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Il capitalismo è la marea nera

Post n°23 pubblicato il 17 Giugno 2010 da sinistra.popolare

IL CAPITALISMO E' LA MAREA NERA.

La domanda è: quando potranno significativamente migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei proletari? Ovvero quali parametri e risultati bisognerà raggiungere -magari grazie ai sacrifici richiesti oggi- per poter dire che tali misure hanno ottenuto il loro scopo e quindi possono essere ritirate per procedere, invece, a importanti aumenti di salari e pensioni, a ridurre la disoccupazione e la precarietà, ad estendere ed elevare la tutela e l'esercizio di diritti ed il benessere sociale generale?

Questo tema non lo pone più nessuno, neanche come semplice interrogativo. Sarebbe come domandarsi quando sarà l'acqua fresca del mare, con tutti i suoi splendori geologici, vegetali e animali, a riversarsi all'interno della crosta terrestre, passando in senso inverso nel tragico foro da cui fuoriesce il petrolio nel Golfo del Messico.

La disperazione della classe al potere, dei suoi politicanti ed intellettuali, si manifesta nella rassegnazione a dire: bevete per non affogare, sulla terraferma  non arriveremo mai. Rinunciate a quote di salario e dignità, a pause e misure di sicurezza, ad anni di pensione altrimenti sarà peggio: disoccupazione e miseria. Rinunciate ad uno Stato moderno, civile e progredito, il quale cura tutti i suoi cittadini in un quadro di equità e giustizia sociale altrimenti sarà la bancarotta (come in Grecia e prima in Argentina).

La verità è che tali sacrifici non servono a nulla, per coloro a cui vengono imposti.

Da quasi un ventennio il tenore materiale e morale di vita delle masse lavoratrici "scende" un gradino dopo l'altro, in un peggioramento costante e progressivo.

Uno di tali gradini fu la politica del governo Amato nel 1992, la quale ci portò definitivamente nell'era della concertazione. Un altro fu disceso cinque e sei anni dopo: il governo Prodi lo impose per poter aderire all'euro (concedendo una quotazione, 1936,27 lire, la quale ancora oggi ci costa molto cara). In quello stesso periodo, peraltro, quel governo si vantò di aver realizzato il record mondiale delle privatizzazioni.

Nel 2003/2004 fummo sospinti ancora più giù dal governo Berlusconi, con una serie di  misure e provvedimenti,  la più nota delle quali fu la cosiddetta Legge Biagi. Oggi dobbiamo scendere ancora più in basso per "non finire come la Grecia".

La verità è che ogni giro di vite, lungi dall'essere un sacrificio temporaneo per riprendere poi una via di progresso e prosperità, serve a preparare solo altre rinunce. Tutto ciò è successo perché la borghesia si è potuta avvalere di un efficace apparato politico-ideologico incaricato di impedire che la classe operaia potesse fermare e rovesciare questo processo. Si tratta di un circo di politicanti, sindacalisti ed intellettuali di tutti gli schieramenti (anche dell'ultrasinistra, per chi ne volesse discutere).  

In questi giorni immagino gli esponenti, per esempio, della CISL alla FIAT di Pomigliano D'Arco. Avvicinano le operaie e gli operai, con sussiego bonario e paternalistico contrabbandato come sano e concreto realismo.

Qui non si affronta questa vicenda specifica, tanto meno i problemi teorici e strategici che solleva. Dico solo che l'immaginario esponente CISL, per essere minimamente decente, dovrebbe premettere al suo eventuale discorso qualche ricordo, senza andare troppo indietro nel tempo, trascurando come sia pacifico che la CISL  è nata (nel 1948) grazie a pressioni, sostegno e finanziamenti della AFL-CIO, potente centrale sindacale statunitense, un po' mafiosa e un po' corriere internazionale della CIA.

Dovrebbe ricordare il 1984-'85, quando la CISL si battè apertamente, in primo luogo contro il compagno Berlinguer, per far accettare il taglio di quattro punti della scala mobile, deciso arbitrariamente da Craxi con un accordo separato senza la CGIL. La propaganda della CISL diceva che i "comunisti", strumentalizzando appena 27mila lire al mese, si rendevano responsabili della disoccupazione giovanile e del mancato decollo del Sud (ricorda la canzoncina odierna di Marchionne).

Tutti i "gradini" di cui ho fatto cenno (trascurando altri singoli episodi, pure negativi) sono stati sempre approvati entusiasticamente dalla CISL, sempre disponibile ad accordi separati, sistematicamente aggressiva con la CGIL (quando si mostrava un po' incerta e riluttante) accusandola di essere ideologica, di "fare politica" anziché sindacato, di volere il male dei giovani, del Sud, dei disoccupati, ecc.

Quando ero ragazzo quelli della generazione più anziana raccontavano delle vecchie "case chiuse". Un po' squattrinati e un po' in vena di perder tempo, molti si intrattenevano troppo nel salottino a parlare con le "signorine". A un certo punto, arrivava una vecchia grassona, volgarmente truccata, la quale, battendo le mani spazientita, urlava: <<giovanotti....in camera!>>.  Molti dicevano che quella signora era chiamata Vertice Cisl.

I dirigenti cislini (come tanti altri anche più "a sinistra") spiegano alle operaie e agli operai di Pomigliano che è meglio piegarsi alle condotte di tipo estorsivo e camorristico della FIAT per non far chiudere la fabbrica. Se avessero un po' di pudore, però, dovrebbero aggiungere che oggi "salvano" così la fabbrica ma fra tre o quattro anni -per gli stessi motivi-  dovranno fare altre rinunce e dopo verranno altri sacrifici ancora.... 

Cercheremo in futuro di approfondire meglio ed argomentare con semplicità perché il capitalismo ha bisogno  di abbassare il prezzo della forza-lavoro e procedere alla torsione ed alla forzatura del suo consumo. Ha bisogno in misura sempre più massiccia e frequente (come un drogato) di abbassamenti salariali e maggior sottoccupazione (disoccupazione, precarietà, ecc.).

Il vero motivo di certe odiose proposte (anche del recente passato) non è il "risanamento dei bilanci pubblici" ma la crescente anarchia dei mercati finanziari e la conseguente crisi di liquidità che condiziona la concorrenza internazionale tra i grandi monopoli.

La "produttività" e la "crescita" non sono affatto la posta in gioco (o la giustificazione) dei problemi attuali. Condizione della prima è l'espulsione di forza-lavoro dal processo produttivo ed obiettivo della seconda è l'esportazione di capitale ovvero il trasferimento della produzione all'estero (in rapporto al minor prezzo della forza-lavoro) e ciò si ottiene comprimendo la domanda interna cioè il tenore di vita della maggioranza della popolazione. Insomma, non è affatto vero che l'aumento della "produttività" e la "crescita" (nel senso inteso da lorsignori) favorisca l'occupazione e i livelli salariali, è vero, semmai, il contrario. Tanto più che si può dimostrare come il capitalismo abbia un bisogno crescente di inquinare e depredare selvaggiamente le risorse naturali ed ambientali, scaricandone costi e conseguenze sulla collettività nonchè di liberarsi del prelievo fiscale procedendo verso un'anarchia primordiale dal punto di vista normativo, produttivo e sociale.

In conclusione, è chiaro che gli abitanti delle coste americane non possono rimanere indifferenti all'arrivo dell'enorme massa di petrolio, così come i lavoratori di Pomigliano non possono (considerati i rapporti di forza tra le classi e la situazione generale) rimanere indifferenti alle minacce di chiusura della fabbrica.

Non basta, però, limitarsi a contenere gli effetti della marea nera e rimediare qualche espediente per convivere con essi. Ci si troverebbe sempre più subalterni e in continuo arretramento rispetto alla catena di ripercussioni specifiche del disastro ecologico.

Non basta cercare di risolvere a posteriori i singoli problemi generati dal petrolio fuoriuscito: con tale impostazione, eventuali soluzioni si rivelerebbero sempre più inefficaci, parziali e provvisorie. Non basta pensare ai problemi posti dalla marea nera ma occorre rovesciare questa mentalità: è la marea nera il PROBLEMA ed quindi il primo obiettivo è chiudere definitivamente la falla da cui sgorga. IL PROBLEMA È IL CAPITALISMO.

 
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