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IL CACCIATORE

Post n°7 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da Smaster85

ROBERT HANSEN

Foto del killer Ufficialmente il Serial Killer è colui che uccide più di tre persone, in serie, spesso utilizzando le stesse modalità. Ci sono però molti sinonimi o aggettivi ad effetto che nel tempo sono stati affibbiati a questa categoria criminale. A mio parere il più colorito di tutti è sicuramente “predatori di uomini”.
A tal proposito, qualche tempo fa Gareth Patterson ha pubblicato un articolo sul suo sito intitolato “The Killing Fields”, nel quale il giornalista compara i cacciatori di animali con gli assassini seriali.
Così come il serial killer, anche il cacciatore progetta il suo omicidio con grande cura. Come l’assassino seriale, il cacciatore sceglie bene il tipo di vittima a cui dare la caccia, ovvero la specie da uccidere. Sceglie la zona e l’arma. Entrambi spesso tengono da parte macabri ‘souvenir’ delle loro prede. L'assassino seriale conserva pezzi di corpo umano per la stessa ragione che spinge il cacciatore a mettere la testa di alce sopra il camino: sono trofei di caccia…”
Nessuno si addice meglio di Robert Hansen a questo paragone. La sua folle storia si svolge in Alaska, lo Stato più grande degli U.S.A. Vasta il doppio del Texas, l’Alaska conta solamente 600 mila abitanti ed è un pezzo di America ancora selvaggio, ricoperto di boschi, ghiacciai e montagne.

Robert Christian Hansen nasce il 15 febbraio 1939, a Esterville, Iowa. Suo padre è un panettiere danese emigrato in America con la moglie Edna. L’educazione che riceve il piccolo Robert Christian è molto severa e rigida, inoltre sin da piccolo è costretto a lavorare duramente nella panetteria di famiglia.
Passano gli anni ma Hansen non cresce molto, rimanendo molto basso e magro per la sua età. La sua faccia invece si ricopre di acne e, come se non bastasse, lo stress lo porta a balbettare. Tutti questi difetti fanno si che Hansen cresca senza amici. A scuola viene preso in giro, oppure viene tenuto a distanza dagli altri ragazzi.
Il Diploma del Liceo arriva nel 1957 e, nello stesso anno, Hansen si arruola nella Riserva dell’Esercito. In seguito all’addestramento base, viene costretto a dedicare all’esercito un week-end al mese. Il resto del suo tempo lo passa sgobbando nella panetteria del padre e, ogni tanto, fa l’istruttore volontario del corpo di Polizia Junior di Pocahantas, Iowa.
Nel 1960 arriva finalmente l’amore per una ragazza del posto, con la quale Robert si sposa dopo pochissimo tempo. Sarà un matrimonio di breve durata perché, il 7 dicembre 1960, Hansen decide di vendicarsi della popolazione della cittadina, rea di averlo preso in giro per anni, dando fuoco al garage degli scuolabus, senza accorgersi però che un passante lo sta filmando. Condannato a tre anni di prigione, Hansen perde la moglie (che giustamente ha chiesto l’immediato divorzio).
In prigione uno psichiatra gli diagnostica una personalità infantile e pericolosa. Nonostante la diagnosi, Robert Hansen è comunque in libertà dopo nemmeno 20 mesi, grazie alla buona condotta.

Qualche mese dopo la scarcerazione, Hansen fa la conoscenza di una giovane ragazza e i due si sposano nell’autunno del 1963. Negli anni seguenti, Hansen passerà di lavoro in lavoro, subendo anche diversi arresti per svariati furti di piccola entità.
Nel 1967, dopo qualche mese di riflessione, l’uomo decide di dare una svolta alla propria vita e di ricominciare da capo. La famiglia emigra così in Alaska.


La meta prescelta da Hansen è Anchorage, che con i suoi 200.000 abitanti è la città più popolosa e urbanizzata dell’Alaska. I residenti accolgono molto bene la nuova famiglia e ben presto il danese si guadagna la reputazione di grande esploratore e ottimo cacciatore. Tra il 1969 e il 1971 l’uomo vince anche diversi trofei e finisce nel locale “Libro dei Record”.
La fortuna di Hansen dura comunque poco tempo: nel 1977 viene scoperto mentre ruba una motosega e viene condannato a 5 anni di prigione. Anche in questa prigione, l’uomo viene analizzato da uno psichiatra, che diagnostica un disturbo bipolare e obbliga Hansen a prendere del Litio, per controllare gli sbalzi d’umore.
Robert non esegue l’ordine e dopo 1 solo anno di carcere è nuovamente in libertà.
Nei primi anni ’80 è lo stesso Hansen a subire una rapina, che gli frutta ben 13mila dollari di assicurazione. Con questi soldi, Hansen e la moglie, dalla quale nel frattempo ha avuto due figli, decidono di aprire una panetteria.
Ben presto i problemi con la legge sono dimenticati e gli Hansen tornano a diventare membri rispettati della comunità.
Ma questa è solo la facciata esteriore…


La valle del Knik River è zona perfetta per i cacciatori. A sole venticinque miglia dalla città di Anchorage, la zona è prevalentemente boschiva, ma è costellata di grotte preistoriche e di dirupi formati dall’erosione dei ghiacciai. Grazie a questa conformazione, è molto facile trovarvi capre di montagna, pecore, orsi bruni o alci.
Il pomeriggio del 12 settembre del 1982, John Daily ed Audi Holloway, due agenti di polizia fuori servizio, sono a caccia proprio in questa valle.
Al calare della sera, i due uomini decidono di riprendere la strada di casa. Non è un cammino facile, ma i due poliziotti sono molto esperti e procedono abbastanza spediti. Giunti nelle prossimità del fiume, notano uno stivale conficcato nella sabbia. Un cacciatore normale non ci avrebbe quasi fatto caso, ma i due poliziotti, per deformazione personale, si insospettiscono e si avvicinano allo stivale.
Ispezionando meglio la calzatura, Daily e Holloway hanno una brutta sorpresa: dentro allo stivale c’è l’osso di una gamba, circondato ancora da qualche pezzo di carne umana, in avanzato stato di decomposizione.
Lasciata intatta la scena del delitto, i due agenti segnano sulla mappa la zona e con molta cautela si allontanano.

Il caso viene assegnato a Rollie Port, un veterano pluridecorato del Vietnam, considerato il miglior agente della regione. Il Capo Investigatore passa molte ore nell’area del macabro ritrovamento, scatta fotografie, raccoglie campioni di terreno e setaccia personalmente il cadavere.
Alla fine il suo lavoro ripaga: negli abiti della vittima viene ritrovato il guscio di un proiettile calibro 223. È un proiettile speciale, utilizzato soprattutto da fucili automatici come M-16, Mini-14, o AR-15.
L’autopsia preliminare rivela che la vittima era una donna, di età indeterminata, morta approssimativamente da 6 mesi. Il decesso è dovuto alle ferite da sparo, inferte appunto da pallottole calibro 223. I resti di bende fanno presupporre che la vittima sia stata anche bendata. Ci vorranno altre due settimane di ricerca per identificare il cadavere in Sherry Morrow, spogliarellista 24enne del Wild Cherry Bar di Anchorage.
La ragazza è scomparsa il 17 novembre 1981, ai suoi amici disse che un uomo le aveva offerto 300 dollari per fare da modella ad alcuni ritratti.

Nonostante l’assenza di altri cadaveri e di prove che si tratti di un omicidio seriale, la polizia di Anchorage ha sin da subito il sospetto che la morte di Sherry non sia un caso isolato.


Effettivamente nel corso degli ultimi due anni c’è stato un aumento esponenziale di persone scomparse, soprattutto spogliarelliste e prostitute.
Dopo la scoperta del cadavere di Sherry, tutti i documenti relativi alle ragazze scomparse vengono ripresi dagli archivi e analizzati con cura. Inizialmente la cittadina non viene avvertita, ma alla fine il Dectetive Maxine Farrel decide di rilasciare alla stampa delle dichiarazioniche mettano in guardia la popolazione: là fuori, da qualche parte, c’è uno psicopatico che uccide le ragazze sole.

I primi due casi archiviati che vengono associati alla scomparsa di Sherry risalgono al 1980. Nel primo caso degli operai avevano rinvenuto dei resti umani scavando vicino Eklutna Road. Gli animali avevano mangiato la maggior parte dei resti e non c’erano molte prove: la vittima non era stata identificata ed era stata semplicemente soprannominata “Eklutna Annie”. Il secondo corpo era stato ritrovato in una buca di ghiaia non molto lontano. La vittima era stata identificata come Joanne Messina, una spogliarellista senza dimora. Il suo corpo era però gravemente decomposto e non era stato possibile ricavarne nessuna informazione utile.

Passano i mesi e la speranza di prendere l'assassino comincia a scemare, fino alla notte del 13 giugno 1983. Un camionista, che sta attraversando la città, si accorge di una donna che gli sta correndo incontro freneticamente, sventolando le braccia in richiesta di aiuto. La giovane ha delle manette che penzolano da uno dei polsi e i suoi abiti sono tutti strappati. In preda al panico, la ragazza grida al camionista che è inseguita da un uomo e si fa portare al Big Timber


Motel. Una volta accompagnatala, il camionista riparte e si dirige alla Centrale di Polizia dover riporta l’accaduto.

L’Agente Baker si presenta al Big Timber Motel dopo pochi minuti e qui trova la ragazza. È sotto shock, seduta nella Hall, ancora ammanettata.
Dopo averle liberato le mani, l’investigatore si mette ad ascoltare la storia delle giovane.
La ragazza racconta di essere stata avvicinata da un 40enne con i capelli rossi, che le ha offerto 200$ per un rapporto orale. Durante l’atto però, l’uomo le ha ammanettato il polso e le ha puntato una pistola alla tempia. L’uomo ha guidato fino a casa sua, nel quartiere di Muldoon, dove ha violentato ripetutamente la ragazza, anche con oggetti, soprattutto con un martello.
Dopo una breve pausa, l’aggressore l’ha portata all’aeroporto, promettendole di portarla alla propria capanna in montagna. Giunti nel luogo, la ragazza ha approfittato di una distrazione per fuggire e, per sua fortuna, si è presto incrociata con il camionista.

Sicuri di aver trovato il loro uomo, gli agenti di polizia portano immediatamente la ragazza all’aeroporto, chiedendole di riconoscere l’aereo che l’ha condotta sulle montagne. Non ci vuole molto alla prostituta che, dopo solo 10 minuti di ricerche, indica ai poliziotti un piccolo Piper Super Cub bianco e blu, targato N3089Z. L’aereo è di proprietà di Robert Christian Hansen, residente a Old Harbor Road.
Incalzato immediatamente dalle autorità, il danese dichiara un alibi di ferro. La moglie e i figli sono in Europa in vacanza, e lui ha passato tutta la sera con due amici che confermano. Caso chiuso, la prostituta probabilmente voleva estorcere soldi a un cittadino onesto.

Il tempo passa e le acque si calmano nuovamente, fino al 2 settembre 1983, quando la morte riaffiora nuovamente dal Knik River. È passato un anno dal ritrovamento di Sherry Morrow e dei cacciatori hanno trovato un nuovo corpo lungo il fiume, decomposto e seppellito parzialmente in una tomba poco profonda. La vittima verrà più tardi identificata come Paula Golding, 17 anni, spogliarellista e prostituta di Anchorage. È scomparsa cinque mesi prima, e ad ucciderla sono stati nuovamente dei proiettili calibro 223.
È finalmente la prova che dimostra la presenza di un assassino seriale così viene immediatamente convocata in aiuto l’ FBI. Non è comunque la prima volta che l’Alaska ha a che fare con un Serial Killer: già nel 1979, un certo Thomas Richard Bunday uccise almeno cinque donne e si diede alla fuga. Quando le autorità diramarono il suo mandato di arresto era già troppo tardi, l’uomo era morto in un incidente stradale a bordo della propria moto, mentre tentava di lasciare il paese.
L’ FBI risponde prontamente alla richiesta e spedisce in Alaska l’agente speciale John Douglas, figura leggendaria nel suo campo.

Come di consueto, per prima cosa l’agente stende un profilo del killer, un uomo che sceglie prostitute e spogliarelliste perché solitamente sono sole al mondo e isolate. Gli investigatori di Anchorage gli propongono di analizzare il loro sospetto numero uno: Robert Hansen.
Secondo Douglas, il fisico di Hansen denota una triste infanzia, fatta di prese in giro e di solitudine. Ciò spiegherebbe in parte anche perché ha scelto di vivere in una zona così desolata degli Stati Uniti. Se Hansen è l’assassino, probabilmente agisce per vendicarsi sulle donne di qualche avvenimento passato, forse di una ragazza che lo ha maltrattato. È indicativo anche il fatto che il danese sia stato in passato riconosciuto come un abile cacciatore, presumibilmente all’inizio si sfogava sulla selvaggina e, una volta stufo, ha diretto le proprie mire sulle donne. Per concludere il profilo, Douglas mette in guardia gli agenti: se Hansen è il killer, allora probabilmente appartiene alla categoria dei “saver”, ovvero di coloro che tengono da parte un ricordo, un souvenir della vittima. Qualsiasi cosa, dall’oggetto personale all’osso femorale.

La polizia si decide così di trarre in fermo i due amici di Robert Hansen e li mette sotto torchio per ore. Alla fine i due uomini cedono e confessano: quella notte non erano in compagnia di Hansen, erano a casa loro. I due confessano anche che Hansen ha in passato frodato l’assicurazione. Non è avvenuto mai nessun furto in casa sua, gli oggetti spariti sono nascosti in cantina.
Dopo queste ultime dichiarazioni, agli agenti non occorre nemmeno perdere tempo per farsi consegnare un mandato di arresto o di perquisizione.

Il 27 ottobre 1983, gli investigatori pedinano Hansen fino al lavoro, in panetteria, lo fermano e lo conducono in centrale per degli accertamenti. L’uomo non si oppone e si fa portare tranquillamente fino alla sede di polizia. Nel frattempo un’altra squadra perquisisce la sua casa e il suo aereo. Vengono ritrovate moltissime armi, ma nessuna prova che possa incastrarlo. Proprio quando gli agenti stanno per lasciare l’appartamento, uno di loro individua un buco nelle traversine del pavimento. Tolte le mattonelle di legno, i poliziotti trovano un nascondiglio segreto, all’interno del quale sono conservati un fucile Remington calibro 552, una pistola Thompson a 7mm con un caricatore speciale da un colpo solo alla volta, dei bastoni, mappe di aviazione con alcune località evidenziate a pennarello, gioielli, ritagli di giornale, un fucile da caccia, una patente, il mirino di un Winchester, carte di credito appartenute alle ragazze scomparse e un fucile Mini-14 calibro 223.

Alla centrale di polizia, Hansen si nasconde dietro un velo di silenzio e chiede di poter parlare con il proprio avvocato. Gli investigatori, lo trattengono in arresto per aggressione, stupro, minaccia a mano armata, furto e frode di assicurazione.
Il 3 novembre 1983, ad Anchorage, si apre un piccolo processo su questi capi d’accusa, poiché non sono ancora arrivati i risultati della balistica sul fucile di Hansen. Per quelli bisogna attendere il 20


Novembre 1983, quando i laboratori della FBI di Washington, D.C., annunciano che i proiettili trovati sui cadaveri delle ragazze scomparse appartengono all’arma da fuoco di Robert Hansen.
Messo alle corde da tutte queste prove contro di lui, il 22 febbraio 1984, Hansen convoca il proprio avvocato difensore e il magistrato del tribunale perché ha deciso di patteggiare. Dopo diverse ore di consulta, i tre decidono che, in caso di confessione, Hansen subirà una condanna per i soli quattro omicidi provati e potrà passare gli anni di prigionia in un carcere statale anziché in un carcere di massima sicurezza.

Una volta firmato l’accordo, l’assassino può finalmente liberarsi del peso dei propri omicidi e comincia una confessione fiume, partendo dalla descrizione della sua tipica aggressione. Dopo aver estratto la pistola ed averla puntata sulla prostituta, l’uomo inizia un lungo discorso per tranquillizzare la vittima, un discorso che più o meno comincia così:
Tu sei professionista. Non ti ecciti e sei consapevole che il tuo lavoro comporta dei rischi. Vedrai che ricorderai questo episodio solo come una brutta avventura e la prossima volta sarai più attenta a quello che fai e con chi decidi di andare.” (Tratto dalla confessione di Robert Hansen)

Ogni qualvolta che Hansen ha una vittima sotto il suo controllo, la porta all’aeroplano privato per volare fino alla capanna sulle montagne, dove stupra e tortura la ragazza di turno.
Dopo, le spoglia completamente e le libera nel bosco, dando loro la caccia, armato di coltello e fucile, come a un animale boschivo. Una volta abbattute con il fucile, le ragazze vengono fatte a pezzi e seppellite.
Finita la confessione, Hansen viene messo di fronte a una cartina della regione, sulla quale indica 15 zone in cui ha seppellito le sue vittime, tre dei quali già noti agli investigatori. Vista la difficoltà di raggiungere molti di questi posti, il giorno dopo Robert viene caricato su un elicottero militare e costretto a portare gli agenti di polizia in tutti i “sepolcri”. Alla fine della giornata, tra ghiacciai, boschi, foreste e vallate nascoste, la polizia di Anchorage disseppellirà ben 12 donne su indicazione dell’assassino. Il 27 febbraio 1984, come da patto, il tribunale condanna Robert Hansen solo per i quattro omicidi scoperti dalle autorità (Paula Golding, Joanna Messina, Sherry Morrow e l’anonima “Eklutna Annie.”) … ma lo condanna per questi a ben 461 anni di carcere, senza la possibilità di uscire mai sulla parola o per buona condotta. La condanna è da scontare nel Penitenziario Federale di Lewisburg, in Pennsylvania.
Tra aprile e maggio 1984, gli investigatori di Anchorage passano invece due mesi lunghissimi a disseppellire resti umani e a identificare le vittime di Robert Hansen.

Nel 1988, Hansenritorna in Alaska e diviene uno dei primi detenuti del nuovissimo Spring Creek Correctional Center, a Seward, dove risiede tutt’oggi.
In seguito alla condanna, il suo nome è stato rimosso dal libro dei record di caccia e sua moglie ha dovuto chiedere il divorzio e scappare dall’Alaska, poiché era importunata dagli altri cittadini.
Il 21 febbraio del 2003, dopo più di 20 anni, è stato trovato un altro corpo, impossibile da identificare. Le autorità dell’Alaska, non volendo una seconda “Eklutna Annie”, hanno diramato la descrizione dell’abbigliamento della giovane, fornendo anche un indirizzo e-mail a cui scrivere, nella speranza di poter dare un nome a quest’ultima (speriamo) vittima di Robert Hansen. A distanza di due anni però, l’impresa è ancora incompiuta.

Dare la caccia alle donne è più divertente di dare la caccia a un grizzly” (Robert Christian Hansen)

 
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