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Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 18 Febbraio 2007 da sachisan
Foto di sachisan

Il concorso letterario bandito da una casa editrice di Genova ha come tema il gusto. Pensi: quale miglior tema per saggiare le tue capacità e sfogare la rabbia che hai dentro. Decidi quindi di scrivere una storia vera ed eccola:

"Era una giornata d’inverno, una di quelle giornate uggiose, fredde, durante le quali non hai alcuna voglia di aprire l’uscio di casa per affrontare la pungente sensazione del freddo incalzante. Si presentava proprio uno di quei momenti propizi per la mente. Essa era chiamata ad ispirarsi alle tecniche di concentrazione consigliate nella filosofia orientale, affinché fosse in grado di lenire le percezioni di freddo generate dall’implacabile azione meteo. Fu per questo motivo che il mio corpo cominciò ad essere avvolto da una morbida e piacevole sensazione di calore, al pensiero, quasi reale, di una bevanda calda. Non ci fu bisogno di chiudere gli occhi per vedere una sequenza di vivide immagini. Le mani stringevano una grossa e variopinta tazza, colma di una vellutata bevanda, scura, forte nei colori, ma soffice, anche se energica nel suo contatto con il palato e la lingua. Essa, avvolta dal tepore di cui il suo gusto è portatore, come in un abbraccio, diveniva istante dopo istante, una formidabile fonte, capace di trasmettere, per mezzo della mente, calore e piacevolezza a tutto il corpo. Mi destai da quelle calde carezze. Pensai, però, che per un viaggio armonioso, in uno dei mondi racchiuso nei numerosi sapori invernali, mancasse un tassello. Le bevande calde, soprattutto il cioccolato, non sono amiche della solitudine. Esse esprimono tutte le loro potenzialità solo quando sono assaporate in compagnia, durante una coinvolgente chiacchierata, seduti su un divano o in terra su un grosso tappeto, ai piedi caldi calzettoni e le gambe raccolte, avendo accanto a se, o stringendo tra le braccia, vaporosi e morbidi cuscini.  D’altro canto, anche le loro gemelle estive, in primis il buon bicchiere di vino, richiedono le medesime circostanze per esprimere le loro doti, sebbene il delicato inumidirsi delle labbra, attingendo con piccoli sorsi dal bicchiere che danza tra le mani, avvenga in paesaggi e situazioni differenti. In quel momento ero da solo, avevo bisogno di qualcosa che legasse con la necessità di essere avvolti dal calore, ma che fosse in grado di aggiungere, attraverso i suoi sapori, un pizzico pungente d’allegria. Per questo motivo mi feci avvolgere dal tepore casalingo ed accesi la televisione. Non pago, mi accomodai sul divano con un grosso cestello, colmo di patatine cotte al forno. Speravo che lo stuzzicante sapore delle patatine si mescolasse alle sensazioni di una piacevole trasmissione televisiva, affinché fossero stimolate per intero le mie percezioni sensoriali. Restai deluso, perché le immagini che la scatola dell’irreale trasmetteva non si sposavano per niente con la fragranza di quelle piccole nuvolette dorate.  La bocca gustava la delizia del sapore, ma gli occhi percepivano il disgusto di parole, gesti ed immagini. Spensi la televisione, posai il cestello con le patatine e decisi di scrivere una storia che s’ispirasse ad una famosa trasmissione televisiva. Mi avvalsi della scrittura come una terapia, anche se in quel momento avrei avuto bisogno di un cibo cremoso, energico, che fosse in grado di catturare tutto l’amaro che assaporavo, restituendomi il friccicorio del buon gusto, pensai ad un gelato artigianale. Abbandonai l’idea, perché volevo trattenere quei sapori di cibi irreali per trasferirli nella scrittura con la speranza di riordinare lo sfasamento che le percezioni di gusto culinario e disgusto di percezioni visive avevano suscitato in me, mescolandosi in un inaspettato ed indesiderato connubio. Potrebbe sembrare strano e non appropriato unire papille gustative e percezioni sensoriali esterne di diversa natura ed invece anche la nostra mimica facciale si mette in azione non appena assaporiamo la frizzante vivacità dei sapori reali e di quelli legati alle percezioni dei sensi. Pensiamo alle palpebre che dolcemente si chiudono per restare serrate alcuni istanti quando, con delicata maestria, la lingua schiaccia contro il palato la gustosa armonia di un cibo soffice e saporoso. Il viso resta rilassato e sorridente mente le palpebre si risollevano affinché gli occhi percepiscano la realtà dei sapori che la lingua raccoglie dalle labbra, con un movimento lento e circolare. Ora, di contro, la scena muta. Un’immagine di qualsivoglia genere, ma di pessimo gusto, appare ai nostri occhi, le palpebre si chiudono repentine per restar serrate con forza, mentre sul viso si formano chiare le linee che caratterizzano i segni dei sapori poco graditi, i quali non provengono solo dall’incedere dei cibi sulla lingua. Terminai, dopo qualche tempo, la mia fatica letteraria. Decisi di sottoporla all’attenzione della redazione che guidava il programma televisivo al quale mi ero ispirato, affinché ne ottenessi un esame ed anche una forma d’assenso per un’eventuale pubblicazione. Erano trascorsi circa due anni dal giorno in cui aveva inviato il plico con il materiale cartaceo e la lettera d’accompagnamento alla redazione del programma oggetto del mio lavoro, ma non avevo ancora ricevuto nulla, solo indifferenza. Decisi, pertanto, di inviare un fax ed una mail con la speranza che qualcuno avesse il buon gusto di inviarmi una risposta di qualsivoglia genere. Ancora indifferenza. Avevo deciso di rinunciare, ma poi un giorno le immagini che vidi scorrere sullo schermo della televisione mi fecero assumere l’espressione dello schifo. Le palpebre si abbassarono ed il ghigno del disgusto coprì il mio volto, mi s’impregnò anche l’animo di quel sapore amaro tipico dei cibi mistificati e cucinati senza il tocco amorevole dell’artista della buona cucina. In quasi tutti i programmi trasmessi, compreso i telegiornali, scorrevano notizie ed immagini che palesavano le invereconde imprese d’esseri creati dal nulla e corredati di nulla, unitamente alla telecronaca d’insulse zuffe tra strani personaggi. Liti caratterizzate da interpreti ai quali forse non si riesce a dare una sistemazione alcuna, i quali con espressioni da invasati s’insultavano con la classe e l’intelligenza di una miriade di cellule in stato avanzato di decomposizione. Provai a cambiare canale, ma lo spettacolo non mutava. L’accozzaglia di volti e voltucoli, che in quasi tutti i programmi si mescolavano e si rimpastavano per fare spazio all’ormai dilagante monopolio dei “soliti noti”, continuava ad impadronirsi d’ogni immagine. Fu a quel punto che le mie papille gustative cominciarono la loro danza d’insofferenza al sapore amaro dell’insipienza che si fregia d’esser qualcosa.  Pensai a quale poteva essere il motivo per il quale tutta quella volgarità e mancanza di buon gusto avessero tanto spazio e grande visibilità, mentre io che avevo proposto una mia fatica, forse anche brutta, ma rappresentava pur sempre qualcosa di concreto, non ero degno nemmeno di ottenere una risposta. In fondo avevo chiesto soltanto di essere esaminato. Il gusto amaro del mal tolto mi fece scrivere una nuova mail a quelle persone tanto cortesi e professionali. Mi rivolsi alla redazione come se fosse una persona fisica, poiché non avevo avuto alcun contatto con nessuno dei suoi componenti. Con decisione, ma con educazione e senza offesa alcuna espressi il mio risentimento. Chiesi che dopo due anni fosse mio diritto ottenere un’analisi della mia opera ed una risposta, soprattutto perché non ero un mitomane o un adolescente in crisi d’identità, ero una persona senza raccomandazione alcuna che aveva sottoposto un lavoro a individui che sarebbero dovuti essere preparati e competenti, in virtù del lavoro delicato che svolgevano. Qualche giorno dopo la mail, mentre assaporavo il gusto avvolgente di un ottimo cioccolato al latte, squillò il telefono. Risposi, dall’altro capo la responsabile della redazione mi aggredì verbalmente sostenendo che io con le parole contenute nella mail l’avessi offesa. Cercai di chiarire che dopo due anni d’indifferenza un certo risentimento poteva essere giustificato. Lo stupore, intriso di quel sapore aspro dello sgomento, mi colse quando la cortese interlocutrice seguitò ad aggredire con la veemenza e la classe pari solo a quella di un goliardica vajàssa dei vicoli partenopei, mostrando di non essere per nulla a conoscenza dei miei precedenti tentativi di contatto. Tra le parole urlate a caso compresi che mi invitava a rinviare il manoscritto, qualora fossi ancora interessato a farlo esaminare. Fui tentato di risponderle come ben meritava, ma venni trattenuto da quel gusto delicato, lenitivo, soffice, avvolgente del cioccolato, che ancora ricopriva i miei sensi di gusto con una patina sottile ma ancora efficace. Probabilmente se in quell’istante a scatenare le papille gustative fosse stato del cioccolato fondente, più forte, aspro, nel suo gusto aggressivo e deciso, quasi certamente avrei consegnato alla meritevole interlocutrice ciò che con insistenza sembravano chiedere i sui modi. Inviai subito il plico con il dattiloscritto, allegai un ricco vassoio di sfogliatelle e babà accompagnati da una missiva nella quale spiegavo di non avercela personalmente con nessuno della redazione, ma solo con l’indifferenza continuamente perpetrata ai danni di chi non possiede la stretta di “mani amiche”. Trascorsero ancora sei mesi e tutto continuava a tacere. La televisione seguitava a trasmettere in ogni dove la solita fiumana di nulla e di volgarità a tutti i costi. Il senso di buon gusto, che mi accompagnava in ogni decisione, ne aveva oramai abbastanza. Quella redattrice, che avevo appreso guidare le redazioni di molti dei programmi nei quali primeggiavano le comparsucole rimestate e riciclate, doveva avere una lezione di stile e buon gusto. Non persi tempo, mi recai da un elegante fioraio ed inviai alla simpatica redattrice una stupenda composizione con allegato un biglietto di complimenti. Per mezzo di esso intendevo, con sarcastica scrittura, rivolgere i miei ringraziamenti alla persona che riusciva ad imporsi come cuoca sopraffina, dal tocco delicato e dalla quasi soprannaturale conoscenza dell’ingrediente segreto per ogni piatto. Volevo inoltre porgerle la mia ammirazione per quanto fosse straordinaria la classe con la quale riusciva a servire precotti, stufati e surgelati intrisi dei sapori degli O.G.M. Conclusi, consigliandole di assaporare, prima di agire, il gusto sincero di un dolce artigianale. I suoi sensi di gusto, in questo caso, l’avrebbero di certo guidata verso una semplice azione, che l’avrebbe condotta fuori di ogni fastidio. Lei sarebbe stata avvolta nella sincera sensazione dei sapori della cucina artigianale. I cuochi di tale cucina sono, infatti, degli artisti che affidano la loro arte ad un ingrediente essenziale, un pizzico di cuore, per aggiungere il tocco segreto alle pietanze.  Avvolta in una tale estasi sensoriale, la soddisfatta redattrice avrebbe scritto una semplice mail di risposta. Il quel messaggio le sarebbe bastato scrivere: “Non siamo interessati alla sua proposta, arrivederci”. Credete che sia mai giunto il dolcetto della fortuna con il messaggio di risposta?"

Trascorre poco tempo, per mezzo e-mail ti comunicano che la tua storia ha vinto il concorso letterario. A questo punto hai anche la prova concreta che, probabilmente non sei un incapace, che qualcosa la sai veramente fare. Dunque, perché nessuno ti vuole ascoltare? Perché nessuno vuole esaminare ciò che scrivi?

La risposta è semplice siamo in Italia un paese di “...BIP CENSURA...”, dove bisogna garantire diritti e favori ai criminali, dove bisogna preservare, inventare, e gestire posti di lavoro e cariche ai cocchi dei pezzi grossi. Dove se una donna si prostituisce per mangiare o semplicemente perché le piace è puritanamente tacciata come poco di buono, ma quando subdolamente qualcun'altra sotto mentite spoglie concede favori sessuali, usando l’unica cosa che ha come merce di scambio, diviene una star o una donna di rispetto e degna dei favori sociali. Questo è il paese dove si parla di meritocrazia dove si vuole combattere la malavita, ma le caste dominanti fanno i loro affari proprio con questi gruppi malavitosi alimentandone i traffici, come? Ad esempio acquistando fumo, coca e quant’altro...Questo è il paese dove si abbandonano ospedali in costruzione e dove ci s’inventa di non avere risorse per chi ne ha bisogno e per le opere necessarie al bene sociale, dove si muore schiacciati da un lampione, ma d’incanto in una notte o in brevissimo tempo si è pronti ad investire ingenti somme per mettere a norma gli stadi. Questo è il paese dove si permette a dei razzisti ignoranti di governare e fare leggi, dove chi sputa in faccia e istiga la violenza e considerato campione di uno sport da osannare e imitare. Questo è il paese che garantisce tutto il bene possibile a chi traffica, imbroglia, magheggia, dove si tartassano le persone oneste inventandosi tasse, spese, e grandi manovre economiche studiate da geni. Questo è il paese dove le poche persone oneste che ci sono cercano di fare del loro meglio per costruire qualcosa di buono, e vengono quotidianamente accantonate, vessate e sommerse dalla fiumana di “...BIP CENSURA...” che i gruppi dominanti riversano sulla società.

Allora che cos’altro puoi pensare, è meglio che non pensi e cerchi di adoperarti alla ricerca di quei pochi che tentano di costruire qualcosa di serio.

In fine è necessario ringraziare LULU per offrire una possibilità a chi non deve avere voce, ma è giusto fare anche delle scuse per esserti avvicinato a loro solo per caso.

 

PER QUESTO E PER MOLTO ALTRO ANCORA, IL LIBRO ISPIRATO AD AMICI DI MARIA DE FILIPPI: “VOGLIA DI VOLARE”, SARA’ SCARICABILE GRATUITAMENTE PER UNA SETTIMANA E ACQUISTABILE CON SOLO LE SPESE DI PUBBLICAZIONE PER LA SUCCESSIVA SU WWW.LULU.COM/ACHI DAL 22 FEBBRAIO 2007

 
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