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IL BOCA JUNIORS

Post n°1309 pubblicato il 01 Marzo 2015 da ilclan05
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Senza Drottling Sophia, la "regina Sophia", tutto ciò non sarebbe accaduto. Arrivò nel bel mezzo diuna discussione. Immaginate la scena: cinque ragazzi, una palla di cartone pressato, il fiume lercio chescorre a fianco e una questione di vita o di morte a incendiare le parole. Era l'autunno australe del1905: si doveva decidere quali colori avrebbe adottato la più grande squadra di calcio delSudamerica, dopo la morte per consunzione di una muta di maglie a strisce verticali bianche e nere.Giovanni Juan Brichetto di mestiere azionava il faro d'ingresso delle navi nel porto di Buenos Aires.Si chiamavano ancora bastimenti; trasportavano legnami e profumi di luoghi irraggiungibili. Brichetto,che era figlio di genovesi, ebbe l'idea: "Andiamo al molo e vediamo la prima nave che passa". FuSophia a incedere lenta e regale attraverso la bocca del fiume. A poppa, sventolava un vessillo gialloe blu, la bandiera svedese. La discussione si placò. Quelli sarebbero stati i colori del Boca Juniors.
Sono passati più di cento anni e nessuna squadra, al di là dell' Oceano Atlantico, è riuscita a suscitarepiù emozioni di quante ne abbia regalato il Boca. Forse perché non è la storia di una squadranormale. Idem la Boca, che ancora oggi non è un quartiere uguale agli altri. Come non lo erano gliitaliani che verso la fine dell' Ottocento vi misero piede, morsi dall'illusione e dalla fame. Lastoria iniziò lì. Tra le case di legno fradicio e tetti di metallo che ancora adesso colorano le cartolinesouvenir, venne eletto il primo presidente. Era Esteban Baglietto: anni 17. Santiago Sana eraresponsabile del "marketing" e ideò il nome "Juniors". Perché quello era un pezzo di Buenos Aires conuna fama pessima, covo di pescatori irascibili e tagliagole. Siccome il primo pallone vero, ai ragazzi,lo aveva regalato un marinaio inglese, la parola "Juniors" parve una bella emancipazione.
Non che le discussioni finirono. Alla Boca non sono d'accordo neppure con quale risultato finì laprima partita ufficiale, quella contro il Mariano Moreno, nel giugno 1905, con in campo sette italiani.Per inciso, fu il primo inno al calcio totale: dalle cronache, in campo risultano solo due difensori diruolo, Vergara Cerezo. Per qualcuno fu un 4-0, per altri 3-1, comunque per il Boca.Il barbiere Silvino, quello con il negozio in calle Brandsen, si dice fosse il depositario del segreto.Ha tenuto duro fino al 2003: poi, a più di cento anni, ha lasciato tutti nel dubbio. Oggi la Boca (letteralmente, "la bocca", intesa come entrata) non è più un porto, soppiantato daisofisticati docks di Puerto Madero, dove la movida bonarense si accende all'ora di cena. La Boca fudichiarata insalubre per l'inquinamento industriale negli Anni 90. Le navi che ci sono servono dasfondo ai ballerini di tango per le foto ricordo. L'intero quartiere, che anticamente era una palude,oggi ristagna nella disoccupazione e nei problemi sociali. Quando cala la notte, lo fa sul serio.
L'unica ricchezza del luogo è racchiusa in quei due colori che la gente tiene tatuati nell'anima. Giallo eblu. Non c'è bisogno neppure di andare allo stadio, perché la Bombonera è lì, tra le case, come unavecchia poltrona tra salotto e cucina. Ci sei affezionato al punto che, a dispetto dei suoi quasi 70 anni,non potresti mai rinunciarvi. Quella degli stadi cittadini è una tradizione in Argentina, con la miriadedi quartieri e fedi (48 nella Capitale). Ma la Bombonera le batte tutte, quelle tradizioni.
La disegnò uno sloveno che si chiamava Sulcic e aveva tribune di travi. Il prato è lo stesso dove sigiocava già nel 1923, dopo che il socio Garibaldi Bartolemé provò il golpe, affittando per 200pesos al mese un campo più a Sud, nel quartiere di Wilde. Scoppiò un'insurrezione: il Boca nonlascia la Boca. Più tardi, nel 1940, la "cancha", il campo, avrebbe assunto la fisionomia molto simile aquella odierna. Per questi discendenti di italiani di poca fede nel futuro, l'unica religione possibile èsempre stato il pallone. E la Bombonera il rifugio dove affogare i propri rancori. La Bombonera è un santuario dove si sono celebrati parecchi idoli. E nessuno è andato dimenticato.Neppure Francisco Varallo, classe 1910: 181 gol in 210 partite. Ancora adesso, se Martín Palermosbaglia un gol, senti un vecchio che proclama: "Se c'era Varallo la cacciava dentro". Ci fu ancheHugo Gatti, il portiere indio che aveva giocato nel River, perciò detestato. Andava in porta e glitiravano di tutto. Un giorno persino una scopa. Lui si mise a spazzare l'area di rigore e divenne"idolo". Poi Mouzo, l'inossidabile Roberto Mouzo, 395 presenze in 15 anni filati con la casacca. EGabriel Batistuta, amato con intensità ma troppo brevemente. Lo scartò il River, lui venne, segnò 19gol in una sola stagione, vinse lo scudetto e scappò in Europa, destino inesorabile per ogni porto dicalcio del Sudamerica: guardare i propri figli migliori emigrare. O Miguel Brindisi, centrocampistaraffinato che divenne la spalla e l'amico (vero) del piccolo Diego Maradona, il moccioso che avevafatto scintille all' Argentinos Juniors. Lui, come nessun altro, rappresenta la Boca. Perché incarnaquelli che partono di rincorsa, la gente cui la vita serve un giro di carte mediocre, e loro si pigliano lamano intera con un colpo di genio.Giocò 40 gare (con 28 gol) nella prima avventura in gialloblù. Li potete vedere tutti nei negozi disouvenir attorno allo stadio.
Più di recente è diventato il Boca di Juan RiquelmeMartín Palermo e del presidente MauricioMacri, che ha rinnovato lo stadio e creato un centro di allenamenti funzionale, detto La Bombonerita.Ma soprattutto è stato il Boca di Carlos Bianchi, l'allenatore che gli ha regalato due coppe Intercon-tinentali. Due notti indimenticabili in cui tra le lamiere della Boca si sono sentiti di nuovo padroni delMondo: Real Madrid prima e Milan poi si sono inchinati al popolo di vecchi emigranti. E sarà ancheretorica, ma la gioia e l'entusiasmo che se ne ricavano devono essere parecchio simili a quelli provatida quei cinque ragazzi con il pallone di cartone pressato, mentre guardavano passare Sophia...I tifosi del Boca si fanno chiamare xeneises perché il genovese fu per anni la lingua ufficiale delquartiere. Attenzione: "lingua" e non dialetto. Dal 1880 al 1930, la Boca era il porto e dunquel'approdo degli emigranti europei, gran parte di essi genovesi. Destinati all'area peggiore dellacittà e costretti a vivere in condizioni impossibili, nel 1882 gli "xeneisesscatenarono una rivoltaissando al porto la bandiera di Genova (la croce rossa di San Giorgio in campo bianco). La LocalSociedad Italiana, un centro culturale di emigranti e di chiaro stampo comunista, annunciò lasecessione proclamando "La Republica Libera de la Boca". Fu il presidente argentino Juan Roca astrappare dal pennone il vessillo e a ristabilire l' ordine, accettando in parte le richieste degli xeneises.Il carattere caparbio di quella gente è diventato un tratto imprescindibile anche per chi, oggi, vestela maglia del Boca. La strada più famosa del quartiere, il Caminito, dove resistono ancora i primiinsediamenti genovesi, ha ispirato un tango che parla di quella gente, scritto dal vate Juan de DiosFiliberto, cui è dedicata una via alle spalle della Bombonera. 

 
 
 
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