Post n°6 pubblicato il 20 Settembre 2006 da Andrea_78cr
La tradizione storica legata alla famosa lapide murata sulla parete esterna dell’anfiteatro ci fornisce una data abbastanza precisa della fondazione della citta di Terni, il 632 a.C. |
Post n°5 pubblicato il 20 Settembre 2006 da Andrea_78cr
Si è a lungo discusso sulla connessione tra gli Umbri e i Celti in merito soprattutto alle ricerche effettuate in questo senso dal prof. Farinacei, teso a dimostrare che gli Umbri non erano altro che una popolazione celtica.
|
Post n°4 pubblicato il 19 Settembre 2006 da Andrea_78cr
Non abbiamo notizie certe e documentabili circa l’origine di questa popolazione di cui troviamo riscontro solo in alcuni accenni, infatti vengono citati nelle tavole eugubine e nel nome stesso della citta di Terni, che era Interamna dei Naharti.
|
Post n°3 pubblicato il 19 Settembre 2006 da Andrea_78cr
Il territorio ternano rappresenta sicuramente uno dei luoghi piu’ importanti per comprendere le dinamiche del popolamento dell’Italia centrale durante il periodo protostorico. |
Post n°2 pubblicato il 15 Settembre 2006 da Andrea_78cr
Dall’alto del monte la vista spaziava sulla piana, che invasa dal sole risplendeva dei mille bagliori delle acque che il fiume con i suoi rivoli spargeva per l’ampia distesa di terra brulla. Quest’acqua scendeva impetuosa, con il suo biancore sulfureo, giù per le ripide gole che la sua forza di giovane fiume scavava nella roccia, così che sfociando nella valle si dilatava come esplodendo impantanando la terra grassa, come se non riuscisse a spingersi oltre. Tutta quella gran copia d’acqua,che le irte montagne degli appennini non smettevano mai di alimentare con le loro nevi perenni, rendeva assai disagevole la vita per la nazione. Fin dai tempi dei loro padri avevano appreso che non era il caso di fidarsi della valle, che il ristagno dell’acqua, con il suo carico di febbri malariche, rendeva la loro vita incredibilmente dura. Le colline che comprimevano nel loro abbraccio la piana, erano il luogo più adatto dove fissare la propria dimora, la cima del monte più alto era il posto dove essere più vicini agli dei e li sotto, serrata in una grossa muraglia, poteva adagiarsi la loro capitale. Giù in basso era la giusta dimora per quelli che abbandonavano questa vita, una immensa città di morti sulle rive del fiume solforoso, che con i suoi fumi impregnava l’aria ed era il degno luogo dove il traghettatore d’Acheronte potesse raggiungere i suoi passeggeri, per scortarli alla residenza dell’Ade. Era quel fiume del resto che li rendeva nazione, era il segno unificante della loro etnia, le acque di zolfo, nar nella loro lingua, Nahar, il fiume bianco, Naharki loro stessi. Valentia era al centro della loro nazione da cui in una giornata di cammino si potevano agevolmente raggiungere gli altri insediamenti. Ocar dall’alto della sua acropoli controllava il porto sul Tevere, unico punto di contatto con gli abitanti dell’altra sponda, l’infida nazione etrusca, con cui si potevano intrattenere solo scambi commerciali, ma che il pantano della valle doveva tenere ben alla larga dalla loro stirpe. Nequinum, con la sua posizione isolata, garantiva la difesa nel caso qualcuno si fosse avvicinato al centro della loro patria, che volevano mantenere autonoma ed indipendente. Reate era a presidio di un'altra valle paludosa dove il Velino impantanava le sue acque, visto che con il tempo aveva eretto un’alta barriera che lo divideva dal fiume di zolfo. Chiunque volesse raggiungere da sud le valli appenniniche, e porseguendo lungo il corso dell’Esino il golfo di Adria, doveva scendere a patti con loro, questo fatto dava particolarmente fastidio alla gente di Iguvium, che considerava i Naharki nemici e li malediva presso i propri dei. Ma questo poco importava alla nostra gente, infatti il controllo delle vie di comunicazioni interne dava un grosso potere alla nazione, e le maledizioni dei vicini invidiosi erano ben annientate dai propri dei. A maggior vantaggio della stirpe, si decise di scavalcare con un ponte le acque solforose prima che affluissero nella piana, in un punto dove si potesse edificare un comodo ponte di pietra solido e resistente. Questa via permetteva un agile passaggio a chi veniva da nord per cui c’era bisogno di controllarlo in maniera costante. Da quando una maggior quantità di acqua aveva cominciato a defluire dalle gole a valle di Nequinum, a causa di uno dei frequenti movimenti della terra, la piana era meno insidiosa ed era affiorata un isola che ora permetteva di passare agevolmente da un lato all’altro del fiume. Quest’isola era il posto ideale dove insediare una cittadella a guardia del passaggio, una comunità tra le acque a guardia del tesoro della nazione, le vie di comunicazione. Era giunta l’ora di abbandonare i colli e coltivare la terra, sui monti restavano gli dei e si tornava in coincidenza delle feste a rendergli omaggio, ma era arrivato il momento di trarre ricchezza da tutta quella terra. Si dovevano arare e seminare i campi lasciati ormai asciutti dalle acque, trasferendo a valle gli abitanti dei vecchi villaggi. Grossi pali vengono infissi nel terreno e uno dopo l’altro vanno a delimitare il recinto della famiglia, con una foresta di rami intrecciati ed una malta liquida si isola la capanna dal mondo esterno. Altre capanne si aggiungevano a popolare quella comunità che era stata chiamata a vivere tra le acque, a guardia del ponte e del guado, a questa gente era ora affidata la cura della prosperità a del progresso della nazione. Questa avanguardia avrebbe domato le irrequiete acque di zolfo, sottraendo la valle al dominio esclusivo dei morti, modellando con il proprio lavoro la nuova ricchezza del nome Naharko. |