Creato da alesSanto il 13/08/2010

LA SCATOLA ASSASSINA

fatti e misfatti del sottoscala

 

 

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SE QUESTO E' UN UOMO

Post n°3 pubblicato il 17 Agosto 2010 da alesSanto
 

Una persona poco riconoscente mi ha chiesto di aiutarla a scrivere una recenzione di Se questo è un'uomo di Primo Levi..tuttavia la sera stessa ci siamo scannati.. evidentemente non aveva capito il senso vero del libro..Purtroppo al mondo d'oggi c'è ben poca umanità, ma è bene ricordare che seppur poca..c'è ne è...è L'INTOLLERANZA CHE E' TROPPA

auschwitz

Auschwitz 1943: comincia la prigionia di Primo Levi nel tristemente famoso campo di concentramento. Fu all'interno di questo oscuro posto che la mente di Levi partorì "Se questo è un uomo". La mano lo produsse tra il 1945 e il 1947.

Gli anni di reclusione al freddo degli inverni nord europei, le morti di stenti, il duro lavoro sono raccontati drammaticamente dall’autore, senza tanti convenevoli e riadattati nel romanzo. Dalla lettura si può estrapolare il senso di sconforto che quest’uomo…questi uomini,  provavano. Mano a mano l’umanità viene meno: non più pietà, ne amicizia, speranza , ma cieco istinto di sopravvivenza.

Buna: campo di concentramento italiano. Primo Levi è il protagonista del romanzo. Un eroe anticonvenzionale, denaturalizzato, disumanizzato,  conosciuto altrimenti come il detenuto numero 174517, lo stesso numero che gli era stato tatuato sul braccio destro. Conserva le forze per poter lavorare agevolmente, ma la dura “vita”, sebbene di vita non si può trattare, piega anche questo uomo raziocinante e coraggioso. Il suo migliore amico, Alberto, giovane di origini italiane, è un uomo di puro istinto. Non si tergiversa nel commiserarsi, brandisce la situazione di petto e cerca di studiare la situazione per disporre dei mezzi per meglio districarla. Ha successo nell’ intuire lingue diverse e a farsi capire un po’ da tutti. Dotato di forte spirito di conservazione, si distingue come un personalità ricco di prontezza e ingegno. Nel campo Primo conosce anche Arthur e Charles, due francesi, uno contadino, l’altro insegnante, tanto ardimentosi quanto dotati di moralità. Insieme a Primo, i due saranno i pochi che saranno capaci di tener stretta qualche briciola di umanità e pietà, rimanendo nel campo  dopo l’incursione russa che ha costretto i tedeschi alla ritirata, per sollevare e sfamare per quanto si può gli spiriti e i corpi degli infermi segregati nel lager.

All’interno del racconto una figura condensa l’attenzione del lettore: Lorenzo. Questo diviene amico di Levi quando i russi sono in marcia verso Buna. E’ una figura che mette in luce la bontà e l’umanità del modo di fare di Levi. Se Primo Levi riesce a ricordare di essere un uomo, è grazie anche e soprattutto alle parole di Lorenzo.

Parecchi altri personaggi si incrociano, si legano e si intrecciano col protagonista che tenta disperatamente di fuggire alla prigionia, del corpo si, ma soprattutto della mente. E’un’instancabile corsa per la ricerca della libertà di cui era stato privato dal grande meccanismo ideato dai nazisti per annullare gli esseri umani: il LAGER. Regolarizzato dai soldati nazisti e alimentato, anche nel senso + puramente letterale, dai prigionieri.

L’autore, che abbiam detto, è anche il protagonista viene deportato insieme ad altri 96 uomini il 13 dicembre del’43 all’interno del campo di concentramento di Buna, un lager italiano. Senza acqua o cibo o vestiti,vengono spinti in treno, al freddo. I prigionieri imparano presto, a loro spese, a fare poche domande e a obbedire alla “legge” di quei drappelli di soldati che marciano come burattini, identici tra loro, a passo cadenzato.

La vita per i prigionieri è dura. Trattati al pari delle bestie, lavorano e sopravvivono in condizioni totalmente precarie. Le mansioni sono toste, il cibo è insufficiente, più scarso, le regole sono insensate, irrazionali e inconcepibili, ma trasgredirle equivale alla morte. Tutto sembra un sadico gioco in cui ogni anima deve tentare di sopravvivere a scapito dell’altro.  Vigeva nel campo, tra i reclusi, l’antica regola economica del baratto. Razioni di cibo, gia di per se insufficienti e poco fortificanti, venivano scambiate con indumenti, coltelli e qualunque altro genere di prima necessità.

Le persone si ammalavano, si ingrigivano, si emaciavano sempre di più, a ogni ora, ogni giorno che passava. La linea che separava la salubrità dalla malattia era fin troppo sottile. Erano i soldati a decidere delle vite dei detenuti. C’era chi viveva, chi moriva, chi veniva ammazzato e chi andava al Ka-Be, l’ospedale del campo. Levi vi fu ricoverato, stremato dalla fatica, dalla fame e dalla malattia. Al protagonista non è mai mancato il sostegno dei compagni che in questo momento si stringono a lui, per quanto queste “bestie” potessero ancora provare sentimenti ed emozioni.

Nell’inverno’44 i russi bussano alla porta di Buna. Nel fuggi fuggi generale tedesco, sotto il bombardamento èsovietico,  i nazisti costringono i prigionieri “sani”, sebbene né nel fisico ne nell’anima lo fosse nessuno, a seguirli, lasciando gli ammalati bloccati nei letti scomodi dell’ospedale. Primo, ricoverato al Ka-Be deve ora combattere contro fame, freddo e malattie contagiose. Ci riesce con l’aiuto dei suoi compagni francesi, e insieme si prendono caritatevolmente cura degli ammalati.

A questo punto, oramai i russi hanno sfondato i cancelli di Buna e non solo. La guerra per i tedeschi è persa. Ma ottengono un’ultima disgustosa vittoria punendo con la morte un prigioniero ebreo ribellatosi.

Sebbene il libro racconti la vita all’interno del campo di concentramento, anche in maniera cruda, ad esempio nel passo in cui l’autore narra la pubblica esecuzione del prigioniero ribelle, o nei vari punti in cui si sofferma sulla totale mancanza di igiene e di cibo, sulla sensazione di freddo “incollata” alle ossa, il racconto è lungi dall’essere un mero diario descrittivo dell’inferno in terra all’interno del lager. Piuttosto è una amara critica alle stupide e inutili illusioni di potere che può essere avvertita come un augurio che in futuro, l'uomo possa restare libero, perché la dignità di una persona non possa più essere cancellata.

 

 
 
 
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