Labirinto di Minosse

Crisalide


Perfettamente verticale, a terra. Mi sento così, strappata alle mie origini, separata dalla donna che ero per diventare ciò che sono. Ci rifletto e non appena immagino, compare un’istantanea di me che muta essenza perché proprio no, proprio non mi riesce di darmi forma. In alcun modo. Barcollo in una personalità crisalide che dovrei conoscere ormai mi dico. Dovrei saperlo ormai chi sono. Chi sono? Una donna scontenta, una donna insicura. Percepibile tra contraddizioni che ingannano, seduzioni senza fretta e meticolosi innamoramenti fuori norma. Insomma mi arresto per ogni dove e rimango presa, arpionata dall’indecisione, lì dove tiro, tiro fino a lacerarmi il fiato. Sì, il fiato! Altrimenti perché le parole sarebbero il mio letto, il vagito che mi sveglia rinata a nuovo, il trillo acuto del momento in cui riesco a zittirmi e trovo e ritrovo che c’è altro, c’è altro oltre questo procedere senza senso. E non solamente il dolore che ha sostituito la rabbia, il dolore che mi porta lontano – come un dono – il dolore che mi trascina dentro me stessa. C’è anche l’armonia beante e larga, così sporgente e spigolosa. Giuro! C’è l’armonia vulnerabile come la più lieve corolla rossa.
Un’armonia rintracciabile, a detta di alcuni, tra i più noti modelli psichici; un’armonia-euforia che a volerla descrivere mi sorprende ogni volta uguale per l’intoccabilità della sua natura. Più volte l’ho percepita, più volte l’ho persa e ritrovata, questa natura combatte se stessa, fondamentalmente non si accetta. Si concede e concede per un abbraccio estraneo e senza pretesa, il solo – lei* crede – capace di restituirla a ciò che era. Sottosotto quindi, scrivere mi porta a questo: rintracciare la sublimità dell’attimo prima che si contraddica.*   Ed è così che accade, dalla prima persona il racconto passa in terza: mi perdo ancora…  (Le sculture sono creazioni di Antonio Di Rosa).