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Documenti: Torino, primi di maggio1945

Post n°5 pubblicato il 30 Dicembre 2007 da Albatrox1

" Accanto al reparto dei feriti e congelati della divisione, vi era una stanzetta dove un tenente della X Mas ferito alla colonna vertebrale e completamente paralizzato dalla vita in giù, se ne stava isolato assieme alla madre.

Era di Trieste e la madre lo curava già da parecchio tempo. Non aveva che quel figliolo.

Un pomeriggio che ricorderò sempre come un incubo, quattro uomini armati irruppero in quella stanzetta, afferrarono quel povero corpo martoriato, lo presero due per le ascelle e due per i piedi e cercarono di portarlo fuori dal locale. Nessun medico, nessun infermiere, nessuna sorella cercò di fermarli.

La madre intuì ogni cosa e si gettò, urlando sul figlio e con la forza della disperazione lottò per strapparlo a quei violenti. Dritta sulla soglia della stanzetta, a braccia aperte, tentava d'impedire il passaggio del corpo del figlio picchiando a pugni chiusi chi lo trasportava, difendendo disperata la sua creatura. Era tremendamente sola, la colpirono con un pugno tra gli occhi ed egualmente la donna, perdendo sangue dal naso, si batteva con la forza di un leone; a quel punto si gettò a terra tra le gambe di quegli uomini e allora uno di questi la prese per i capelli e la trascinò per la corsia. La donna perdeva ciocche di capelli, ma continuava a dibattersi non cessando mai di invocare aiuto. Poi, rìalzatasi di colpo, si gettò nuovamente sul corpo del figlio che veniva continuamente strattonato qua e là ed era ormai seminudo, con le medicazioni pendenti dalla ferita riaperta.

II tenente non apri mai bocca, solo allungò una mano e strinse quella della madre ricoperta di sangue. Sempre silenziosamente prese ad accarezzare quella. povera mano e poi se la portò alle labbra. Trovava ancora la forza di tacere, fu trascinato davanti ai letti dei soldati. Ci fu chi si alzò in piedi di scatto e chi si coprì il volto con le coperte per non vedere e per non sentire, io pensavo alle campane di Torino che avevano suonato per annunciare a tutto il paese che la guerra era finita. Pensavo all'amore che era scomparso e all'odio che divorava gli esseri che mi attorniavano.

Ora gli urli della donna non avevano più nulla di umano. Il triste corteo passò il cortile seguito dagli occhi di decine di persone senza, che nessuno intervenisse o sbarrasse il passo a chi trasportava quel ferito, i volti dei trasportatori erano divenuti paonazzi, gli occhi induriti.

All'uscita dell'ospedale un capannello di persone fece cerchio attorno a quei quattro che ora cercavano invano di far entrare il ferito in un camioncino sporco ed ingombro di oggetti. Ma non vi riuscivano. Allora con un moto di stizza e di rabbia buttarono a terra quel corpo martoriato e scaricarono su di lui i loro mitra. Spararono tutti e quattro assieme.

Per ore nelle nostre orecchie risuonò martellante l'urlo della povera madre: " Maledetti, maledetti assassini "...

Testimonianze tratte da " Carità e tormento - memorie di una crocerossina ", di Antonia Setti Carraro - Mursia Editore, 1982

 
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