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giannattasio_stefano il 24/06/08 alle 11:38 via WEB
Aggregare la sinistra,
rispondere
a una generazione
Nicola Carella
«La crisi è talmente grave e domanda mezzi eccezionali che solo chi ha visto l'inferno può decidersi a impiegarli senza tremare» . (A. Gramsci).
«Io voglio passare ad un livello successivo, voglio dare vita a ciò che scrivo. Sono paranoico ed ossessivo fino all'abiura di me» . (Caparezza).
Car@ compagn@, ho letto qualche giorno fa un articolo dal titolo "Prospettive e immaginario, perché ripartire dalle/i Giovani Comuniste/i" a firma di Simone Oggionni e Anna Belligero.
Dei tanti spunti di discussione che l'articolo offre, ne esiste uno, secondo me che globalmente dà la fotografia di quanto si possa rischiare in questo congresso, per la nostra organizzazione, di un passo indietro sull'elaborazione politica e di conseguenza sulle pratiche. Analizzare i flussi elettorali per sostenere un ritorno al porticciolo sicuro della propria organizzazione pre-Genova rischia di essere un esercizio fuorviante. E' comunque un esercizio affascinante perché più che porre delle domande offre delle certezze "suggestive" di ritorno al passato. Perché parte da un dato da cabala più che da un analisi di immaginario vero che esiste nella società, come tralaltro l'articolo si prometteva di fare, e di conseguenza isola i numeri dal contesto che raccontano, per arrivare all'affrettata conclusione di una ricetta facile (tre campagne nazionali, assemblea nazionale ecc...) come a dire "tranquilli compagni abbiamo sbagliato tutte e tutti ma si tratta solo di
aggiustare il tiro".
Ma ad oggi rimango convinto che più che dei numeri la nostra organizzazione si debba porre un problema colossale, storico, che è lo spiantamento della Sinistra dalla società. E cioè come oggi l'Italia e l'Europa vivano in un contesto di crisi profonda della globalizzazione capitalista che vede da un lato il ritorno in auge del concetto di stato nazione e dall'altro una svolta reazionaria, legittimata dal consenso elettorale. La svolta reazionaria del regime leggero diventa pervasiva, disegna, usando i suoi mille strumenti, un immaginario che fino ad oggi difficilmente riuscivamo a intravedere tra le nubi degli strumenti novecenteschi di analisi di cui disponevamo. Perché la demagogia del Governo Berlusconi parla direttamente ai "mille soggetti subalterni", perché offre loro nella logica della guerra tra poveri, una valvola di sfogo: l'illusione che questa società sia la migliore possibile, magari aggiungendo uno spicchio di "nazionalismo del XXI secolo" (l'idea demagogica di Stato forte oppure "difendi il tuo simile, colpisci tutto il resto").
Ed evidentemente la nostra generazione è la più fragile, la più indifesa nella percezione del regime leggero perché parzialmente o totalmente priva di strumenti di analisi e conseguentemente perché vive la precarietà in modo rassegnato e la frattura sociale multipla, l'alienazione, lo sfruttamento in modo afono e passivo. Per questi due motivi, di carattere generale e generazionale, non mi convince nessun percorso oggi che non sia un percorso che aggreghi e che discuta e che si ponga domande in modo largo e diffuso. Un percorso che travolga veramente il presente, non parcellizzandolo in categorie note, sicure, "classiche", "ortodosse". Non mi interessa nessun percorso che non interroghi la nostra organizzazione e che non interroghi in modo identico la Sinistra diffusa, e che infine non disegni da un lato un fronte di resistenza largo al terribile Governo Berlusconi e dall'altro un immaginario concreto. Un immaginario che non può che essere l'idea di una società migliore di questa, la cui costruzione non può non partire dall'analisi della nostra personale condizione di sfruttati, precari, alienati. Che è una condizione ovviamente comune soprattutto alla nostra generazione. Perché l'elemento su cui dovremmo agire è quello della capacità di sognare e costruire giorno dopo giorno una società che ci liberi dallo sfruttamento, che sia solidale, che si basi sui diritti universali dell'essere umano. E' un cimento complesso, me ne rendo conto, che non possiamo affrontare relegandoci alla restaurazione di schemi che bene conosciamo, non è questa la pratica della nostra Organizzazione da almeno otto anni. Gli anni delle eresie e delle sperimentazioni. Gli anni in cui abbiamo tentato di riappropriarci del Futuro. Non dobbiamo quindi avere paura (sentimento irrazionale che non ci è mai appartenuto ed adesso invece risulta una colonna indiscutibile della società), dobbiamo affrontare il presente, navigare in mare aperto, altrimenti non saremo né utili alle "moltitudini silenziose", né alla nostra generazione, proprio quella di cui vorremmo essere portavoci (che è per come la vedo io è l'esatto opposto dell'"avanguardia comunista") e saremmo molto poco utili anche alla nostra sogettività politica che non è pensata per essere difesa dalla società ma per attraversarla in modo permeabile.
Buon congresso a tutt@.
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