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DenseSoul

Cercando la parte di sogno che mi spetta di diritto...

 
 
 

KENSHI DAITO

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Post N° 83

Post n°83 pubblicato il 29 Luglio 2007 da siddhal

Abbiamo studiato, a tavolino, un itinerario. La disavventura di ieri ha avuto il merito, se non altro, di costringerci a fare il punto della situazione. L’Islanda è una terra selvaggia e difficile, non possiamo permetterci di andarcene semplicemente a zonzo. Abbiamo sostituito la berlina con un mezzo a trazione integrale, ma abbiamo anche deciso che, salvo qualche breve, rapida incursione, non ci arrischieremo più nei sentieri sterrati dell’entroterra. Perciò, abbiamo previsto una serie di tappe raggiungibili percorrendo, quasi esclusivamente, la sola Ring Road.

Il primo tragitto è quello verso Skogar. Visiteremo il Museo del Folklore e la cascata di Skogafoss. Abbiamo letto che è alta più di sessanta metri e che è possibile arrivare a piedi fin quasi sotto la massa d’acqua.

Sarà emozionante.

Consumate pesantemente poche ore di sonno, al risveglio, una doccia e si va.

Dopo un’oretta di viaggio tranquillo, un po’ spenti dalla monotonia del paesaggio lineare e dal nostro stesso silenzio, incontriamo alcuni villaggi di pescatori. Piccoli, colorati, assolutamente pittoreschi. Attraenti. E ci rianimiamo.

Il grido dell’oceano arriva fino a noi. Un richiamo irresistibile. Senza bisogno di consultazioni, decidiamo di fare una sosta presso un grazioso paesino, a ridosso di una suggestiva spiaggia di sabbia nera.

E’ un buon posto per scrutare un nuovo orizzonte e fare uno spuntino, poiché ancora una volta, ci siamo mossi senza aver fatto colazione.

Mentre mi siedo nella sabbia nera e grossa, ho quasi l’impressione di affondare, talmente è morbida e cedevole. Il profumo del mare è intenso.

"Un fottuto Stronzo."

L’allegro crocchiare fra i miei denti di un delizioso biscotto al burro si arresta di botto. Non è la frase a congelarmi, ma il modo in cui è emersa da un silenzio apparentemente innocuo, improvvisa, secca, amara. C’è, nello spazio fisico che occupa il suono sordo di quelle parole, un movimento aggressivo, che mi urta, mi scuote, mi angoscia.

"Cos’hai detto?"

"Stronzo. Ho detto, un fottuto stronzo."

Il suo sguardo, come a volte accade, punta lontano. Vitreo.

"Ma con chi ce l’hai, scusa?"

"Sei un fottuto stronzo, è l’ultima cosa che ho detto a mio padre. L’ultima che ha sentito prima di morire."

Ognuno di noi possiede uno scrigno dove custodisce un prezioso tesoro, una catena fatta di memoria e coscienza. E’ uno scrigno talmente piccolo da essere invisibile, ma può essere di una pesantezza indescrivibile. A volte intollerabile. Eppure ce lo portiamo dietro, dentro, addosso, tutti, una vita intera. Talvolta, in condizioni speciali, per ragioni forse incomprensibili nel contingente, decidiamo di aprirlo...

So che Pietro è orfano di padre, ma non c’è mai stata un’occasione nella quale approfondire il discorso, fra noi. Non è la prima volta che mi capita di avere la deludente sensazione di non sapere quasi nulla di lui, infondo.

Non è molto che ci conosciamo, in effetti. Eppure, in poco tempo, siamo riusciti a creare un legame stretto e profondo. Siamo uniti, intimamente. Ma la nostra vicinanza è dovuta a un fatto oggettivo più che a un intento costruttivo: siamo emotivamente complementari e mentalmente orientati verso lo stesso Cardinale.

Pietro ha aperto il suo scrigno proprio adesso, qui, con me, per me...Non so cosa mi aspetti, cosa lui si aspetti. E, peggio ancora, non so se sono pronta a guardare dentro uno scrigno che non sia il mio.

A stento contengo un moto d’ansia.

"Come è morto, tuo padre?"

"Un incidente d’auto, di notte. Venne a portarmi via di peso da casa di un amico, il mio migliore amico. C’era stata una grande festa per il suo diciottesimo compleanno, che era cominciata nel tardo pomeriggio e si era protratta fino a notte fonda. A dieci minuti da casa, ci sorprese un violento temporale. In pochi istanti, e senza che ce ne rendessimo conto - coinvolti come eravamo in uno dei nostri violenti alterchi - la pioggia prese a cadere così fitta che la visuale si ridusse a zero. Avevo fumato marijuana e bevuto birra, ancora, nonostante i suoi divieti, le sue punizioni, le sue bastonate morali. Questo lo mandò in bestia. Perse il controllo dell’auto e andammo a sbattere contro un platano. E’ davvero incredibile che, dopo quasi vent’anni e fatto com’ero, ricordi ancora il suo sguardo disgustato e rabbioso, di pochi istanti prima dell’impatto. Sento ancora quello che mi disse..quello che dissi a lui. Ha la voce orrenda di una creatura mostruosa, fatto di un odio immaturo, incosciente, crudele. Un mostro che ancora spalanca le fauci per divorarmi."

...

Il biscotto che prima sgranocchiavo allegramente adesso è una palla asciutta che si è bloccata in gola. E’ lì, in secca, non va né su né giù.

E’ importante che dica qualcosa ora...E’ questa la ragione dell’attacco di panico che lo ha assalito ieri, sul ciglio di quella strada sterrata? Ha bisogno di me, adesso...O ha solo bisogno di andare a fondo di certi pensieri e buttarli fuori, buttarli via? E’ a me che sta parlando o a se stesso? Vuole parlare di suo padre o di sè?

Al solito, la mente colma di incertezze e interrogativi, perdo l’attimo.

Pietro si accende una sigaretta e ruba un biscotto dalle mie preziose scorte private. Poi, sorride, ridando colore agli occhi, che rapidamente riprendono vita.

E’ passato, quel momento, ed è passato senza che io ne fossi all’altezza.

Ingoio il biscotto e il mio senso di inadeguatezza, rumorosamente.

Pietro mi prende per mano e mi aiuta ad alzarmi.

"Coraggio, rimettiamoci in viaggio. E, un’altra cosa...Se continui a metabolizzare biscotti sui fianchi, non mi innamorerò mai di te! Sappilo."

Ride, strappa un ultimo respiro all’oceano e si incammina.

Se solo sapesse cosa provo per lui in questo momento...

"Pietro?"

Lui si ferma, si volta, mi guarda. Facendolo, mi entra negli occhi e va giù, come sempre, ma, per una volta, non ha alcuna importanza che veda, perché c’è solo lui dentro, in questo momento.

"No, è che...Pensavo a una canzone."

"Eh?!"

"C’è una canzone che dice più o meno così, l’amore può sanarti la vita..."

"...Ma può anche spezzarti il cuore. Questo è il verso che segue, cara."

"Va bene, si. Quello che volevo dire è che...Insomma, la vita non può essere arida e sterile. La morte ti spezza il cuore, ma è un fatto senza appello. L’amore, no. E’ una possibilità che si può scegliere e scegliere ancora."

"Non è stata la morte di mio padre a spezzarmi il cuore, ma il suo disprezzo. E non è la mia vita ad essere arida, sono io ad essere impermeabile. E, se mai ne varrà la pena, stanne certa, farò la mia scelta in amore. Lo sai che sono orientato al profitto, io, no?"

"Pietro..."

"Andiamo. Muovi le chiappe! Hai mezzo chilo di burro da smaltire."

"Tu sei come questa terra, Pietro. Fiumi in piena di lava incandescente, sotto un mare di ghiaccio."

"Uhhh, sei sempre eccitante quando sciogli la prognosi!"

"Tu sei malato, ragazzo!"

"E tu sei la mia cura, donna."

 
 
 
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