n°4101 pubblicato il 18 Febbraio 2024 da antonioi0

Friuli1976: Il terremoto e i criteri della ricostruzione

Il 6 maggio 1976, una prima scossa di terremoto, alle ore 20:59’:17”, del sesto grado della scala

Mercalli, investì il territorio a nord delle province di Udine e Pordenone. Dopo questa prima scossa,

una seconda, alle ore 21:00’:24”, fu la più forte di uno sciame sismico che si protrasse fino alle ore

00:10. Questa seconda scossa fu fatale: di intensità pari all’ 8°-9° della scala Mercalli, di carattere

ondulatorio e sussultorio, distrusse molti dei piccoli centri sparsi nelle tre province, per lo più

costruiti su alture o sul dorso delle montagne, e di antica formazione. Gli studi per la localizzazione

dell’epicentro sismico furono numerosi e diversi i loro risultati: tra Artegna e Gemona, nel gruppo

del monte Chiampon, ancora tra Pradielis e Cesariis nel comune di Lusevera, o nella valle di Resia.

Fu interessato un territorio di circa 137 comuni, con una popolazione di quasi 600.000 abitanti.

Nella zona più prossima all’epicentro, quasi il 40% degli abitati crollò o fu, comunque,

irrimediabilmente danneggiato. I morti furono 989, i feriti 3000 e quasi 100.000 i senza tetto321. La

scossa più forte venne avvertita, con un grado pari al 2°-3° della scala Mercalli, anche a Roma.

Dopo la prima scossa si interruppero le comunicazioni e i paesi risultarono irraggiungibili: migliaia

di testimonianze del passato furono ridotte in briciole322. Una prima perimetrazione geografica fu

effettuata direttamente dagli Enti Statali e risulta dal Decreto del Presidente del Consiglio dei

Ministri (DPCM) del 18.05.1976, mentre una seconda, regionale, fu riportata nel Decreto del

Presidente della Giunta Regionale (DPGR) del 20.05.1976. Entrambe registrano Gemona e

Venzone come semidistrutte.

Il Friuli – Venezia Giulia, regione a statuto speciale dell’Italia nord-orientale, è certamente anche

una delle più composite. L’unione politica non avviene, infatti, che nel 1963, aggregando territori di

cultura, storia e tradizioni diverse: latina, germanica e slava. Culture che, in pochi anni, riuscirono a

fondersi e a convivere. Lo sviluppo storico del territorio friulano era legato essenzialmente ai modi

di una società e di un’economia prevalentemente agricola, cosa che si rispecchiava anche nella

composizione urbanistica di una struttura abitativa “sparsa”, fatta di piccoli centri abitati, con

lontane origine romane ma con sviluppo d’epoca medievale. Tali piccoli centri nacquero spesso

come emanazione di centri più grandi di potere feudale. Anche per questo era forte il legame tra

periferia e “città”.323 Negli anni settanta, l’economia friulana, attraversò una crisi tale da provocare

l’abbandono dei piccoli paesi, favorendone il degrado economico e fisico, degrado che assieme alla

posizione stessa dei centri agevolò la distruzione portata dalle violente scosse del 1976.

Subito dopo lo sciame sismico, si interruppero tutti i servizi, acqua, energia elettrica, gas e

comunicazioni telefoniche, rendendo difficile il salvataggio di persone ancora intrappolate sotto le

macerie e della cura dei feriti, non potendo né comunicare né raggiungere materialmente i territori

colpiti.

Ventidue ore dopo, si insediò il Commissario Straordinario di Governo, Zamberletti, i cui compiti

erano fissati dalla legge n.996 dell’ 8 dicembre 1970. La prima operazione fu dividere il territorio

in nove comparti, i Centri Operativi di Settore, alfine di migliorarne il controllo. Gli sfollati furono

alloggiati in tendopoli allestite nei pressi dei centri colpiti, sia per non favorire l’emigrazione,

fenomeno già in atto prima del 6 maggio, nelle zone montane e pedemontane, sia perché si sperava

di mettere mano immediatamente alla riparazione degli edifici e contemporaneamente alla

costruzione di alloggi prefabbricati. Fin nei primi giorni successivi al sisma, la Regione Friuli si

adoperò alacremente per la ricerca e l’erogazione di fondi per la riparazione degli edifici e stanziò i

primi 10 miliardi di lire. Il 13 maggio 1976 fu emanato il decreto, il n.227, a favore del recupero dei

beni culturali, poi convertito in legge il 29 maggio. Con tale decreto, a disposizione della

Soprintendenza, furono stanziati i primi 3 miliardi di lire ed istituiti il “Centro di recupero dei beni

culturali” e la “Segreteria operativa”, dipendenti dall’Assessorato dei Beni Culturali. Questi misero

a disposizione dei comuni consulenti tecnici per avviare il processo di recupero nel momento più

delicato, quello delle demolizioni a tappeto, avvenute, come poi sarà per anche per l’Irpinia, subito

dopo il sisma per il recupero di cadaveri e per la liberazione delle strade.

La prima legge per la ricostruzione fu la n.17, del 7 giugno 1976, emanata ad un mese esatto dal

terremoto. In prima scrittura la legge non forniva alcun suggerimento per il recupero dell’edilizia

esistente o dei centri storici in particolare. Era, più che altro, una legge di “emergenza”, destinata a

sopperire alle “straordinarie impellenti esigenze abitative delle popolazioni colpite dagli eventi

tellurici”. Già in quella sede però, il Centro di recupero dei beni culturali e la Segreteria avanzarono

proposte circa l’inserimento di un capitolo a favore di edifici non solo strettamente di valore

artistico”, ma più ampiamente “storico”324. Il tema del recupero del patrimonio storico costituito

dai centri minori friulani caratterizzò da subito il dibattito post terremoto: l’intellighenzia friulana e

nazionale fu chiamata a dibattere approfonditamente sul tema. Fu in Friuli che si tenne, infatti, il

Congresso dell’ICOMOS325, fortemente voluto da Piero Gazzola nelle zone del terremoto. Lo stesso

assessore regionale Alfeo Mizzau, durante il Convegno, tenutosi il 21 novembre del 1976 a

Cividale, ricorda come già da due anni fosse costituito un gruppo di lavoro per l’indagine sui centri

storici e l’architettura rurale spontanea326. E’ evidente, quindi, come la riflessione, non solo sul

recupero dei beni culturali già considerati tali, ma sull’importanza dell’architettura minore e degli

aggregati storici, anche in Friuli, avesse preso piede prima del terremoto e come, con il sisma, si

fosse acuita la preoccupazione della perdita di queste importanti testimonianze. Era chiara la

difficoltà non solo di operare una netta distinzione tra ricostruzione e riparazione, come le leggi

indicavano fino ad allora, senza prima considerare l’operazione inquadrata in un generale problema

urbanistico; né, in caso di ricostruzione, era più agevole la scelta tra ricostruzione in loco oppure in

località diversa. Certamente, le esperienze precedenti riportavano a scelte compiute sotto

l’immediato effetto del trauma della calamità che avevano portato come conseguenza piuttosto

emotiva, l’abbandono delle vecchie strutture e la costruzione di un nuovo impianto in zone diverse

dalle precedenti327.

L’idea che si faceva strada era quella di legare il recupero dei centri storici ad una politica di

sviluppo territoriale328, quindi non già, o solo, un problema di difesa e valorizzazione, o di restauro

del patrimonio storico, ma il recupero come opportunità di una pianificazione che avesse come

scopo lo sviluppo sociale ed economico del territorio intero, in cui centro storico periferico e città

capoluogo fossero legati, dove i piani particolareggiati di recupero fossero inseriti in una

pianificazione generale e contemporaneamente collegati gli uni agli altri. Piani di recupero in cui la

trasformazione territoriale potesse dialogare con la conservazione in modo che il centro storico non

rischiasse di essere “congelato”, come si imputava ai progetti proposti da Italia Nostra329, provando

a mantenere ciò che rende vivo il centro storico, ossia quella caratteristica di insieme di abitazione e

servizi, mescolati in modo equilibrato tra loro.

Siamo nel periodo dell’aperto dibattito sul tema e l’approccio al recupero dei centri friulani mette in

discussione le Carte del 1964 e del 1972, perché, come dopo la seconda guerra mondiale anche

dopo il disastro di un terremoto, i principi riguardanti l’attenzione all’autenticità della materia di fronte alla perdita di interi centri urbani di importanza storico-culturale, pur non vacillando,

appaiono insufficienti; il ricordo va, quindi, al monito di Giovannoni del ’45, che sottolineava

come, pur avendo risolto il problema dell’”aggiunta” attraverso la teoria delle forme e delle

strutture semplici, dopo una distruzione bellica, o catastrofe naturale, non si potessero condannare le

città italiane ad una nudità costruttiva desolante. Il tema, nello specifico, era il tipo di metodo da

utilizzare nella “ricostruzione” sia del patrimonio storico-artistico che del patrimonio di architettura

minore costituito dai centri storici. In questo dibattito si inserisce anche il convegno ristretto

dell’ICOMOS, del dicembre del 1976, al quale parteciparono Roberto Pane, Piero Gazzola

promotore), De Angelis d’Ossat, e nel quale, però, rimasero generiche le posizioni rispetto a

specifiche modalità di intervento nel recupero dei centri storici330, peraltro ancora considerati nelle

diciture di “prospettiva, scorci”. Nonostante gli interessanti interventi di Gaetano Miarelli Mariani,

Gianfranco Caniggia e Roberto Pane che, tenendo presenti gli esempi negativi di quanto realizzato

in Italia nel dopoguerra, esortarono a tenere in conto, a studiare ed approfondire il dato ambientale,

dell’insieme urbanistico, dell’edilizia minore e del territorio in cui si inserisce, al fine di non

incorrere nel mero «salvataggio di qualche residuo monumentale e (nel) l’aggiunta di nuovi tracciati

e agglomerati, del tutto indifferenti alla stratificazione locale; (realizzando) così una ennesima

testimonianza della impossibilità di conciliare il biotopo urbano con la concezione

meccanicistica»331, ci si limitò, infine, a far voto che «nella ricostruzione ci si attenga al rispetto dei

tracciati viarii e delle volumetrie e tipologie, in quanto costituiscono non solo testimonianze di

storia, ma anche espressioni di una cultura friulana tuttora viva» e che «gli interventi restauratori,

infine, corrispondano rigorosamente ai principi fondamentali della Carta di Venezia (1964),

accogliendo tutti i contributi della moderna tecnica, idonei a garantire, tra l’altro, la sicurezza dai

rischi del sisma»332, ma non vi fu un riferimento preciso alla prassi dell’intervento, al contrario,

anche, di ciò che fu espressamente chiesto dallo stesso Francesco Doglioni al termine del suo

intervento al Congresso333. 

 
 
 

RACCOGLIERE LE ONDE RADIO

Post n°4100 pubblicato il 18 Febbraio 2024 da antonioi0

IL POTERE RISOLUTIVO CONSISTE NELLA CAPACITÀ DELLO STRUMENTO

 
 
 

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Post n°4099 pubblicato il 17 Febbraio 2024 da antonioi0

IL CHE DIPENDE DA CARATTERISTICHE COME L’AREA DEL DISCO E LE PRESTAZIONI DEL

RICEVITORE.

 

 

 
 
 

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Post n°4098 pubblicato il 16 Febbraio 2024 da antonioi0

L’ANTENNA DEVE ESSERE COSÌ SENSIBILE DA

 

RILEVARLI

 
 
 

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Post n°4097 pubblicato il 15 Febbraio 2024 da antonioi0

DATO CHE I SEGNALI IN ARRIVO SONO MOLTO DEBOLI

 
 
 

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Post n°4096 pubblicato il 14 Febbraio 2024 da antonioi0

LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DI UN RADIOTELESCOPIO SONO SENSIBILITÀ E POTERE RISOLUTIVO.

 
 
 

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Post n°4094 pubblicato il 13 Febbraio 2024 da antonioi0

PERCHÉ GRANDE È MEGLIO

 

 

 
 
 

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Post n°4093 pubblicato il 12 Febbraio 2024 da antonioi0

CHE ABITAVANO

A MENO DI 5 KM DALL’INSTALLAZIONE.

 

 

 
 
 

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Post n°4092 pubblicato il 11 Febbraio 2024 da antonioi0

IN ALTRA SEDE (NON SENZA

POLEMICHE) LE CIRCA 9000 PERSONE

 

 

 
 
 

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Post n°4091 pubblicato il 10 Febbraio 2024 da antonioi0

 

TANTO CHE IL GOVERNO CINESE

HA DOVUTO FAR TRASFERIRE

 

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