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Sono triste. E mi vergogno.
Sono triste per tanti motivi, perchè penso che in un Paese civile non vi dovrebbe essere alcun bisogno di fare una festa, che festa non è, per affermare quello che dovrebbe essere la normalità.
E mi vergogno, perchè non ho alcuna voglia di festeggiare qualcosa che equivale all'ammissione d'una subalternità che è soltanto frutto d'inciviltà.
Ho abbracciato molte donne oggi, serpeggiava dentro di noi una consapevolezza estrema che, di anno in anno, diventa sempre più insopportabile. Per molti versi siamo coscienti che non è più tempo d'aspettare, per molti versi stanno andando in crisi equilibri che riguardano lo Stato e la sua incapacità di garantire equità, e pari dignità.
Io non lo so cosa succederà, per quel che mi riguarda mi rendo conto d'aver fatto una scelta di solitudine, ho interiorizzato l'isolamento, e tutto quel che vi è connesso. Però sento che la mia coscienza non dorme, quando ho abbracciato quelle donne, quando ho stretto la mano a quella ragazzza nigeriana, mi sono sentita in debito umano e, nello stesso tempo comprendo che mi è richiesto un impegno ancora, e la mia stanchezza non trova giustificazione, se non nella mia piega intima di donna che non ha trovato nessun riscontro serio al proprio impegno, al proprio bisogno personale.
Ascrivo tutto questo al fatto di vivere in un paese incivile, ormai. Nello stesso tempo devo mettere da parte questa orrenda sensazione quando vedo la condizione femminile che emerge da mondi diversi, e quando vedo quelle donne che s'impegnano ad imparare le lingue (ho visto madri studiare sui testi di scuola elementare dei propri figli) allora mi dico che la mia inquietudine è giusta.
Il fatto è che, ad un certo punto, una esamina la propria vita, la vede da più punti di vista, e gira che ti rigira, ti rendi conto che le tue risorse sono risucchiate da un sistema che ti usa e ti usura, col preciso intento di neutralizzare ogni pulsione di civiltà.
Mi vergogno della 'festa'. Perchè non fu una festa morire bruciate in fabbrica, così come non è una festa veder patire e soffrire tante donne, e non voglio parlare (qui) dei motivi per cui sono infelice come persona, quelli sono affari miei.
So soltanto che, in un Paese Civile, non vi sarebbe alcun bisogno di parlar di tutela delle Donne.
E non vi dovrebbe neppure esser bisogno d'una festa...
La vera festa sarebbe tornare dal lavoro, e rientrare a casa, con la consapevolezza d'esser apprezzate per il valore che siamo capaci di dare e di riversare, nella famiglia, nel luogo di lavoro, nelle persone che amiamo. Ma nessuno ci ama per questo, tutto pare dovuto e niente reso.
La vera festa sarebbe andare a lavorare senza esser discriminate per la nostra naturale diversità, che non vuol dire inferiorità ma, semplicemente la condizione biologica di persone che devono procedere alla procreazione (che, a ben vedere, rappresenta la necessità di continuazione).
Non volevo ma, visto che lo spazio c'è, ed è mio, ho deciso che ci scrivo quel cazzo che mi pare.
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