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da "L'angelo dalle ali nere"

Post n°11 pubblicato il 02 Novembre 2008 da Vannijoe

“Che strano girotondo il nostro, quante volte dovrò ancora morire… prima della vera fine”.

Ma a morire non fu lui ma la Nonna paterna. Venne avvertito dallo zio Amedeo la stessa mattina con queste parole
“la Nonna questa notte si è sentita male e poi…”
e poi Shezzan capì che quello che aveva temuto per anni era accaduto così, all’improvviso, con la semplicità di un acquazzone, con la stessa facilità con cui si recide un fiore, così qualcuno era entrato nella stanza di Nonna Rosa e l’aveva portata via lontano, senza che nessuno se ne accorgesse, senza un urlo, senza un rumore, solo col silenzio di cui è capace la morte vigliacca.

Nonna Rosa era stata un’indomabile donna che aveva tenuto sempre le redini della famiglia, complice di questo il carattere pacioso e bonaccione di nonno Giovannino che l’aveva lasciata vedova circa venti anni prima a causa di un tumore al fegato. Sempre attiva, teneva testa a chiunque, anche quando la vecchiaia l’aveva offesa ad un femore costringendola dapprima all’uso del bastone, e poi alla sedia fino alla fine dei suoi giorni. Era la Nonna del cuore, quella che lo viziava, quella che lo difendeva a spada tratta, quella che gli faceva passare di tutto, d’altronde era stato il primo di una serie di nipoti, ed il primo era rimasto. Quanto l’aveva amata Shezzan, e adesso si ricordava che forse non glielo aveva mai detto. Nonna Rosa era sopravvissuta a tre dei suoi otto figli, due, i gemelli, li aveva persi durante un aborto spontaneo distante pochi mesi dal concepimento, zì Anna invece era morta all’età di quarantanove anni a causa di un tumore allo stomaco che se l’era portata via nel giro di poco tempo, e per lei era stato un duro colpo mai incassato. Nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli.

Si era vestito in fretta e furia, lasciando tutto alla rinfusa e aveva raggiunto la casa in cui la Nonna era vissuta per quasi tutta la vita da sposata. Il palazzo fatiscente che la conteneva era gemello di altri due, situati in una zona povera alla periferia della città, ed era lo stesso in cui lui aveva vissuto i suoi primi diciassette anni di età, e gli parve che il tempo lì non fosse andato avanti, che si fosse fermato all’istante in cui anni prima aveva traslocato. Si diresse verso l’ascensore, ma vide che era occupato, quindi si avvio su per le scale. Quante volte le aveva percorse da ragazzino a due, a tre, a quattro per volta, magari con le ginocchia sbucciate per essere caduto dal carretto a pallini o sporco di terra per avere costruito insieme ad altri bambini una capanna nella campagna sottostante, mentre adesso, i sette piani che lo separavano dalla camera ardente, gli sembrarono infinitamente distanti. Ad ogni scalino un ricordo gli balenava nella mente confusa e ad ogni scalino una lacrima cercava di farsi strada sul suo viso che nel frattempo aveva assunto un aspetto del tutto simile ad una statua di ghiaccio. Cominciò a non rendersi più conto del piano in cui si trovava, le gambe gli si appesantirono rallentando la sua ascesa, il cuore gli batteva forte scandendo ogni attimo di quella interminabile scalata. Si rifugio negli immensi corridoi dei suoi anni più puerili sbucando improvvisamente nel terrazzino dove Nonna Rosa era solita giocare con lui a Tivitti* o dove nei giorni più impegnativi lo aiutava nelle evoluzioni aritmetiche dei primi anni di scuola. Rivide le melanzane fritte, la salsa fumante e la tavola apparecchiata già alle otto di mattina, sentì il sapore della caponatina* e delle piccole polpette fritte o con la salsa, che Nonna Rosa preparava solo per lui, accarezzargli il palato. La sentì cantare e bere vino. La sentì vicino mentre alle tante riunioni di famiglia a lui solo era permesso portarla in braccio per evitargli l’incombenza di salire le scale. La sentì piangere per la morte della figlia e la sentì urlare contro quello squinternato dello zio Amedeo.
E poi non sentì più nulla.

La vide.

La vide distesa con le mani rattrappite sotto il quadro dell’ultima cena che lei stessa aveva fatto ad uncinetto ed aveva esposto con grande soddisfazione nell’immenso salone. Vide il viso imbavagliato per evitare che il rigore della morte le spalancasse la bocca, vide le piccole gambe ritte come non mai, vide i segni del tempo imbrattargli il corpo e non riuscì a piangere le lacrime che avrebbe voluto perché queste gli si strozzarono in gola. Aveva sempre pensato alle persone sole. Cosa fanno? Dove vanno? E si rese conto di sentirsi immensamente solo, come se un pezzo della sua vita se ne fosse andato senza chiedergli il permesso, senza avvertirlo per tempo, senza dargli modo di capire perché? Tutto il suo malessere era stato messo da parte, dimenticato, sminuito di fronte a tanta crudeltà. Gli avevano portato via Nonna Rosa e gliel’avevano portata via per sempre.

 
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