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SANITA' IN ITALIA. 2.

Post n°7 pubblicato il 10 Febbraio 2010 da Bushman
 

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In Italia si buttano milioni di euro dalla finestra ogni giorno per studiare pazienti, anche per cose di routine, a causa di continue ed inutili ripetizioni. Qui, un paziente va dal suo medico di famiglia che gli fa fare una serie di esami di laboratorio e radiologici. Poi, eventualmente, gli dice che ha bisogno di essere visto da uno specialista. Il paziente va dallo specialista che, naturalmente, gli fa fare ancora una batteria di indagini diagnostiche, fra le quali, il più delle volte, anche quelle che il paziente ha già fatto su richiesta del medico di base pochi giorni prima. Poi, se il paziente viene ricoverato in ospedale, il tutto si ripete, inutilmente, per la terza volta. Moltiplichiamo questo processo per l’intero numero nazionale di pazienti che ogni anno ricorrono al medico e arriveremo a cifre da capogiro!

Che succede nei Paesi civili? Anzitutto, se un paziente va direttamente da uno specialista, questi non si sogna neppure di riceverlo e gli fa dire dalla segretaria di andare prima dal medico di base. Il medico di base, se lo ritiene utile o necessario, invia il paziente allo specialista, sempre e obbligatoriamente accompagnato da una dettagliata lettera in cui scrive le sue osservazioni, i risultati degli esami da lui già fatti eseguire ed il suo quesito diagnostico, per cui lo specialista non ripete le indagini che sono già state fatte. Lo specialista risponde con una lettera altrettanto dettagliata al medico di base del paziente, lettera che copia all’ospedale, se il paziente ha bisogno di ricovero e neppure l’ospedale si sogna di ripetere gli esami già fatti, a meno che non ci sia una precisa, eccezionale necessità. All’atto della dimissione, l’ospedale manda obbligatoriamente un dettagliato rapporto scritto a chi ha inviato il paziente e, sempre, al medico di base del paziente stesso. E se qualcuno si dimentica di scrivere queste lettere o le scrive con dati imprecisi, può passare seri guai con l’Ordine dei Medici!

Questo sistema di mettere tutto per iscritto, ha anche un enorme beneficio collaterale, impedendo la faciloneria ed il pressappochismo di alcuni medici, poiché chiunque, in futuro, potrà accorgersi se sono state fatte o scritte scemenze o cose non lege artis! Per esempio, avrebbe evitati i costi che il Sistema Sanitario Nazionale ha dovuto sostenere per un paziente da me visto poco tempo fa, con una rottura sottocutanea del tendine di Achille ed un gesso da ben 6 mesi! Questa particolare lesione si diagnostica ponendo il piede in dorsiflessione e palpando con un dito il tendine: quando si trova un infossamento, si capisce che il tendine è rotto. Il paziente da me visto aveva con sé ben tre risonanze magnetiche e due ecografie, esami assolutamente inutili nella fattispecie attuale, ma indubbiamente costosi. Dissi al paziente che andava operato e fui sorpreso nel sentirmi rispondere testualmente: “Ma il professore mi ha detto che devo portare il gesso ancora per molti mesi”. Per carità di patria non tradussi al paziente il vero significato di quell’affermazione, che deve essere stato il seguente: “Io non so fare questa operazione perché ogni volta che l’ho fatta in passato, ho sempre avuto risultati disastrosi, però non voglio perdere nè la faccia nè i guadagni che ho continuando a visitare più volte questo paziente e facendogli un gesso dopo l’altro e allora, gli dico che questa lesione si cura solo col gesso”. Quali sono stati i costi finanziari e sociali provocati da questa incompetente “terapia”? Se quel “professore” avesse lavorato in un ambiente in cui avrebbe dovuto mettere tutto per iscritto, come si fa nei paesi civili, avrebbe avuto il coraggio di affermare che le rotture del tendine d’Achille si curano con mesi e mesi di gesso?

 

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Se andate negli equivalenti tedeschi o svizzeri delle nostre ASL, trovate una stanzetta di pochi metri quadrati con degli archivi ed uno o due tavoli a cui siedono, al massimo, uno o due impiegati, che provvedono ad istruire le pratiche per i pagamenti dei medici che hanno prestato i loro servizi ai cittadini malati.

Però, esiste un controllo spietato sulla qualità delle prestazioni sanitarie erogate, come ebbi modo di apprendere quando lavoravo alla Clinica Chirurgica dell’Università di Tubinga, dove, se un paziente non veniva dimesso, dopo una laparotomia, in VIII giornata, arrivava puntualmente il medico controllore della Krankenkasse (l’organizzazione mutualistica) a vedere perché. Mi informai ed appresi così dell’esistenza di un sistema per cui, se, per esempio, in un ospedale c’era una frequenza inaccettabile di ritardi nella dimissione dovuti a suppurazioni della parete, partiva immediatamente una lettera diretta ai medici di base della zona che invitava a non inviare più i loro pazienti in un posto dove c’erano troppe complicanze settiche!

Questa riduzione di invii, avrebbe causato una riduzione dell’occupazione dei letti e questo è uno dei parametri, insieme con altri, per la non conferma del primario o direttore, al biennale giudizio di competenza. Questo giudizio si fonda sul comportamento statistico dei seguenti parametri: tasso di occupazione dei letti, tasso di complicazioni, tasso di mortalità corretta (corretta, perché è chiaro che la mortalità di un reparto di neurochirurgia specializzato in tumori del cervello sarà più alta di quella di un reparto specializzato in chirurgia cosmetica) e tasso di concomitanza fra diagnosi cliniche e diagnosi anatomo-patologiche. Questo sistema ha anche altre utilissime ricadute. Per esempio, siccome per l’ottenimento della specializzazione in chirurgia serve in quei paesi un numero minimo di interventi chirurgici personalmente eseguiti con successo, è logico che giovani specializzandi preferivano non andare a lavorare in un posto dove il capo non faceva operare i giovani e, quindi, il numero dei pazienti curati entro l’anno diminuiva per mancanza di personale, esponendo così il primario o il cattedratico alla possibilità di non essere riconfermato alla prossima revisione biennale; però, siccome anche un tasso di complicazioni e di mortalità anormalmente elevato fa perdere il posto al caposervizio, questi si sentiva obbligato a fare in modo che i suoi assistenti venissero addestrati ad operare come si deve, col che si creava un ciclo virtuoso utile a tutti: pazienti, primari e assistenti!

 

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Anni fa, ho fatto fare in Kenya da un mio studente una tesi di dottorato un po’ particolare. Gli ho fatto prendere 100 strisci dall’asfalto delle strade di Nairobi per farne esami culturali con antibiogramma. Questi esami non hanno mai mostrato alcunché di sostanzialmente pericoloso! Poi gli ho fatto prendere strisci cutanei lungo le più frequenti vie d’accesso alle ossa ad altri 100 malati, cominciando all’atto del ricovero e ripetendoli ogni ora, per 12 ore consecutive. I risultati furono sorprendenti, perché, all’atto del ricovero, si coltivavano pochi e innocenti saprofiti, mentre 8 ore dopo la permanenza in corsia, si coltivavano, in ciascun paziente, tutti i germi più pericolosi, dallo stafilococco aureo all’escherichia coli ed alla klebsiella, tutti abbondantemente antibiotico-resistenti! Col che si fondava scientificamente il principio che la routine più giusta è la seguente: un malato pianificato, va studiato ambulatoriamente e ricoverato mezz’ora prima dell’intervento chirurgico, per farlo arrivare direttamente in sala operatoria senza farlo passare prima per la corsia. Nel caso del traumatizzato acuto, questi deve passare dal pronto soccorso direttamente nella sala operatoria per le emergenze, dove un chirurgo vestito per operare, lo esamina, ottiene le radiografie indicate ed attua immediatamente le cure necessarie. Se il pronto soccorso riceve una frattura esposta, l’arto va immediatamente avvolto in un telino sterile, possibilmente imbevuto di Betadina acquosa e il paziente va portato, subito ed evitando ogni contatto con la corsia, direttamente in sala operatoria, dove viene trattato come sopra.

Tante volte, in casi di politraumatizzati, ho eseguito gli interventi di chirurgia viscerale necessari a salvare la vita e poi, ho lasciato il paziente sul tavolo alle cure dell’anestesista che, una volta rimesso il paziente in sesto, mi chiamava, anche dopo diverse ore, per farmi continuare la terapia con la fase delle osteosintesi! Questo tipo di routine non solo è la migliore profilassi delle infezioni post-operatorie, facendo risparmiare gli enormi costi finanziari e sociali delle complicazioni settiche, ma consente risultati funzionali finali eccezionalmente buoni, evitando i costi sociali di lunghe invalidità temporanee e riducendo drasticamente sia le invalidità post-traumatiche permanenti, sia le complicanze post-operatorie.

E così continuo a chiedermi: perché questo mi era possibile in Africa e non si può fare a Roma?

Possibile che qui non si possa fare nulla per portare la medicina del nostro Paese almeno al livello di quella kenyana?

 

 
 
 
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