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Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c'è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c'è un'altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite ...
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arruginisca il ferro che c'è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!
(MADRE TERESA DI CALCUTTA)
 

 

« da: "Cosa sognano i pesci rossi"Il grande Boh - 4 Febbraio 1998 »

Post n°6 pubblicato il 19 Marzo 2008 da selly.81
La chiesa è piena di gente... Certo che doveva averne di amici!
Sembra impossibile che lì, in quel sontuoso cassone di legno lucidato e intarsiato, sia steso Jacopo Valini. "Quel" Jacopo Valini, il giovane chirurgo entusiasta, il medico preciso e corretto, il mio collega, il mio, e forse qui esagero, amico.
Ci parlavamo... scambiavamo opinioni e giudizi e, forse, la nostra dialettica era intrisa di rispetto o di complicità. Ma tutto finiva lì. Ci si vedeva spesso in ospedale, a volte quasi ci si cercava, ma quando eravamo fuori ognuno aveva la sua vita. Un po' poco come amicizia, no?
Eppure adesso, in questa atmosfera di pietà e di dolore, in questa apoteosi di lacrime e sermoni che sono i funerali... mi sale un groppo in gola.
Proprio di fronte al prete che sta officiando si trovano i famigliari di Jacopo e i parenti più stretti. Non ne conoscevo nessuno. Sembrano attoniti e annientati dal dolore. Hanno negli occhi gli sguardi della morte improvvisa. Quella che c'è e ci guata nell'ombra, ma a cui nessuno pensa.
"Perchè proprio a me?" pensiamo tutti quando giocherelliamo con il nostro esistere quotidiano, spensierati e concentrati sul nostro daffare. "Cazzo, è successo proprio a me!" ci si stampa sullo sguardo vitreo e incredulo, quando veniamo colpiti dalla malasorte e la falce della morte ci strappa chi credevamo eterno compagno di viaggio. Quante volte ho visto quegli occhi. Quante volte ho sentito le urla represse dentro stomaci contorti, i denti che stridono disperazioni inesprimibili, quando ho dovuto comunicare che il paziente, in questo caso congiunto dell'incredulo e, suo malgrado, san Tommaso della morte improvvisa, era giunto cadavere in Pronto Soccorso o che, benchè ce l'avessimo messa tutta, era deceduto lo stesso.
La morte improvvisa spiazza. E non è una questione di dolore.
Ci sono morti annunciate, morti dopo estenuanti malattie, morti per consunzione, morti come epilogo di esistenze sofferte e trascinate, che portano con se qunatità di dolore incommensurabili. La morte come liberazione, laddove questa interrompa un rapporto d'amore, probabilmente non esiste. L'interruzione di un rapporto d'amore non può che essere dolore. Dolore e basta. Ma la morte improvvisa ha qualcosa di particolare. La morte improvvisa porta con sé l'incredulità. E l'incredulità offende.
La morte improvvisa, o forse è meglio definirla inattesa, ci offende nei nostri progetti, nelle nostre aspettative, nelle nostre certezze. Nel nostro rimanere in vita. Noi siamo, mentre qualcosa di nostro, inaspettatamente, incredibilmente, ingiustamente, non è più.
La chiesa è molto affollata. Dietro ai famigliari e ai parenti stretti ci sono le autorità: voglio dire i primari e le persone che contano del nostro ospedale. C'è Fulgenzi con il fedele Parsi. C'è Villa, ci sono alcuni primari di altre divisioni, c'è il direttore sanitario e c'è anche il direttore generale. Fulgenzi e Parsi sono compunti, sembrano quasi addolorati... Jacopo era la parte migliore di loro e adesso sono sbilanciati, forse se ne rendono conto. Almeno mi fa piacere poterlo credere.
Due o tre banchi dietro Fulgenzi & Co. c'è la Silvana...Il fatto che la Silvana non sia nei banchi di famiglia mi fa pensare che il rapporto tra Jacopo e la nostra caposala non fosse noto ai famigliari di Jacopo. E nulla mi vieta di congetturare che tra le giovani donne che si trovano nei banchi di famiglia vi sia qualche fidanzata ufficiale di cui non sospettavo l'esistenza. Perchè no, in fondo? Una piccola trasgressione mi fa apparire Jacopo più umano. Un peccatuccio, un piccolo cornino, in fondo, non è una gran cosa. Una piccola macchia in quest'uomo idealista, amato, sensibile, disponibile all'inverosimile, la si può accettare... Pensando questo forse sto solo cercando di ridurre Jacopo più simile a me.
Ma Jacopo non era come me, e adesso tutti i miei tentativi di trascinarlo verso un comune modo di essere, verso la condivisione di una condizione umana che me lo faccia sentire mio pari, non sono altro che pietosi tentativi di riabilitazione di me stesso.
Jacopo era amato, ecco la differenza. Le lacrime della Silvana, il dolore dei famigliari, questa folla silenziosa, il cordoglio vero, unanime, che si respira tra questi aromi d'incenso dimostrano quanto Jacopo fosse amato. O, per meglio dire, quanto si meritasse d'essere amato. Già, perchè è facile dire: "Lui è amato, mica come me". Troppo semplice. "Lui è amato, facile la vita!" Come se noi si fosse dei disastrati dal destino, dei pargoli stuprati da parenti pedofili, degli schiavi venduti al mercato, degli immigrati martirizzati dal racket dello sfruttamento a tempo pieno.
Jacopo era amato perchè meritava l'amore che riceveva. E ci s'impegnava, perchè ci credeva. Ecco la differenza. Anch'io, come tanti, sono stato amato. Ma cosa ho fatto di quest'amore? Come ho coltivato questo giardino? L'ho lasciato avizzire, ho permesso ai germogli di morire. Perchè, soprattutto, non ho voluto crederci. Ho preferito ripiegarmi sulla mia stanchezza, sul mio disincanto, sulla mia incredulità. E mi ritrovo solo: senza una moglie, senza figli, senza nemmeno una Silvana che versa lacrime senza pudore per una felicità forse effimera ma irrimediabilmente perduta.
Però sono vivo... Questo lo dicono di solito quelli che restano vivi. I morti non hanno niente da dire. I morti parlano attraverso di noi e noi ne filtriamo le idee, le intenzioni, i sogni e le speranze. Noi interpretiamo e questo, per chi muore, è l'ennesima fregatura.
Comunque sono vivo, questo è un fatto. Jacopo invece non c'è più. Ma come fa ad esserci una logica in tutto questo? Eppure dovrei essere un esperto. Voglio dire che, dopo il beccamorto, chi lavora in rianimazione ha una certa competenza in fatto di morte. Dovrebbe essere, non dico abituato, perchè il dirlo è troppo banale, ma almeno avezzo a quello che è l'ineluttabile destino dell'uomo. Dovrebbe averci riflettuto, dovrebbe aver sviscerato, dovrebbe, insomma, almeno averci fatto i conti. Dovrebbe aver trovato, non dico una giustificazione, ma almeno una logica, o, al contrario, un'assoluta e spaventosa illogicità e, quindi, aver assunto una condotta di vita consona alle conclusioni cui è pervenuto.
Niente affatto, non è così. La morte continua ad essere quella degli altri. La morte o, meglio, le morti. Già, perchè di morti ce ne sono due: quella che ci vede partecipi come addetti ai lavori e quella che invece viene a toglierci di dosso brandelli della nostra stessa esistenza.
La prima non è nemmeno una vera e propria morte. La morte di un paziente ha poco a che fare con la morte in assoluto. E' un possibile avvenimento, sciagurato, spiacevole o ovvio, a seconda delle situazioni in cui si esprime, che fa parte della dinamica che coinvolge il malato e quello che lo cura. E' una tappa, ovviamente conclusiva, di un processo di lavoro. Niente di più. Niente a che vedere con l'esistenza. Le esistenze dei pazienti e quelle degli operatori sanitari viaggiano su binari separati. Binari che per caso s'incontrano, ma che non appartengono alla stessa linea.
La vita e la morte di un paziente non sono molto differenti dalla vita e dalla morte del personaggio di un film. Anzi, a volte quest'ultima, se il film è ben fatto, ha un maggiore impatto sulla nostra esistenza. Ma questo, ovviamente, nessuno ha il coraggio di ammetterlo.
La seconda, invece, è un terribile morso. Un morso che ci colpisce come colpisce chiunque altro. Un morso senza senso e che, quindi, cerchiamo di dimenticare o di non riconoscere, fin tanto che ci lascia in pace. Non pensarci, fare finta che non esista, sperare di sentire i suoi denti il più tardi possibile. Questo esorcismo è quello più diffuso. Poi, quando ci tocca, è il momento delle lacrime... La conclusione è che anche noi, gli "esperti", siamo assolutamente impreparati.
La messa è finita. Quattro compunti addetti ai lavori si caricano in spalla la bara e si avviano lungo la navata centrale della chiesa per uscire e infilarsi nel furgone mortuario che li attende ai piedi della scalinata. Una volta dentro, Jacopo verrà portato via: il prosieguo della cerimonia è riservato ai più intimi. La tumulazione nella tomba di famiglia e poi, anche per loro, sarà il momento dell'ultimo addio. Per tutti, poi, non rimarranno altro che i ricordi, gli aneddoti, gli spazi vuoti.
In ospedale sarà tutto come prima. La maggiore tristezza che la morte porta con se è proprio questa. Cioè che tutto, malgrado l'assenza, malgrado il dolore, malgrado il radicale cambiamento, tutto continua con la sua solita cadenza. Certo, nel cuore di qualcuno ci sarà qualcosa di diverso, ma, almeno per la maggioranza di coloro che sono qui, non abbastanza per non ricominciare a lavorare, per non mangiare, per non fare i propri bisogni, per non divertirsi, per non ubriacarsi, per non proseguire con il proprio tran tran. Domani ci sarà il solito programma operatorio, con il nome di Jacopo sostituito da quello di qualcun altro; ci sarà il solito giro in reparto, ma non sarà Jacopo a farlo; il solito rito del caffè davanti alla macchinetta, ma sarà come se Jacopo fosse in ferie. Lo show deve andare avanti!
"Ma questa è la vita!": mi sembra di sentire nelle orecchie la risposta che Jacopo mi darebbe. Già, la sua amica vita, il senso della sua esistenza, la vera dea del suo giuramento di Ippocrate. Eccola lì la vita, che si allontana in un furgone nero per scomparire per sempre dalla mia esistenza.
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Commenti al Post:
progigi
progigi il 22/03/08 alle 19:41 via WEB
Ciao Selly, ti auguro buona Pasqua!
 
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Data di creazione: 29/01/2008
 

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