Creato da Andrea_78cr il 15/09/2006

Terni e dintorni

storia, eventi, cose nostre...

 

 

Le origini di Terni

Post n°6 pubblicato il 20 Settembre 2006 da Andrea_78cr

La tradizione storica legata alla famosa lapide murata sulla parete esterna dell’anfiteatro ci fornisce una data abbastanza precisa della fondazione della citta di Terni, il 632 a.C.
Questa data non è certo in alcun modo verificabile dal punto di vista storico ma attesta in qualche modo quello che deve essere stato un profondo cambiamento nelle abitudini di vita delle popolazioni Naharke che decidono di abbandonare progressivamente gli insediamenti di mezzacosta per insediarsi nella pianura un tempo impaludata.
Il progressivo defluire della acque del Nera dovuto alla maggiore apertura delle gole dopo Narni che permise un abbassamento del livello delle acque, ma anche sicuramente una progressiva opera di bonifica della valle effettuata dai suoi abitanti.
L’insediamento recentemente venuto alla luce nella zona di Maratta ci testimonia la presenza di nuclei abitati nella pianura, destinati a confluire con un fenomeno di progressivo sinecismo nella citta di Terni.
L’insediamento originario della città di Terni viene fatto coincidere con la zona dell’attuale piazza Clai, dove sono emersi testimonianza dell’abitato protostorico con i buchi di infissione dei pali della capanne.
Ma la presenza di un ricettacolo di manufatti di carattere sacro nella zona dell’anfiteatro ci testimonia un vasta uso dello spazio dell’attuale centro storico.
Non sappiamo quale fosse il nome primitivo della città e quali siano stati i cambiamenti introdotti dalla successiva conquista romana.
Ma mentre per Narni è testimoniato un assedio con una successiva ricostruzione, visto che Nequinum era la piazzaforte a difesa del territorio Naharko, la cui conquista con molta probabilità dette luogo ad una resa del resto del territorio al dominio romano, per cui siamo portato ad immaginare che la Terni primitiva fosse conquistata ma non distrutta per cui i Romani non poterono rifondare una città partendo da zero.
Per questo ho trovato molto interessante la teoria che vede nella città romana una sorta di addizione fatta alla città primitiva.
Questa ipotesi è in qualche modo conservata dalla stessa forma urbana conservata dalla città medievale, mentre la forma urbana romana a pianta regolare è quasi perfettamente conservata nel quadrante meridionale della città corrispondente grossomodo all’attuale quartiere Duomo, di questa forma non si conserva in pratica traccia in tutta la zona a nord di piazza della Repubblica dove le strade sono caratterizzate da un andamento sinuoso e tortuoso.
Come ci testimonia anche il tessuto urbano di città come Lucca è molto difficile che un impianto regolare vada del tutto perduto anche in periodi come quelli medievali, caratterizzati si dalla mancanza di una mano pubblica che in qualche modo regolasse l’attività edilizia, ma che era comunque condizionata dell’esistenza delle preesistenze le cui fondamenta servivano alla costruzione delle nuove abitazioni.
Del resto se questo schema si è conservato in buona parte in una zona della città per quale ragione sarebbe totalmente scomparso in un'altra?
Forse per il fatto che fin dalla sua origine questa parte era caratterizzata da un andamento irregolare che nessuno si premurò di correggere, come era anche il tessuto della Roma primitiva e imperiale che rimase sempre irregolare per l’impossibilità di correggere un tessuto ormai consolidato.

 
 
 

Gli Umbri ed i Celti

Post n°5 pubblicato il 20 Settembre 2006 da Andrea_78cr

Si è a lungo discusso sulla connessione tra gli Umbri e i Celti in merito soprattutto alle ricerche effettuate in questo senso dal prof. Farinacei, teso a dimostrare che gli Umbri non erano altro che una popolazione celtica.
Di sicuro i celti storici vennero a contatto con gli Umbri nelle loro progressiva marcia di avvicinamento a Roma in vista dell’attacco da sferrare alla stessa capitale.
Per cui diversi anni prima si dovevano essere insediati nella zona come testimonia la presenza di toponimi come Galleto che doveva situarsi a ridosso di un punto di passaggio nella migrazione dei Celti che provenivano dalla Gallia Cisalpina attraverso il Ponte del Toro che rappresentava il principale attraversamento del fiume Nera in epoca protostorica per poi giungere a ridosso della città nell’ampio vocabolo Galletto che va dalla zona a ridosso di Papigno fino alla zona attualmente occupata dall’ex Lanificio Gruber.
Ma questo è sicuramente un contatto tardo di difficilmente testimonia una commistione etnica tra Celti e Naharti.
Ma considerando quanto analizzato prima sul luogo di origine di questa popolazione che si dovrebbe situare nel bacino del Danubio in una zona a ridosso di quella occupata dai protocelti, per cui si potrebbe ipotizzare una affinità tra le due popolazioni.
Naharki come protocelti discesi poi lungo la costa dalmata per approdare poi sulle coste italiane e inoltrarsi all’interno della penisola.
Questi elementi culturali protocelti di cultura definita villanoviana, ma i cui insediamenti si svilupparono inizialmente in posizione di altura e mezzacosta, vista anche la scarsa praticabilità della valle alluvionale caratterizzata da un diffuso impaludamento.
Questa popolazione di carattere tribale e comunitario venne a contatto presto con elementi piu’ avanzati fondendosi con popolazione di origine greca, subendo una progressiva orientalizzazione metabolizzando una suddivisione gerarchica in classi su cui vigilava una casta sacerdotale.
A questo mix di etnie si aggiunsero poi popolazioni di origine Sabina o Safina, popolazione insediata in buona parte dell’Italia centrale tra le provincie di Rieti e Ascoli Piceno, in qualche modo progenitrice di tutte le etnie dell’Italia meridionale.
Questa commistione culturale è evidente nei culti diffusi nel territorio naharko in periodo protostorico, l’importante santuario dei monti sopra Interamna di Sant’Erasmo, in cui si può riconoscere un culto dei Gemini, legato alla tradizione greca ed orientale dei Di oscuri, come rappresentazione duale delle forze dalla natura, un parte supera ed una infera.
La presenza di culti ctoni e il tipo di santuario piramidale come si riscontra in diversi luoghi dell’antica grecia.
Inoltre collegato ai contatti con i protogreci di Cuma è la presenza della Sibilla appenninica, il cui culto deriva direttamente dalla tradizione greca.
Legate alla tradizioni religiose delle popolazioni Sabine è il culto del picchio con il suo carattere strettamente legato alla natura e alle caratteristiche di questo animale che scava la sua tana nei tronchi degli alberi, come questi antichi popoli ricavavano i loro oppida disboscando le fitte foreste appenniniche.
Culti a cui si connettono strettamente quello di Marte e del picus o fallo, di carattere tipicamente legato a culti della fertilità.
Culti tutti questi riconoscibili nelle popolazioni Umbre con le frequenti dediche al Dio Marte, come attestano le denominazioni di Monti Martani, che caratterizza le montagne fra Terni, Todi e Spoleto, e le numerose testimonianze del culto del picus riscontrabili nelle murature megalitiche di Cesi o nei santuari fallici di Carsulae ed Otriculum.

 

  

 
 
 

Origini dei Naharki

Post n°4 pubblicato il 19 Settembre 2006 da Andrea_78cr

 

Non abbiamo notizie certe e documentabili circa l’origine di questa popolazione di cui troviamo riscontro solo in alcuni accenni, infatti vengono citati nelle tavole eugubine e nel nome stesso della citta di Terni, che era Interamna dei Naharti.
Naturalmente in nome della popolazione deriva dal ruolo totemico del fiume, il Nera lungo il cui corso di era insediata questa antica popolazione.
La provenienza stessa degli antichi Umbri non è facilmente rintracciabile, infatti Plinio ci dice che sono tra le popolazioni piu’ antiche d’Italia e che sicuramente erano già presenti quando sono arrivati gli Etruschi, che hanno occupato parte del territorio Umbro.
Ma da dove venissero è solo un ipotesi…il termine greco Ombricoi significherebbe salvati dalle acque, quindi si riferirebbe ad una popolazione scampata ad una qualche devastante alluvioni che interessavano periodicamente i grandi fiumi centro europei.
Con molta probabilità i progenitori umbri abitavano lungo il bacino Danubiano, in una zona dove erano già insediati i Paleo-celti con cui erano sicuramente in contatto se non direttamente imparentati.
Poi scendendo lungo la costa dalmata hanno attraversato l’Adriatico per poi attraverso le valli marchigiane arrivare all’interno della penisola per insediarsi lungo l’asta del Nera.

 

 

 
 
 

la Necropoli dell'Acciaieria

Post n°3 pubblicato il 19 Settembre 2006 da Andrea_78cr

Il territorio ternano rappresenta sicuramente uno dei luoghi piu’ importanti per comprendere le dinamiche del popolamento dell’Italia centrale durante il periodo protostorico.
Infatti la vastissima ed importantissima necropoli delle Acciaierie rappresenta uno dei siti meglio conservati tra le necropoli antiche.
La necropoli si estende su una superficie di molti ettari con un sviluppo di oltre 3 km dall’area alle pendici della collina di Pentima fino alla zona della Stazione Ferroviaria, con un calcolo approssimativo di circa 2500 sepolture ma che sicuramente è attendibile molto per difetto.
Le periodiche inondazioni hanno preservato la necropoli dai saccheggi di epoca antica lasciandola intatta al momento degli sbancamenti effettuati per la fondazione delle acciaierie.
E infatti gran parte della necropoli giace tutt’ora sotto i capannoni dello stabilimento industriale.
Le sepolture piu’ antiche risalgono al X secolo avanti Cristo e ci danno testimonianza di una società tribale ed animistica dove mancano distinzioni di carattere sociale e le sepolture sono semplici buce in cui si conservano i resti incineriti senza particolari corredi.
Poi assistiamo ad un cambio improvviso nei riti di sepoltura che ci danno la testimonianza di profondi cambiamenti avvenuti nelle composizione sociale della popolazione.
Il sopraggiungere di popolazioni che avevano già una società strutturata in classi ha portato all’introduzione del rito di inumazione con la presenza di ricchi corredi per sottolineare la potenza e la ricchezze delle classi abbienti.
La necropoli ci da testimonianza di un passato antico in cui questo territorio era un importante crocevia di popolazioni ed un mix di etnie che convivevano nello stesso spazio.

 
 
 

I NAHARKY

Post n°2 pubblicato il 15 Settembre 2006 da Andrea_78cr

Dall’alto del monte la vista spaziava sulla piana, che invasa dal sole risplendeva dei mille bagliori delle acque che il fiume con i suoi rivoli spargeva per l’ampia distesa di terra brulla. Quest’acqua scendeva impetuosa, con il suo biancore sulfureo, giù per le ripide gole che la sua forza di giovane fiume scavava nella roccia, così che sfociando nella valle si dilatava come esplodendo impantanando la terra grassa, come se non riuscisse a spingersi oltre. Tutta quella gran copia d’acqua,che le irte montagne degli appennini non smettevano mai di alimentare con le loro nevi perenni, rendeva assai disagevole la vita per la nazione. Fin dai tempi dei loro padri avevano appreso che non era il caso di fidarsi della valle, che il ristagno dell’acqua, con il suo carico di febbri malariche, rendeva la loro vita incredibilmente dura. Le colline che comprimevano nel loro abbraccio la piana, erano il luogo più adatto dove fissare la propria dimora, la cima del monte più alto era il posto dove essere più vicini agli dei e li sotto, serrata in una grossa muraglia, poteva adagiarsi la loro capitale. Giù in basso era la giusta dimora per quelli che abbandonavano questa vita, una immensa città di morti sulle rive del fiume solforoso, che con i suoi fumi impregnava l’aria ed era il degno luogo dove il traghettatore d’Acheronte potesse raggiungere i suoi passeggeri, per scortarli alla residenza dell’Ade. Era quel fiume del resto che li rendeva nazione, era il segno unificante della loro etnia, le acque di zolfo, nar nella loro lingua, Nahar, il fiume bianco, Naharki loro stessi. Valentia era al centro della loro nazione da cui in una giornata di cammino si potevano agevolmente raggiungere gli altri insediamenti. Ocar dall’alto della sua acropoli controllava il porto sul Tevere, unico punto di contatto con gli abitanti dell’altra sponda, l’infida nazione etrusca, con cui si potevano intrattenere solo scambi commerciali, ma che il pantano della valle doveva tenere ben alla larga dalla loro stirpe. Nequinum, con la sua posizione isolata, garantiva la difesa nel caso qualcuno si fosse avvicinato al centro della loro patria, che volevano mantenere autonoma ed indipendente. Reate era a presidio di un'altra valle paludosa dove il Velino impantanava le sue acque, visto che con il tempo aveva eretto un’alta barriera che lo divideva dal fiume di zolfo. Chiunque volesse raggiungere da sud le valli appenniniche, e porseguendo lungo il corso dell’Esino il golfo di Adria, doveva scendere a patti con loro, questo fatto dava particolarmente fastidio alla gente di Iguvium, che considerava i Naharki nemici e li malediva presso i propri dei. Ma questo poco importava alla nostra gente, infatti il controllo delle vie di comunicazioni interne dava un grosso potere alla nazione, e le maledizioni dei vicini invidiosi erano ben annientate dai propri dei. A maggior vantaggio della stirpe, si decise di scavalcare con un ponte le acque solforose prima che affluissero nella piana, in un punto dove si potesse edificare un comodo ponte di pietra solido e resistente. Questa via permetteva un agile passaggio a chi veniva da nord per cui c’era bisogno di controllarlo in maniera costante. Da quando una maggior quantità di acqua aveva cominciato a defluire dalle gole a valle di Nequinum, a causa di uno dei frequenti movimenti della terra, la piana era meno insidiosa ed era affiorata un isola che ora permetteva di passare agevolmente da un lato all’altro del fiume. Quest’isola era il posto ideale dove insediare una cittadella a guardia del passaggio, una comunità tra le acque a guardia del tesoro della nazione, le vie di comunicazione. Era giunta l’ora di abbandonare i colli e coltivare la terra, sui monti restavano gli dei e si tornava in coincidenza delle feste a rendergli omaggio, ma era arrivato il momento di trarre ricchezza da tutta quella terra. Si dovevano arare e seminare i campi lasciati ormai asciutti dalle acque, trasferendo a valle gli abitanti dei vecchi villaggi. Grossi pali vengono infissi nel terreno e uno dopo l’altro vanno a delimitare il recinto della famiglia, con una foresta di rami intrecciati ed una malta liquida si isola la capanna dal mondo esterno. Altre capanne si aggiungevano a popolare quella comunità che era stata chiamata a vivere tra le acque, a guardia del ponte e del guado, a questa gente era ora affidata la cura della prosperità a del progresso della nazione. Questa avanguardia avrebbe domato le irrequiete acque di zolfo, sottraendo la valle al dominio esclusivo dei morti, modellando con il proprio lavoro la nuova ricchezza del nome Naharko.

 
 
 
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