Creato da blog69 il 09/01/2007
il sole sul mondo nuovo

HOME PAGE

Area personale

 

Tag

 

FACEBOOK

 
 

I miei Blog Amici

Ultime visite al Blog

VINCI1000donnadeilagotchi87chiaracarboni90maxymax2mcarclassmisterax1tullina63camara70feng75tattoosupplies888orsorosso14axxxegigasdgl0canedado
 
Citazioni nei Blog Amici: 2
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

Il carroccio del vincitore

Post n°53 pubblicato il 22 Aprile 2008 da sunking77
 

DI MARCO TRAVAGLIO

Proseguono i salti sul carro, anzi sul Carroccio del vincitore. Ieri è stata la volta di Angelo Panebianco, estasiato dalla “classe dirigente locale” della Lega, “giovani amministratori spesso abili e capaci”. Pensava probabilmente a quel tenero virgulto di Gentilizi, prosindaco di Treviso, celebre per l’ordinanza che sradicava le panchine per evitare vi si sedessero “i negri”.

Anche il Riformatorio di Polito, nel suo piccolo, invita il Pd a schierarsi con Pdl e Lega: guai a fare opposizione, men che meno “in piazza”. Meglio arrendersi subito. Consegnarsi con le braccia alzate. L’ideale sarebbe confluire nel Pdl, per semplificare ulteriormente il quadro politico. E’ interessante questa new wawe dell’eterno conformismo italiota: si parte fingendo di spiegare la vittoria di Berlusconi e Bossi, e si finisce dopo tre righe a sostenere che, siccome hanno vinto, hanno ragione su tutto. Qualunque cosa abbian detto, dicano o diranno, è giusta e sacrosanta. Perché “hanno preso i voti”.

E’ il teorema di Massimo Giannini: la vittoria è un “condono tombale sui processi e sul conflitto d’interessi”. Tesi foriera di appassionanti sviluppi. Se, puta caso, un leghista incontra un marocchino e gli fracassa il cranio a legnate, potrà giustificarsi così: “Di che ti lamenti, negher: non lo sai che ho avuto i voti e posso fare quello che voglio?”. Se un fascistello incontrasse una bella ragazza e decidesse di stuprarla lì, su due piedi, potrebbe zittirla citando qualche dotto editoriale: “Abbiamo vinto, dunque abbiamo ragione. A prescindere”.

In fondo è quel che sta accadendo dalle parti del Cainano, che negli ultimi cinque giorni ha trovato il modo di occuparsi due volte di Annozero (“Santoro e Travaglio continuano a fare un uso criminoso della tv pubblica, qualcosa che in una moderna democrazia non si dovrebbe permettere”) e due volte de l’Unità (“mi calunnia” andrebbe “dimessa”). Ma diversamente da quando gli editti bulgari provocavano qualche reazione, stavolta non reagisce nessuno. E’ normale: con quei voti può fare ciò che vuole. Anche riprendersi la Rai (peraltro già sua) o cacciare un’altra volta Santoro (per poi dire di essere stato frainteso, perché “io sono l’editore più liberale che sia mai comparso sulla scena, lo diceva anche Montanelli”) o tagliare i viveri a l’Unità. Il diritto al dissenso non è più contemplato. Resta la libertà d’applauso. Almeno al di qua delle Alpi.

Al di là, invece, si continuano a dire cose normali. La commissaria europea Neelie Kroes ha risposto a un’interrogazione degli europarlamentari Catania, Fava, Chiesa, Musacchio, Berlinguer, Napoletano, Frassoni, Agnolotto, Morgantini e Guidoni sul sistema televisivo italiano.

1 – “Il Consiglio di Stato dovrà applicare l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia sul risarcimento a Europa7”
2 – Per “la violazione delle direttive” da parte della legge Gasparri, che apre il digitale terrestre solo ai soggetti già presenti sull’analogico, cioè a Rai-Mediaset, “la Commissione ha già intrapreso un’azione per porre fine alle violazioni”: cioè ha denunciato l’Italia alla Corte di Giustizia per farla multare nel caso in cui non smantelli la Gasparri.
3 – la Commissione “controllerà che la decisione della Corte di Giustizia sia pienamente applicata dall’Italia”.

Il punto 3 significa che, mentre il Consiglio di Stato risarcirà Europa7 per la mancata assegnazione delle frequenze occupate da Rete4 (priva di concessione), “l’Italia” – cioè il governo Berlusconi III – dovrà “pienamente applicare la sentenza”; cioè spegnere Rete4, accendere Europa7 e smantellare la Gasparri.

Ora, è improbabile che il tacchino salti spontaneamente nel pentolone di Natale: ergo si preannuncia una bella guerra tra l’Italia e resto d’Europa per salvare la bottega del Cainano. Al quale Fedele Gonfalonieri, dall’assemblea dei soci di Mediaset, ha rivolto un severo monito: Ci auguriamo che il nuovo governo sottrarrà la questione televisiva alla dimensione di arma politica e strumento di ricatto a cui era stata ridotta in questi ultimi due anni”. Oiersilvio Berlusconi, dal canto suo, ha intimato al futuro premier Silvio Berlusconi di “lasciarci lavorare nella normalità”, senza “favoritismi né penalizzazioni”.

Ecco: si levi dalla testa di penalizzare di nuovo Mediaset come l’altra volta con leggi liberticide come il falso in bilancio, le rogatorie, la Cirami, la Cirielli, il lodo Schifani, la Pecorella, la Frattini, la Gasparri e il decreto salva-Rete4. Non correre, papà: a casa c’è qualcuno che ti aspetta

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

SCENEGGIATA ALITALIA (ULTIMO ATTO)

Post n°52 pubblicato il 22 Aprile 2008 da sunking77
 

DI MASSIMO GIANNINI

ORA saranno soddisfatti. I "difensori della nazione" e i "paladini dell'occupazione". Il Pdl che ha appena vinto le elezioni e il sindacato che ha appena perso la faccia. Il ritiro di Air France significa la fine dell'Alitalia e certifica la sconfitta dell'Italia.

Si compie il destino di un'azienda depauperata e depredata da decenni di cattiva gestione finanziaria e di pervasiva "usucapione" politica. Si chiude nel peggiore dei modi un "buco nero" costato alla collettività 15 miliardi in 15 anni, 270 euro per ogni cittadino, neonati compresi.

Solo le false anime belle, adesso, possono far finta di meravigliarsi per la rottura decisa dai francesi. Cosa si aspettavano, dopo che una partita strategica come Alitalia è stata giocata strumentalmente in un'ottusa campagna elettorale, come un derby pecoreccio tra Malpensa e Fiumicino? Cosa speravano, dopo che il futuro industriale del nostro vettore aereo è stato consumato inopinatamente in un assurdo negoziato "peronista", come una banale vertenza sui taxi? In questo sciagurato Paese, purtroppo, funziona così. Ma nel resto d'Europa, evidentemente, il mercato ha ancora le sue regole, i suoi tempi, i suoi effetti.

Ci sono nomi e cognomi, nell'elenco dei colpevoli di questo bruciante fallimento del Sistema-Paese. Sul fronte politico, Berlusconi ha brillato per l'insostenibile leggerezza con la quale ha maneggiato l'affare Ali-France, e per l'insopportabile cinismo con il quale ha sventolato il pretestuoso vessillo dell'"italianità" a fini di marketing elettorale. La sua crociata anti-francese non ha conosciuto confini diplomatici né limiti etici. In un vortice di annunci auto-smentiti, ha posto veti impropri. Ha inventato cordate improbabili, a metà tra il pubblicistico e il familistico. Ha messo in pista concorrenti immaginari, come l'Aeroflot dell'amico Putin, che gentilmente si è prestato al gioco nella ridente cornice sarda di Villa Certosa, dove il luogo della vacanza personale si traveste da sede della rappresentanza istituzionale. Jean-Cyrill Spinetta ha sopportato anche troppo le intemperanze del premier in pectore. Piuttosto che perdere altro tempo e farsi dire no dal nuovo governo, ha preferito giocare d'anticipo.


Sul fronte sindacale le colpe sono anche più gravi. Epifani, Bonanni e Angeletti, e con loro la colorita galassia degli "autonomi", hanno brillato per l'inaccettabile miopia con la quale hanno affrontato la drammatica crisi dell'Alitalia, alla quale hanno dato da sempre il loro fattivo contributo. Per troppi anni, dai tempi di Aquila Selvaggia, le confederazioni e i mille cobas sparsi nei nostri cieli hanno usato la compagnia come una zona franca, nella quale i livelli retributivi e le quote occupazionali erano le sole "variabili indipendenti" da tutti gli altri parametri aziendali: dall'efficienza del servizio alla produttività del lavoro. Cgil, Cisl e Uil si sono distinte per l'intollerabile demagogia con la quale hanno cercato fino all'ultimo di intralciare il piano industriale dell'unico partner di livello mondiale che aveva accettato di sporcarsi le mani nel disastro dell'Alitalia. All'insegna della più insensata difesa corporativa. Dal cargo, da salvare nonostante abbia 5 aerei con un organico di 135 piloti e fatturi 260 milioni con una perdita di 74 milioni. Ad Alitalia Servizi, da salvare grazie a Fintecna in un'operazione impensabile perfino al tempo dell'Efim e degli altri carrozzoni pubblici delle PpSs. Anche in questo caso, Spinetta non poteva continuare con questo indecoroso tira e molla. Ha preferito anticipare i tempi, con tanti saluti alla gloriosa Triplice.

Il governo Prodi non ha gestito al meglio questa privatizzazione. Ma Tommaso Padoa-Schioppa ha avuto almeno il merito di aprire la "pratica", dopo un'intera legislatura nella quale il vecchio governo della Cdl si era ben guardato dal farlo. E di avvisare tutti una settimana prima del voto: "Serve un segnale immediato - aveva detto all'Ecofin in Slovenia - perché se la decisione sull'offerta Air France viene rimandata a dopo le elezioni il commissario sarà inevitabile". Così è stato. Così sarà. Ora l'Alitalia svola verso il baratro. In cassa ci sono soldi per un altro mese, non di più. Il Consiglio dei ministri che si riunirà oggi può fare solo due cose: approvare il prestito-ponte da 100 milioni, e decidere il commissariamento della compagnia. In ogni caso, è una lezione amarissima per tutti. Per il leader del centrodestra che ora dovrà evitare almeno il fallimento, dopo aver dimostrato tutta la sua improvvisazione politica e il suo ritardo di fronte alle sfide del libero mercato. E per i leader confederali, che non sono stati capaci di cogliere "l'ultima chiamata" e hanno mostrato tutto il loro incolmabile deficit culturale rispetto alle logiche della globalizzazione.

In questa fiera delle irresponsabilità, ancora una volta, le due "caste" hanno dato il peggio di sé. Sulle spalle dell'Italia, che vorrebbero "rialzare". E sulla pelle dei lavoratori, che dovrebbero tutelare.
(22 aprile 2008)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

C'ERA UNA VOLTA L'ISOLA DI CRETA...

Post n°50 pubblicato il 07 Novembre 2007 da sunking77
 
Tag: Storia

Isola bastione della non-violenza sino al 1500 a. C., quando seguì l’emergere delle “civiltà” e del culto della violenza.

Quando si dice Creta, si pensa subito al Minotauro, a re Minosse, al Grande Labirinto. Ma Creta ha molto più da offrirci di questi stereotipi ingannevoli. Creta sino a 1500 anni prima dell’era comune [a.C.], data in cui è stata invasa dai kurgan, orde barbariche, è stata un modello di società organizzata sulla non-violenza, una democrazia egualitaria che aveva sviluppato una tecnologia avanzata per fini pacifici.

Creta società opulenta, modello della società egualitaria di cooperazione.

La società cretese, opulenta, ha sviluppato una civiltà molto evoluta. Questo si è tradotto in pratica nell’organizzazione di città e villaggi ben pianificati composti di imponenti edifici, palazzi, di aree agricole, forniti di reti di distribuzione di acqua ed irrigazione, fognature, fontane e collegate da vie di comunicazione di cui molte pavimentate. In campo culturale, troviamo una letteratura abbondante (in 4 differenti scritture) e produzioni artistiche che gli storici descrivono come raffinate, celebranti la vita, molto ispirate.

Ma questo non basta a farne una civiltà non-violenta. Uno dei tratti essenziali della società cretese è di avere, in un’epoca così remota, saputo sviluppare un modello di società egualitaria. I cretesi erano persone benestanti, ma la cosa più notevole era la ripartizione piuttosto equa delle ricchezze, poiché le ricerche archeologiche hanno evidenziato poca differenza nei tenori di vita. Anche quando i poteri politici sono stati centralizzati, ciò è stato fatto senza gerarchizzazioni né autocrazia e il governo insediato lo fu sotto una forma democratica ben prima che i greci non si appropriassero della parola democrazia. Gli uomini e le donne vi partecipavano paritariamente, soprattutto per quel che concerneva le cerimonie religiose.

Creta una società che ha sviluppato una notevole tecnologia utilizzata a fini pacifici.

Creta ha creato una tecnologia di qualità utilizzando il bronzo, ma non l’ha utilizzata per produrre armi. I cretesi si sono serviti di questa tecnologia per migliorare le loro condizioni di vita, abbellire il loro ambiente, costruire magnifici edifici circondati da giardini molto elaborati. Le poche armi fabbricate, poco sofisticate, lo furono per servire sulle navi mercantili e per difesa contro gli attacchi dei pirati in alto mare. La costa cretese non era fortificata rendendola così vulnerabile agli attacchi dei barbari.

I progressi tecnologici, con lo sviluppo della specializzazione, non hanno avuto effetto sul funzionamento collaborativo ed egualitario della società. I beni e le ricchezze accumulate lo erano a beneficio ed al servizio di tutti ed i poteri che tali progressi conferiscono si sono tradotti con una maggiore consapevolezza delle responsabilità di fronte alla collettività. Questi poteri erano integrati al culto della vita ed in nessun caso potevano servire a togliere la vita con un qualunque atto di violenza.

Questo modo di vita pacifico ed egualitario che l’isola di Creta aveva saputo preservare sino al 1500 prima dell’era comune, si trovava in completa opposizione con quanto si era sviluppato dappertutto altrove dal 4300 a. C. con l’invasione delle orde barbare, i Kurgan [1], che saccheggiavano, violentavano, uccidevano. Benché queste orde nomadi fossero di culture diverse, quel che avevano in comune era il modo di funzionamento societario basato sul dominio, una struttura sociale in cui la gerarchia e l’autoritarismo erano la norma. Creta, ultimo bastione di una società non violenta, egualitaria e cooperativistica, a lungo protetta dalla sua insularità, finì con il soccombere.

L’emergere delle “civiltà” e del culto della violenza Bruscamente, con il passaggio di numerosi di questi popoli pacifici sotto il dominio di queste orde barbariche, la tecnologia sarà utilizzata per sviluppare il potere di distruzione; togliere la vita diventa la norma. I Kurgan uccidono gli uomini, si impadroniscono delle donne che diventano loro concubine e schiave e dei bambini ridotti anch’essi in schiavitù. D’ora in poi le loro sepolture mortuarie si riempiono di armi e di corpi sacrificati di donne e bambini. Da un punto di vista morale e culturale le società si impoveriscono, ne testimoniano i resti di vasellame e sculture, identiche e qualitativamente inferiori. Le donne sono sessualmente ed economicamente asservite, violentarle e violentare le giovani, sacrificare i loro figli, distruggere città intere, mostrare la propria potenza e la propria ricchezza asservendole diventa pratica corrente, con in più l’aura della religione. È su questo terreno che si sono sviluppate le “civiltà” antiche e le religioni “civilizzatrici” ebraico-cristiana. Le donne sono bandite dalle cerimonie religiose, che diventano appannaggio esclusivo degli uomini, in quanto le leggi religiose che governano oramai le società sono state concepite esclusivamente dagli uomini. Le persone non sono più trattate egualmente né in vita né in morte, le più deboli sono sfruttate, la brutalità, le punizioni sono correntemente praticate. L’ideologia dominatrice e manipolatrice celebrante il potere dello sfruttamento, la guerra, la distruzione era nato.

Cultura di violenza, istinto di morte, istinto di vita, cultura della non violenza

Dalla prevalenza di società basate sulla cooperazione, sulla celebrazione della vita, dove le persone lavoravano insieme per soddisfare i propri bisogni, si è passati a società dominatrici in cui le persone soddisfano i loro bisogni prendendoli dagli altri, al bisogno sotto la minaccia, attraverso atti di violenza, seminando ovunque morte. Quel che è stato scritto sulla storia dell’umanità, le riflessioni filosofiche, si sono principalmente sviluppate su questo a priori del dominio attraverso la violenza come elemento “naturale” della natura umana, questo “istinto “ di morte.

Quindi, costantemente, lungo il corso dei secoli sino ai nostri giorni, delle donne e degli uomini hanno voluto reinventare il mondo, assumendo su di sé e sotto forme differenti, questo bisogno di creare pacificamente i legami sociali, in relazione con un sentimento molto forte di appartenenza ad una collettività umana, percependo l’umano come una identità comune da preservare attraverso la non violenza. Allora, è questo una lontana eco di un modo di vivere scomparso o la nostalgia di un passato tribale o ancora una di quelle utopie avanguardiste ogni volta recuperata da una dinamica attivata dall’interesse? E perché non semplicemente una manifestazione persistente di un “istinto” di vita che le capacità di autodistruzione dell’essere umana, su scala individuale o collettiva, non hanno sino ad oggi potuto rimuovere?

La vita, la sofferenza, la gioia, l’estetica, la qualità della vita, le relazioni con l’ambiente naturale, sono delle ricchezze umane non misurabili, non calcolabili, non brevettabili, patrimonio comune dell’umanità che i nostri antenati hanno cercato a modo loro di preservare sperando ogni volta di superare il presente. A noi continuare.

Note:

[1] Con il termine Kurgan, vengono indicate l’insieme delle culture preistoriche eurasiatiche che seppellivano i morti socialmente ritenuti importanti in tumuli funerari spesso di grandi dimensioni. I più antichi kurgan comparvero nel Caucaso e nella steppa ucraina per poi propagarsi nell’Europa orientale e centro-settentrionale. La celeberrima archeologa ucraina Marija Gimbutas, di cui Riane Eisler può essere considerata allieva, ha associato la cultura Kurgan ai proto-indoeuropei, il cui punto di propagazione è stato identificato con le culture kurgan a nord del mar Nero. (N. d. T.)

Bibliografia

Eisler, R. & Loye, D. (1990). The partnership way: New tools for living and learning, healing our families, our communities, and our world. San Francisco: Harper.

Eisler, Riane (1987). The chalice and the blade: Our history, our future. San Francisco: Harper Collins, (tr.it., Il calice e la spada, la nascita del predominio maschile, Pratiche editrice, Parma, 1996, edizione introvabile, ora ristampato dalla casa editrice Frassinelli in modo continuativo). Della stessa autrice ci sentiamo anche di segnalare: Il piacere è sacro, tr. it., di Sacred Pleasure, opera del 1996, ora introvabile ma stampato dall’editore Frassinelli nel 1996, (N. d. T.).

3 Novembre 2004
Link
Fonte: http://www.planetenonviolence.org
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da MASSIMO CARDELLINI

Linkografia ( a cura del traduttore)

Per un inquadramento globale della storia della Creta gilanica, si può consultare questo interessante link in cui illustrazioni e fotografie aiutano nella compressione della tematica: http://www.url.it/donnestoria/testi/creta/deamadre.htm

Per notizie essenziali sulla ricercatrice Riane Eisler i cui studi sono riassunti nella traduzione di questo articolo: http://www.tmcrew.org/femm/storiadelledonne/vitaoperaEISLER.htm

Per notizie essenziali sulla ricercatrice Marija Gimbutas di cui Riane Eisler è la più importante divulgatrice e prosecutrice la sintetica voce in Wikipedia: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Maria_Gimbutas&printable=yes

Per una buona impostazione del concetto di gilania: http://www.universofemminile.it/06_Amore/Amore.htm

Un importante saggio del 1995 di Riane Eisler è consultabile a questo link: http://isd.olografix.org/faq/faq_uomo-donna.htm

Un interessante saggio sulle ricadute concettuali del rapporto società egualitaria ed ambiente al seguente link: http://www.estovest.net/ecosofia/anticofuturo.html

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

JFK UN CASO APERTO

Post n°49 pubblicato il 07 Novembre 2007 da sunking77
 
Tag: Storia

DI PAUL JOSEPH WATSON
Prison Planet

Mentre continuano a risuonare attraverso Internet le esplosive rivelazioni sul letto di morte da parte di E. Howard Hunt [vedi
"EX AGENTE CIA CONFESSA: HO PARTECIPATO ALL'OMICIDIO DI JFK" n.d.t.], in cui l'ex agente della C.I.A. e imputato nel caso Watergate ammette di essere stato parte di una congiura della C.I.A. per assassinare JFK, i media dell'establishment rimangono praticamente muti su quella che è senza dubbio una delle più importanti storie del decennio.

Il figlio maggiore di E. Howard Hunt, Saint John Hunt, si è riunito con Alex Jones per gettare nuove rivelazioni bomba sulla storia di suo padre.
Cliccate qui per ascoltare.

Hunt venne per la prima volta a conoscenza di ciò che suo padre sapeva sugli eventi del 22 novembre 1963 quando gli capitò di ricevere degli appunti scritti a mano che delineavano la nascita a Miami del complotto per uccidere JFK, dove si discusse che era necessario un colpo di Stato per rovesciare Kennedy e salvare la C.I.A. dal pericolo di essere frantumata in migliaia di pezzi come JFK aveva promesso.

Saint John aprì poi la sua casella delle lettere una mattina del gennaio del 2004 per scoprire un nastro senza etichetta in cui il padre descriveva in dettaglio l'identità degli individui che erano coinvolti nell'omicidio di JFK.

E. Howard Hunt fa i nomi di numerosi individui con legami diretti o indiretti con la C.I.A. che avrebbero avuto un ruolo nell'omicidio di Kennedy, mentre descrive se stesso come uno "scalda-sedie" del complotto. Saint John Hunt è d'accordo nell'affermare che l'uso di questo termine indica che Hunt era disposto a giocare un maggiore ruolo nella cospirazione omicida se gli fosse stato richiesto, ma che era prevalentemente usato in un ruolo di supervisione.

Hunt afferma nel nastro che l'allora vicepresidente Lyndon B. Johnson era coinvolto nella pianificazione dell'omicidio e nel suo insabbiamento, dicendo che LBJ, "aveva un bisogno quasi maniacale di diventare presidente, considerava JFK come un ostacolo verso il raggiungimento di ciò".

Nell'intervista durante l'Alex Jones Show, Hunt rivela come Kevin Costner, star del film "JFK", aveva stretto una reciproca amicizia con E. Howard Hunt e aveva successivamente fatto visita a Hunt a Miami essendo interessato a produrre un documentario basato su quanto Hunt sapeva del complotto.

"Kevin Costner vola giù a Miami e viene presentato a mio padre da questo comune amico e Kevin subito dice 'allora chi ha ucciso JFK' ? mio padre rimase a bocca aperta, si girò, guardò la moglie e disse 'cosa ha detto?'"

"Perciò la cosa praticamente gli esplose in faccia e lì finì" ha detto Hunt.

Hunt ha detto anche che Costner era diventato "qualcosa come un entusiasta della cospirazione" dopo aver fatto il film "JFK" ed era molto interessato nell'iniziare un progetto basato sulle rivelazioni di E. Howard Hunt.

"Ciò che escogitò mio padre fu un codice e una chiave per dare a Mr. Costner le informazioni rilevanti senza fare realmente i nomi," ha detto Hunt, "egli elencò la catena di comando, una cronologia degli eventi e delle cose che erano accadute, e i più importanti protagonisti del complotto."

Costner considerò le informazioni come "roba esplosiva", ma elementi della "mafia di Miami" boicottarono il progetto e il documentario non decollò mai.

Saint John Hunt ha anche rivelato per la prima volta che E. Howard Hunt riteneva che l'incidente aereo di Chicago che uccise sua moglie nel 1972 non fosse un incidente. Gli investigatori scoprirono almeno $ 10.000 nel bagaglio di Dorothy Hunt, denaro che Saint John Hunt afferma essere stato parte dei fondi della campagna di Nixon usati per pagare le famiglie di coloro che si introdussero nello Watergate in modo da tenerli zitti sul coinvolgimento della Casa Bianca di Nixon nell'effrazione allo Watergate e nell'insabbiamento.

"Più tardi nella sua vita, in una di queste confessioni dal letto di morte…iniziarono ad accumularsi lacrime nei suoi occhi ed egli disse, 'sai Saint, ero così profondamente preoccupato che potessero fare a voi ragazzi ciò che fecero a vostra madre', ciò mi fece rizzare i capelli in testa-era la prima volta che mio padre rivelava che riteneva ci fosse qualcos'altro oltre a un errore del pilota", ha detto Hunt.

I testimoni oculari riferirono che l'aereo esplose sopra al livello degli alberi prima ancora di colpire la strada.

Hunt ha detto che "almeno 20-25 membri dell'FBI", così come numerosi agenti della DIA erano sulla scena dell'incidente entro pochi minuti, prima che il personale di soccorso fosse arrivato, e che questo fatto fu riconosciuto in una lettera mandata dall' FBI di Chicago all'investigatore Sherman Skolnick.

Hunt ha citato numerose coincidenze che circondano ciò che è accaduto dopo l'incidente, compresa la nomina da parte di Nixon del suo tirapiedi Egil Krough alla National Transportation Safety Board che indaga sugli incidenti aerei, esattamente il giorno dopo l'incidente.

Quando gli viene chiesto sulle foto dei "tre vagabondi" che erano stati arrestati sulla scena dell'omicidio di JFK ma di cui venne successivamente ordinato il rilascio, Hunt concorda che probabilmente mostrano suo padre e due altri importanti cospiratori.

"Come figlio di mio padre, ogni volta che vedo l'immagine che lo paragona ai vagabondi -q uello mi sembra proprio mio padre", ha detto Hunt.


[Al centro il vagabondo fermato sulla Delay Plaza dopo l'omicidio Kennedy. Ai lati due foto di H. Hunt]


[Al centro un altro vagabondo fermato sulla Delay Plaza. Ai lati due foto di Frank Sturgis]


Hunt ha anche detto di essere abbastanza sicuro che uno degli altri vagabondi fosse l'agente C.I.A. Frank Sturgis, che suo padre aveva anche nominato come uno dei membri chiave del complotto omicida.

Hunt ha detto che suo padre non era uno dei tiratori ma era più che altro uno che dirigeva il complotto a un livello di comando, ma fu poi "lasciato ad asciugare" [nel senso di "messo da parte" perché troppo compromesso n.d.t.] dalla C.I.A. e dal governo.

Alla domanda sul perché Hunt entrò di buon grado a far parte del complotto per uccidere JFK, S. Hunt ha risposto, "nella cerchia dell'intelligence egli percepiva che era imperativo non permettere al presidente Kennedy di rimanere in carica perché stavano venendo fuori molte vicende cruciali, vi era la guerra nel Vietnam, e vi erano anche la rabbia, e la minaccia fatta da Kennedy di frantumare la C.I.A. in migliaia di pezzi."

Hunt ha anche detto che suo padre desiderava alla fine di diventare il direttore della C.I.A. e che Kennedy era un ostacolo verso questo obiettivo.

Hunt ha concluso dicendosi d'accordo che l'eredità di suo padre è stata quella di un patriota che era stato manipolato e rigirato da gente come LBJ e Nixon, per essere poi abbandonato, e con la famiglia distrutta, da questi stessi criminali.

E. Howard Hunt si è infine riscattato appena prima della sua morte spifferando quanto sapeva dell'omicidio di JFK, ma ora c'è un nuovo tentativo di seppellire queste informazioni da parte dei codardi e compromessi media dell'establishment, che non hanno concesso quasi nessuno spazio a questa storia esplosiva mentre dedicavano generosamente il loro spazio alle stupidaggini del ritorno di Britney Spears e dei commenti del conduttore radio Don Imus [accusato di avere detto frasi razziste n.d.t.].

Ancora una volta è compito dei media alternativi e di Internet assicurarsi che la storia di E. Howard Hunt venga conosciuta.

Titolo originale: "Son Of JFK Conspirator Drops New Bombshell Revelations. Costner was set to make documentary on Hunt's confession, before Miami mafia stepped in, E. Howard believed government had sabotaged his wife's plane"

Fonte: http://www.prisonplanet.com
Link
03.05.2007

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO

VEDI ANCHE:

EX AGENTE CIA CONFESSA: HO PARTECIPATO ALL'OMICIDIO DI JFK

LA FAMIGLIA BUSH, LA MAFIA CUBANA E L'ASSASSINIO DI KENNEDY

UN'ALTRA GEMMA DAGLI "X-FILE" CRIMINALI DELLA FAMIGLIA BUSH

E' STATA LA CIA AD UCCIDERE BOB KENNEDY?

OSAMA & OSWALD

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

GIUSEPPE GARIBALDI, MERCENARIO DI DUE MONDI

Post n°48 pubblicato il 07 Novembre 2007 da sunking77
 
Tag: Storia

DI ALEX LATTANZIO
Aurora

Per mettere un pietra tombale sul 'mito' Garibaldi

I festeggiamenti per il 200° anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi, con tutto lo stantio corteo di corifei e laudatori, non ha suscitato dibattiti né analisi sul processo di 'unificazione' dell'Italia. Questo evento non è diventato occasione per affrontare i nodi della storia italiana, o meglio italiane. Niente di niente. Neanche gli atenei o le accademie, né ricercatori e né docenti, hanno avuto il coraggio di affrontare, in modo serio e complessivo, la natura del processo storico italiano che va dall'Unità ad oggi. Anzi, il 'General intellect' italiano, a ennesima dimostrazione della sua subalternità e del suo provincialismo, ha solo prodotto qualche raccolta di 'memorie' dei garibaldini, veri o presunti poco importa, spacciandola come lavoro storico e di analisi storica. Nulla di più falso, poiché ogni vero storico sa che la memorialistica è altamente inaffidabile; e l'Italia è la patria delle 'memorie' scritte per secondi fini politico-personalis tici. Inoltre, 'voler costruire' la storia patria raccogliendo le memorie di una parte sola, che ha una memoria… appunto 'parziale', ha più il sapore dell'opera di indottrinamento e della retorica, piuttosto che della onesta e disinteressata ricerca storica.

Capisco che in questi anni di disfacimento nazionale, di contestazione dell'Italia quale nazione unica, e dell'italianità quale sentimento 'patriottico', alcuni settori ideologicamente e strumentalmente legati al cosiddetto 'risorgimento' sentano il bisogno di ravvivare un 'patriottismo nazionale' che almeno salvaguardi la concezione, attualmente propagandata nelle scuole e nei media, che si ha della storia italiana. Soprattutto proprio quella riguardante il periodo della costituzione della sua statualità unitaria.
Ma il fatto è che, con il riproporsi di schemi patriottardi e di affabulazioni devianti, non si renda proprio un buon servizio neanche alla storia dell'Italia.

La figura di Giuseppe Garibaldi, in tal caso, è centrale; non in quanto super-uomo o eroe di uno o più mondi. Ma in quanto strumento di 'forze superiori', ma non sto parlando della Storia con la 'S maiuscola', ma più prosaicamente di mercati, risorse, capitali, commerci, banche e finanza, ecc. Insomma, delle regole e dinamiche dettate dai rapporti di forza tra potenze coloniali, tra i nascenti imperialismi, l'equilibrio tra potenze regionali e mondiali. E in questo contesto deve essere inserita, appunto, la figura di Garibaldi. Lasciamo agli affabulatori e agli annebbianti i raccontini sull''eroe dei due mondi' e sul 'Cincinnato di Caprera'. Partiamo, quindi, dall'analizzare il ruolo e la posizione dell'obiettivo principe della più notoria spedizione dell'avventuriero nizzardo: la Sicilia.

La Sicilia, granaio e giardino del Regno di Napoli (o delle Due Sicilie), oltre ad avere una economia agricola abbastanza sviluppata, almeno nella sua parte orientale, ovvero una agrumicoltura sostenuta e avanzata, necessaria ad affrontare il mercato internazionale, sbocco principale di tale tipo di coltura; possedeva una forte marineria, assieme a quella di Napoli, tanto da essere stata una nave siciliana, la prima ad inaugurare una linea diretta con New York e gli Stati Uniti d'America. Marineria avanzata per sostenere una avanzata produzione agrumicola destinata al commercio estero, come si è appena detto. Capitalismo, altro che gramsciana 'arretratezza feudale'. Ma il fiore all'occhiello dell'economia siciliana era rappresentato da una risorsa strategica, all'epoca, ovvero lo zolfo. Lo zolfo e i prodotti solfiferi, erano estremamente necessari per il nascente processo di industrializzazione. Lo zolfo veniva utilizzato per la produzione dell'acciaio, per la preparazione di sostanze chimiche, come conservanti, esplosivi, fertilizzanti; era insomma il lubrificante del motore dell'imperialismo, soprattutto di quello inglese. Con la rivoluzione nella tecnologia navale, ovvero la nascita della corazzata, e la diffusione delle ferrovie in Europa, e non solo; ne fanno montare la domanda e, quindi, la necessità di sempre maggiori quantità di acciaio, ferro e ghisa. Quindi i processi produttivi connessi, richiedono sempre più ampie quantità di zolfo; cosi come la richiedono l'economia moderna tutta, industriale e commerciale. Tipo quella dell'Impero Britannico.

La Sicilia, alla luce dei mutamenti epocali che si vivevano alla metà dell'800, diventa un importante obiettivo strategico, un asset geo- politicamente e geo-economicamente cruciale. Difatti l'Isola possedeva 400 miniere di zolfo che, all'epoca, coprivano circa il 90% della produzione mondiale di zolfo e prodotti affini. Come poteva, l'Isola, essere ignorata dai centri strategici dell''Impero di Sua Maestà'? Come potevano l'Ammiragliato e la City trascurare la posizione della Sicilia, al centro geografico del Mediterraneo, proprio mentre si stava lavorando per realizzare il Canale di Suez? La nuova via sarebbe divenuta l'arteria principale dei traffici commerciali e marittimi dell'Impero Britannico. Come potevano ignorare tutto ciò i Premier e i Lord, gli imperialisti conservatori e gli imperialisti liberali, i massoni e i missionari d'Albione? Come? E come potevano dimenticare che, all'epoca, il Regno di Napoli e le marinerie di Sicilia e della Campania, marinerie mediterranee, fossero dei temibili concorrenti per la flotta commerciale inglese? Come potevano?

Il 'General Intellect' dell’imperialismo inglese, il maggiore dell'epoca, non poteva certo ignorare e trascurare simili fattori strategici. Loro no. Semmai a ignorarlo è stato tutto il circo italidiota dei laudatori del Peppino longochiomato e barbuto. Tutti i raccoglitori di cimeli garibaldineschi, più o meno genuini, non hanno mai avuto il cervello (il cervello appunto!) di capire e studiare questi 'trascurabili' elementi. La Sicilia è terra di schiavi e di africani, barbara e senza storia, non vale certo un libro che ne spieghi anche solo il valore materiale. Così vuole la vulgata dei nostrani storici accademici; o di venete 'storiche' contemporanee che, invece delle vicende dell'assolata terra triangolata, preferiscono dedicarsi alle memorie della masnada di mercenari vestiti delle rosse divise destinate, non a caso, agli operai del mattatoio di Montevideo.

Tralasciando la biografia e gli interessi dei fratelli Rubattino, che attuarono quella vera e propria 'False Flag Operation' detta 'Spedizione dei Mille', giova ricordare che Garibaldi, prima di partire da Quarto, era stato convocato presso la Loggia 'Alma Mater' di Londra. Vi fu una festa pubblica, di massa, che lo accolse a Londra e lo accompagnò fino alla sede centrale della massoneria anglo- scozzese. 'La più grande pagliacciata a cui abbia mai assistito' scrisse un testimone diretto dell'evento. Un tal Karl Marx. Giuseppe Garibaldi venne scelto da Londra, poiché si era già reso utile alla causa dell'impero britannico. In America Latina, quando gli inglesi favorirono la secessione di Montevideo dall'impero brasiliano, e la conseguente guerra tra Brasile e Uruguay, Garibaldi venne assoldato per svolgere il ruolo di 'raider', ovvero incursore nelle retrovie dell'esercito brasiliano. Il suo compito fu di sconvolgere l'economia dei territori nemici devastando i villaggi, bruciando i raccolti e razziando il bestiame. Morti e mutilati tra donne e bambini abbondarono, sotto i colpi dei fucili e dei machete dei suoi uomini.

Il compito svolto da Garibaldi rientrava nella politica di intervento coloniale inglese nel continente Latinoamericano; la nascita dell'Uruguay rientrava nel processo di controllo e consolidamento del flusso commerciale e finanziario di Londra verso e da il bacino del Rio de la Plata; la regione economicamente più interessante per la City. Escludere l'impero brasiliano dalla regione, era una carta strategica da giocare, perciò Londra, tramite anche Garibaldi, favorì la nascita dell'Uruguay. La borghesia compradora di Montevideo era legata da mille vincoli con l'impero inglese. Ivi Garibaldi svolse sufficientemente bene il suo compito. Divenne un 'bravo' comandante militare, solo perché si trovò di fronte i battaglioni brasiliani costituiti, per lo più, da schiavi neri armati di picche. Facile averne ragione, se si disponeva della potenza di fuoco necessaria, che fu graziosamente concessa dalla regina Vittoria.(*) L'eroe dei due mondi era stato richiamato a Londra, distogliendolo dal suo ameno lavoro: il trasporto di coolies cinesi, ovvero operai non salariati, da Hong Kong alla California. La carne cinese era richiesta dal capitale statunitense per costruire, a buon prezzo, le ferrovie della West Coast. Garibaldi si prodigava nel fornire l''emancipazione' semischiavista agli infelici cinesi, in cambio di congrua remunerazione dai suoi presunti ammiratori yankee. (2) Colui che richiese l'intervento di Garibaldi, in Sicilia, effettivamente fu un siciliano, Francesco Crispi. Egli venne inviato a Londra, presso i suoi fratelli di loggia, per dare l'allarme al gran capitale inglese: Napoli stava trattando con una azienda francese per avviare un programma per meccanizzare, almeno in parte, le miniere e la produzione dello zolfo.

Il progettato processo di modernizzazione della produzione mineraria siciliana, avrebbe alleviato il popolo siciliano dalla piaga del lavoro minorile semischiavistico delle miniere di zolfo. Ma i baroni proprietari delle miniere, stante l'alto margine di profitto ricavato dal lavoro non retribuito, e timorosi che l'interventismo economico della 'arretrata amministrazione borbonica', potesse sottrarre loro il controllo dell'oro rosso, decisero di chiedere l'intervento britannico, allarmando Londra sul destino delle miniere di zolfo. Non fosse mai che lo stolto Luigi Napoleone potesse controllare il 90% di una materia prima necessaria alle macchine e alle fornaci del capitale imperiale inglese.

Tutto ciò portò alla chiamata alle armi del loro 'eroe dei due mondi'. E i 'carusi' delle miniere solfifere devono ringraziare Garibaldi, e i suoi amici anglo-piemontesi, se la loro condizione semischiavista si è protratta fino agli anni '50 del secolo scorso. Le due navi della Rubattino, della 'Spedizione dei Mille', arrivarono a Marsala l'11 maggio 1860. Ad attenderli non vi erano unità della marina napoletana o una compagnia del corpo d'armata borbonico, forte di 10000 uomini, stanziata in Sicilia e comandata dal Generale Lanti. No. In compenso era presente una squadra della Royal Navy, posta nella rada di Marsala, a vigilare affinché tutto andasse come previsto. I 1089 garibaldini, in realtà, erano solo l'avanguardia del vero corpo d'invasione, una armata anglo-piemontese di 20000 soldati, per lo più mercenari, che attuarono, già allora, la tattica di eliminare qualsiasi segno di riconoscimento delle proprie forze armate. Infatti il corpo era costituito, in maggioranza, da ex zuavi francesi che avevano appena 'esportato' la civiltà nei villaggi dell'Algeria e sui monti della Kabilya. Inoltre, erano presenti alcune migliaia di soldati e carabinieri piemontesi, momentaneamente posti in 'congedo', e riarruolati come 'volontari' nella missione d'invasione. Eppoi c'erano i veri e propri volontari/mercenari , finanziati per lo più dall'aristocrazia e dalla massoneria inglesi. Il primo scontro a fuoco, tra garibaldini e guarnigione borbonica, si risolse ufficialmente nella sconfitta di quest'ultima. Fatto sta che nella breve battaglia di Calatafimi, a fronte delle perdite dell'esercito napoletano, che ebbe una mezza dozzina di caduti, i garibaldini vengono letteralmente sbaragliati, subendo circa 100 tra morti e feriti. In realtà, nella mitizzata battaglia di Calatafimi, i soldati napoletani che cozzarono con l'avventuriero Garibaldi dovettero abbandonare il campo, poiché il comando di Palermo aveva loro negato l'invio di rifornimenti, soprattutto di munizioni, costringendo la guarnigione borbonica non solo a smorzare l'impeto con cui affrontarono i garibaldini, ma anche ad abbandonare il terreno, quindi, lasciando libero Garibaldi nel proseguire l'avanzata su Palermo.

A Palermo, dopo la scaramuccia presso 'Ponte Ammiraglio', nell'allora periferia della capitale siciliana, il comandante della guarnigione borbonica decise di consegnare la città. Contribuì alla decisione, probabilmente, la consegna da parte inglese di un forziere carico di piastre d'oro turche. La moneta franca del Mediterraneo. L'avanzata dei garibaldini, rincalzati dal corpo d'invasione che li seguiva, incontrò un ostacolo quasi insormontabile presso Milazzo. Qui la guarnigione napoletana impose un pesante pedaggio ai volontari di Garibaldi. Infatti la battaglia di Milazzo ebbe un risultato, per Garibaldi, peggiore di quella di Calatafimi. A fronte dei 150 morti tra i napoletani, le 'camicie rosse' subirono ben 800 caduti in azione. La guarnigione napoletana si ritirò, in buon ordine e con l'onore delle armi da parte garibaldina! Ma solo quando, all'orizzonte sul mare, si profilò una squadra navale anglo- statunitense, con a bordo una parte del vero e proprio corpo d'invasione mercenario. Corpo che fu fatto sbarcare alle spalle della guarnigione nemica di Milazzo.

Va sottolineato che i vertici della marina borbonica, come quelli dell'esercito napoletano, erano stati corrotti con abbondanti quantità di oro turco e di prebende promesse nel futuro regno unito sabaudo. Così si spiega il comportamento della marina napoletana, che alla vigilia dello sbarco di Garibaldi, sequestrò una nave statunitense carica di non meglio identificati 'soldati' (i notori mercenari), ma che subito dopo la rilasciò. Così come, nello stretto di Messina, la squadra napoletana evitò di ostacolare, ai garibaldini, il passaggio del braccio di mare, permettendo a Garibaldi e a Bixio di sbarcare sulla penisola italiana. Da lì fu una corsa fino all'entrata 'trionfale' a Napoli, dove Garibaldi fece subito assaggiare il nuovo ordine savoiardo: fece sparare sugli operai di Pietrarsa, poiché si opposero allo smantellamento delle officine metalmeccaniche e siderurgiche fatte costruire dall''arretrata' amministrazione borbonica.

Certo, il regno delle Due Sicilie era fu reame particolarmente limitato, almeno sul piano della politica civica, ma nulla di eccezionale riguardo al resto dei regni italiani. Di certo fu che la monarchia borbonica, dopo il disastro della repressione antiborghese della rivoluzione partenopea del 1799, avviò una politica che permise il prosperare, nell'ambito della proprio apparato amministrativo e di governo, degli elementi ottusi, malfidati e corrotti. Condizione necessaria per poter perdere, in modo catastrofico, la più piccola delle guerre.

In seguito ci fu la battaglia del Volturno, già perduta dai borbonici, poiché presi tra due fuochi: i mercenari di Garibaldi a sud e l'esercito piemontese a nord. E quindi l'assedio di Gaeta e Ancona, e poi la guerra civile nota come 'Guerra al Brigantaggio' . Una guerra che costò, forse, 100000 vittime. Prezzo da mettere in relazione con i 4000 morti, in totale, delle tre Guerre d'Indipendenza italiane. Solo tale cifra descrive la natura reale del processo di unificazione italiana.

La Sicilia, in seguito, venne annessa con un plebiscito farsa (3); poi nel 1866 scoppiò, a Palermo, la cosiddetta 'Rivolta del Sette e mezzo', che fu domata tramite il bombardamento dal mare della capitale siciliana. Bombardamento effettuato dalla Regia Marina che così, uccidendo qualche migliaio di palermitani in rivolta o innocenti, si 'riscattò' dalla sconfitta di Lissa, subìta qualche settimana prima e da cui stava ritornando. Subito dopo esplose, a Messina, una catastrofica epidemia di colera, la cui dinamica stranamente assomigliava alla guerra batteriologica condotta dagli yankees contro gli indiani nativi d'America. Migliaia e migliaia di morti in Sicilia.

Tralasciamo di spiegare il saccheggio delle banche siciliane, che assieme a quelle di Napoli, rimpinguarono le tasche di Bomprini e di altri speculatori tosco-padani, ammanicati con le camarille di Rattazzi e Sella; la distruzione delle marineria siciliana; lo stato di abbandono della Sicilia per almeno i successivi 40 anni (4); la feroce repressione dei Fasci dei Lavoratori siciliani; l'emigrazione epocale che ne scaturì. Infine un novecento siciliano tutto da riscrivere, dall'ammutinamento dei battaglioni siciliani a Caporetto alle vicende del bandito Giuliano, uomo del battaglione Vega della X.ma Mas, che fu al servizio degli USA e del sionismo; per arrivare alla vicenda del cosiddetto 'Milazzismo' e a una certa professionalizzazione dell''antimafia' (che va a braccetto con quella di certo 'antifascismo') dei giorni nostri.
Garibaldi, una volta sistematosi a Caprera, aveva capito che la Sicilia e il Mezzogiorno d'Italia, non gli avrebbero perdonato ciò che gli aveva fatto.

Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03 .da.ru/
http://sitoaurora. altervista. org/
Catania 8/7/2007

Note:

1) Giova ricordare che l'impero inglese, alla metà del XIX.mo secolo, fu impegnato in una serie di guerre contro determinati stati (Regno delle Due Sicilie, Paraguay e gli stessi USA), che avevano deciso di seguire uno sviluppo autocentrato, sviluppando l'industria locale e rafforzando la propria agricoltura e il proprio commercio tramite l'applicazione dei dazi. Ciò avrebbe permesso lo sviluppo economico, pur restando al di fuori dell'influenza bancario-finanziaria e, quindi, politica di Londra. L'impero britannico reagì, a tali comportamenti, creando operazioni tipo 'Falsa Bandiera'. In Italia meridionale con Garibaldi e la sua 'spedizione' . Negli USA reclutando gli 'abolizionisti' estremisti di John Walker, i quali, nel 1858, prima di iniziare una loro propria 'spedizione' su Harper's Ferry, dove vi era il maggiore arsenale statunitense, vennero addestrati da un misterioso ufficiale inglese che si faceva chiamare Forbes. Egli, poco prima della fallimentare 'spedizione', scomparve nel nulla. Il Paraguay, durante gli anni della guerra civile statunitense, venne a sua volta aggredito da una coalizione di stati latinoamericani chiaramente legati agli interessi britannici: Uruguay, Argentina e un Brasile addomesticato. Questa guerra si risolse con la distruzione, fisica, del Paraguay e della sua popolazione maschile. Alla fine si ebbe un rapporto di otto donne per ogni uomo.

2) C'è chi va blaterando di un Garibaldi bramato da Abramo Lincoln, presidente degli USA, durante la Guerra Civile statunitense. Secondo la leggenda, Washington cercava un abile condottiero, un Garibaldi appunto, che dirigesse l'Armata del Potomac che si trovava in serie difficoltà nell'affrontare la ben più smilza 'Armata della Virginia' guidata dal grande Generale Robert E. Lee. Della presunta richiesta non ci sono in giro che voci e illazioni, nulla di più. Eppoi, perché mai Lincoln doveva affidare il suo esercito ad un avventuriero che non ha mai diretto che qualche centinaio di sbandati? I bravi generali nordisti non scarseggiavano: Halleck, Sherman, Grant, Sheridan, ecc. Insomma, il solito provincialismo incolto e fanfarone italico con cui s'insegna la storia nelle nostre università!

3) Si trattò della massima dimostrazione di malafede e inganno nei confronti dei contemporanei e dei posteri. Il plebiscito di svolse nelle seguente modalità: due schede, una con un NO e l'altra con un SI stampati sopra; chi votava NO doveva mettere la relativa scheda in una determinata urna, chi votava per il SI, doveva mettere, a sua volta, la relativa scheda su un'altra urna. Potete capire come venisse 'tutelata', in quel modo, il diritto alla libera espressione del voto. E con tanto di soldati piemontesi presenti nei seggi elettorali! 667 furono i siciliani che votarono NO al plebiscito. Non c'è bisogno di dire che, subito dopo la 'consultazione' , tutti costoro dovettero abbandonare la loro terra.

4) Il primo traghetto sullo stretto di Messina venne inaugurato nel 1899!

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Una molecola a difesa della corteccia

Post n°47 pubblicato il 17 Settembre 2007 da sunking77
 

Si chiama n-cofilina e la sua assenza causa disturbi come l'epilessia, la schizofrenia o la lissencefalia. A scoprire le sue proprietà un team italiano

Una molecola che potrebbe prevenire (o curare) problemi del sistema nervoso come l'epilessia, la schizofrenia o la lissencefalia (una malformazione caratterizzata da superficie cerebrale liscia che porta a ritardi mentali). La scoperta arriva dalla sede italiana dell'
European Molecular Biology Laboratory (Embl). Dove un gruppo di ricercatori coordinati da Walter Witke ha compreso come l'assenza della n-cofilina, molecola coinvolta nella formazione della corteccia cerebrale, possa portare all'insorgenza di disturbi del sistema nervoso.

Per dimostrarlo gli studiosi hanno ingegnerizzato dei topi, privandoli della n-cofilina. In questo modo hanno potuto osservare come gli animali sviluppassero gli stessi difetti anatomici (cervello liscio) e i sintomi dei soggetti affetti da lissencefalia.

La molecola in questione svolge un ruolo determinante nella formazione della corteccia cerebrale. Gli strati di quest'ultima si generano durante lo sviluppo embrionale grazie al lavoro di cellule neuronali che “migrano” prima di trovare il posto giusto. La corretta organizzazione spaziale delle cellule è fondamentale per le funzioni della corteccia la cui architettura, se disturbata, può portare a ritardi mentali. L'assenza della n-cofilina comporta lo stop delle attività di rigenerazione della cellule che compongono la corteccia. Inoltre la molecola ha un ruolo importante anche nella definizione della forma e della stabilità dei neuroni.

Aver individuato le funzioni della n-cofilina, quindi, potrebbe portare, sostengono i ricercatori, allo sviluppo di terapie in grado di interagire con una corteccia cerebrale danneggiata nel tentativo di rimettere (almeno in parte) le cellule al posto giusto. (f.f.)

HOMEPAGE SCIENZA
HOMEPAGE BLOG

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Industria: nuova frenata della produzione a luglio

Post n°46 pubblicato il 17 Settembre 2007 da sunking77
 

Nel consuntivo provvisorio dei primi sette mesi del 2007, i dati ufficiali Istat sulla produzione industriale - resi noti con un certo ritardo rispetto ai periodi di riferimento - le indagini congiunturali mensili dell’Isae e del Centro Studi Confindustria, così come gli indicatori di Ref basati sui consumi elettrici, che arrivano quasi in tempo reale, hanno incominciato a mettere in evidenza un indebolimento abbastanza generalizzato dell'attività produttiva che, in contrasto con le prevalenti attese, potrebbe indicare un ripiegamento del positivo ciclo congiunturale nella seconda parte dell'anno. Il quadro in prospettiva non appare dunque roseo e non rappresenta un buon segnale per l'andamento del Pil nei prossimi trimestri, se si considera lo scenario di rallentamento dell'economia mondiale indicato dai maggiori centri di previsione, nel contesto di forti turbolenze dei mercati finanziari internazionali. A questo si aggiungono la crescente debolezza del dollaro e gli elevati prezzi del petrolio.

La dinamica dell'attività manifatturiera non è prevista, tuttavia, perdere ulteriori colpi nei prossimi mesi, grazie alla tenuta ripresa in Europa (Germania in testa), che compensa il rallentamento dell'economia americana e l'effetto restrittivo dei rialzi dei tassi d'interesse da parte della Bce, unito all'apprezzamento dell'euro. L'indice destagionalizzato si è riportato negli ultimi mesi intorno a quota 98-99 (base 2000=100), dopo aver toccato il punto più basso del recente ciclo congiunturale (a quota 95) nel primo trimestre 2005; per trovare un valore inferiore occorre risalire al 1998. I segni di risveglio manifestati durante la primavera-estate 2005 hanno, dunque, rappresentato un primo cenno di avvio del superamento della deludente performance dei precedenti quattro anni, quando il calo cumulato, in termini di quantità prodotte, rispetto al periodo base (la media 2000) è risultato pari a quattro punti percentuali.

Nell’ambito dei principali settori industriali, le variazioni positive, secondo i dati calcolati sulla media dei primi sette mesi del 2007, hanno riguardato le macchine e apparecchi meccanici, la metallurgia e prodotti in metallo, i mezzi di trasporto, il tessile-abbigliamento, i mobili, la gomma e materie plastiche, le raffinerie di petrolio. In calo il settore energetico, la chimica, l'elettrotecnica ed elettronica, la carta. stampa ed editoria, i prodotti in legno, le pelli, cuoio e calzature, la lavorazione dei minerali non metalliferi e gli alimentari.

Dal lato della domanda, le principali indicazioni vengono dall'andamento degli ordinativi affluiti alle imprese, tradizionalmente caratterizzati da ampie fluttuazioni cicliche sia nei valori grezzi che destagionalizzati. Essi sono, in particolare, un buon barometro che anticipa la dinamica della produzione industriale nel breve-medio periodo. La loro evoluzione è stata, peraltro, piuttosto altalenante nel corso degli ultimi anni; segnali di recupero si sono registrati a partire dai mesi centrali del 2005, prendendo un po' di vigore nel corso del trimestre estivo, mentre la svolta ciclica favorevole si è consolidata nella prima metà del 2006.

HOMEPAGE ECONOMIA
HOMEPAGE BLOG

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Notte bianca tra musica e vicoli 500mila per le strade di Genova

Post n°45 pubblicato il 17 Settembre 2007 da sunking77
 
Tag: Cronaca

GENOVA - Finisce con la colazione in piazza De Ferrari, cuore della città - e 140 chili di focaccia volano via in quarto d'ora alle sei del mattino - la prima Notte Bianca di Genova che ha richiamato, secondo le stime sia degli organizzatori che delle forze dell'ordine, mezzo milione di persone di cui 150 mila non genovesi.

"Il mare, in una notte" il titolo dell'evento ideato da Carlo Freccero, superconsulente per la cultura della neosindaco Marta Vincenzi, come "momento zero" di un programma di eventi culturali e di richiamo che vogliono rilanciare la città nel panorama europeo, dopo il 2004 da capitale della cultura.

Almeno 150 mila persone per lo show di Tiziano Ferro al Porto Antico, dove si è esibito su un palcoscenico allestito su una chiatta, così come la Pfm; piazza De Ferrari gremita sia per l'anteprima del nuovo spettacolo di Maurizio Crozza che per il recital con cui Gino Paoli ha ripercorso quarant'anni di canzoni, mentre Mauro Pagani ha reso omaggio a De Andrè, Milva e numerosi gruppi jazz hanno affascinato per ore un pubblico attento.

Ma è stata soprattutto una notte di scoperta del centro storico e dei suoi tesori artistici, cancellando timori legati a sicurezza o degrado, con vicoli letteralmente intasati di persone, giovani in prevalenza ma anche numerose famiglie al completo, e l'80% dei negozi aperti anche alle due-tre di notte, superando le tradizionali diffidenze dei commercianti genovesi. Ventimila gli ingressi nei principali musei cittadini, tra cui il il sistema dei palazzi seicenteschi dei Rolli, per i quali lo scorso anno il capoluogo ligure è stato inserito tra i patrimoni dell'Umanità Unesco.
La Notte Bianca si è conclusa nella tarda mattinata di oggi con un affollatissimo concerto aperto alla città al Teatro Carlo Felice, dove ieri sera era ufficialmente iniziata la serata con il suono, dedicato a Pavarotti, del "Cannone" , lo storico violino di Paganini.

HOME CRONACA                                                                                          HOME BLOG

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Rai: Veltroni, abolire il Cda

Post n°44 pubblicato il 17 Settembre 2007 da sunking77
 

SANT'ARCANGELO DI ROMAGNA - Abolire per legge il consiglio di amministrazione (Cda) della Rai e sostituirlo con amministratori e manager selezionati da una società di «cacciatori di teste» per posti dirigenziali. È l'idea provocatoria lanciata dal sindaco di Roma e candidato alla segreteria del Partito democraticoWalter Veltroni a un convegno della Margherita. «Il Cda della Rai è un duplicato della commissione di vigilanza», ha detto Veltroni. «Amministratori e manager siano selezionati da società di head hunting, perché Dio ci scampi dall'idea di avere aree del Paese che o vengono dominate da chi ha vinto le elezioni o vanno in paralisi».

ABOLIZIONE - «Spero che il Parlamento esamini e accolga presto il lavoro del ministro Gentiloni, un lavoro molto importante», ha proseguito il sindaco di Roma. «Trovo giusto collocare la Rai in una fondazione ma, a questo punto, mi chiedo se non possiamo fare un ulteriore passo avanti: abolire il Cda, visto che è un duplicato della commissione di vigilanza, in cui esistono le stesse componenti politiche».
REAZIONI - La proposta di Veltroni ha ovviamente provocato reazioni contrastante. Il segretario dello Sdi, Enrico Boselli, si dice sorpreso «che Veltroni faccia questa proposta all'indomani della sostituzione di Petroni con Fabiani e senza nulla dire del grave errore commesso. Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, e in questo caso non si può far finta di nulla se si vuole essere credibili». «L'amministratore unico proposto da Veltroni per la Rai - ha dichiarato invece il presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi - è un modo neanche tanto velato per prenotare un posto in prima fila nell'amministrazione di viale Mazzini. Il sindaco di Roma rende così evidente la sua volontà e quella della sua parte politica di ricondurre la Rai sotto la sfera d'influenza del Governo, esattamente come era prima della riforma del '75. In questo più che un post comunista è un vetero democristiano». Per il ministro dello sviluppo economico, Pierluigi Bersani, «mi sembra che Veltroni conosca bene la Rai. La sua è una buona proposta». Anche per Massimo Donadi, capogruppo alla Camera dell’Italia dei Valori, «la proposta di Veltroni è sicuramente da approfondire, ma va nella direzione giusta, cercando di mettere alla porta i partiti che per anni hanno progressivamente abbassato la qualità della programmazione e gli ascolti, mortificando le professionalità».

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
« Precedenti Successivi »
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963