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Post N° 86

Post n°86 pubblicato il 03 Luglio 2008 da SmokinDoll

 

 

 

Ronza il frigorifero, stasera. Lo fa come tutte le sere a dire il vero, ma sono poche quelle in cui me ne accorgo. Eppure sembrano sere simili quelle che passo qui adesso, alle altre che riesco a ricordare, e di certo lo sono state anche quelle in cui non c’ero, ma ugualmente lo dimentico molto più spesso di quanto lo ricordi, questo rumore così presente e costante nel silenzio della notte. Nella mente della notte. Nella notte della mente. Mi riporta indietro a quando avevo tredici anni, ora, quel rumore, a quando mamma iniziava ad andare a lavorare lasciandomi a casa da sola. Più o meno. Ero piccola e già grande. Piccola in quel tempo come adesso, dentro. Grande come non avrei dovuto voluto essere, allora. Tornavo da scuola verso le due e dopo. E mi ricordo ancora anche quella ciotolina di plastica, verde oppure rossa, nella quale mamma teneva al caldo la pasta che scoprivo immancabilmente scotta per colpa dell’umidità intrappolatavi dentro. un brusio elettrico dietro le spalle, un altro, sconosciuto e più fastidioso, dentro. Pomeriggi di condensa al pomodoro, e sudore giù dall’autobus. Olio tiepido, e impaccio quando appena prima di scendere mi vergognavo a salutare quelli seduti in fondo. Anche soddisfazione però, quando qualcuno mi rispondeva da laggiù. Come trovare la pasta nel piatto anziché nella ciotola chiusa, e aver voglia di provare a cucinare, certi giorni da sola, perché mi faceva sentire bene. Come oggi direi, che ho preparato dei deliziosi biscotti alla cannella, farciti di tutto l’amore e la disperazione che posseggo, e posso mangiarmeli tutti, a meno di non buttarli. Perché non c’è un cazzo di nessuno nella mia vita, mamma, impaziente di mangiare i miei biscotti, anche se adesso, spesso, gli uomini mi dicono che sono un’ incantevole compagnia. Mi lusingano. Millantano di volermi bene. Mi regalano gioielli, fiori, orgasmi e cene. E allora io li uso, quei maiali che si sfregano nelle loro giacche di lino, più spesso che posso. Per sopravvivere. Perché sentirli ansimare sotto di me, spossati e grondanti lardo e Fahrenheit, per fortuna mi fa sentire ancora abbastanza fiera ed egoista, tanto da volerli guardare tirar fuori i soldi prima di tornare dalle loro donne. “Non è tutto oro quel che luccica, bambina.” mi dicevi. Probabilmente uno dei detti più noiosi che esistano e veri solo in parte, dato che questa vita da puttana ben educata mi ha insegnato che d’oro ce n’è eccome, solo che sta tutto in mani altrui. Eppure in qualche modo devo darti ragione, la stessa che non ti ho mai riconosciuto fintanto che potevo farlo. Troppo diverse io e te. Troppo lontane dall’idea di comunicare disinteressatamente. Due generazioni dissimili costrette a convivere, quando non a subirsi. Di gente al mondo ce n’è tanta. D’oro invece ce n’è poco, e sempre meno, e il mio non vale niente. Eppure, nonostante lo sappia in pratica da sempre, ancora mi stupisco del mio riscoprirmi delusa. So ancora lasciarmi stupire. Almeno questo lo so fare. Grazie mamma. Per avermi fatto sempre trovare la pasta pronta al mio rientro, insieme ai tuoi amici che, come accade ancora oggi, pagavano bene per imboccarmi, tenendomi a sedere sulle loro eccitate ginocchia.

  

IMG: "Floating over the tears threshold", Bruxelles - settembre 2007

 

 
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