Creato da tikaele il 16/02/2012

OUR blue WORLD

Natura, scienza e curiosità

 

Le isole di plastica nel mondo

Post n°111 pubblicato il 21 Maggio 2019 da tikaele
 

Queste isole sono immense, nocive per l'ecosistema marino e stanno conquistando gli oceani seguendo le correnti naturali Ogni anno, 8 milioni di tonnellate di rifiuti invadono le acque dei mari di tutto il mondo e con le correnti creano delle concentrazioni di spazzatura in zone specifiche. Non si tratta di nuove terre emerse, o di superfici calpestabili, ma di vere e proprie "zuppe" di rifiuti e detriti che si accumulano e rimangono intrappolati in vortici acquatici, anche per diversi anni. Purtroppo ci sono frammenti microscopici di plastica, che si disperdono ovunque: dalla superficie sino al fondo del mare. Questi frammenti piccolissimi e leggerissimi vanno così a mescolarsi e confondersi con il plancton: le particelle elementari da cui si rigenera la vita negli oceani; la base, quindi, di tutta la catena alimentare. Non solo: ogni anno diverse migliaia di animali marini (mammiferi, uccelli e tartarughe), vengono uccisi da oggetti di plastica di cui si nutrono per sbaglio o in cui rimangono intrappolati. La microplastica si trova anche nei cibi che mangiamo.

1. L'isola più grande è la Great Pacific Garbage Patch, chiamata anche "Pacific Trash Vortex". Le sue dimensioni sono immense: si stima che potrebbe occupare dai 700 mila km2 fino ai 10 milioni di km2. In pratica quanto la Penisola Iberica, o gli Stati Uniti d'America. La concentrazione massima raggiunge un milione di rifiuti per km2, per un totale di immondizia che oscilla tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi. La sua esistenza è nota già dagli anni '80, ma la sua scoperta risale al 1997, quando il velista Charles Moore si trovò circondato da milioni di pezzi di plastica, durante una gara in barca dalle Hawaii alla California. Si trova nell'oceano Pacifico, tra la California e l'Arcipelago Hawaiano, e si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep), l'isola di rifiuti del Pacifico, starebbe crescendo molto in fretta, alimentata da circa una tonnellata di rifiuti al giorno, tanto che presto potrebbe essere visibile anche dallo spazio.

2. South Pacific Garbage Patch: Scoperta recentemente al largo del Cile e del Perù, è grande 8 volte l'Italia. Ha una superficie che si aggira intorno ai 2,6 milioni di km2 e contiene prevalentemente microframmenti di materie plastiche.

3. North Atlantic Garbage Patch: Scoperta nel 1972, è la seconda isola più grande per estensione, (stimata sui 4 milioni di km2). È però famosa per l'alta densità di rifiuti: ben 200 mila detriti per km2. Viene mossa dalla corrente oceanica nord atlantica.

4. South Atlantic Garbage Patch: Si trova tra l'America del Sud e l'Africa meridionale. Si estende per oltre 1 milione di km2 e viene mossa dalla corrente oceanica sud atlantica.

5. Indian Ocean Garbage Patch: Anche se la sua esistenza era stata ipotizzata fin dal 1988, è stata scoperta nel 2010. Quest'isola si estende per più di 2 km, con una densità di 10 mila detriti per km

6. Artic Garbag e Patch: Scoperta nel 2013, si trova nel mare di Barents in prossimità del circolo polare artico. È l'isola di plastica più piccola e più recente. I detriti che la compongono provengono dall'Europa e dalle coste del Nord America

Cosa si può fare?

Un modo più efficiente per affrontare il problema è quello di impedire che ulteriori quantità di plastica finiscano in mare. Gli oggetti di plastica monouso costituiscono il gruppo più numeroso di rifiuti trovati lungo le coste marine: prodotti come posate di plastica, bottiglie, mozziconi di sigaretta o cotton fioc costituiscono, tutti insieme, più della metà dei rifiuti marini totali.

Cambiare con urgenza le nostre abitudini di consumo. Se continua così in pochi decenni avremo più plastica che pesci.

Alcune iniziative stanno organizzando operazioni di pulizia di grandi dimensioni. La più famosa è quella di Boyan Slat, fondatore di Ocean Cleanup. La sua organizzazione ha progettato una barriera a forma di U gigante per raccogliere la spazzatura con l'aiuto delle correnti marine. I rifiuti raccolti vengono poi venduti alle organizzazioni che riutilizzeranno i rifiuti. Il sistema verrà lanciato nel 2018 e, secondo Slat e il suo team, rimuoverà il 50% del Great Pacific Garbage Patch entro cinque anni.

È evidente tuttavia che l'azione preventiva è quella comunque da intraprendere. Ridurre drasticamente il consumo di materie plastiche monouso potrebbe ridurre l'inquinamento plastico del 50%.

Tuttavia, portare un cambiamento nel comportamento umano individuale su una scala così vasta rimane un compito difficile.


 

 

 
 
 

Il Ritorno

Post n°110 pubblicato il 19 Maggio 2019 da tikaele

Dopo anni di silenzio...

Sono tornata nel mio blog per scrivere altri post sull'ambiente,sulla scienza,curiosità e tanto altro.

To be continued...

Ciaoooo

 
 
 

Super vulcano di Yellowstone

Post n°109 pubblicato il 08 Maggio 2015 da tikaele
 

C'è una nuova camera magmatica sotto la caldera del super vulcano di Yellowstone. La scoperta è stata fatta da un gruppo di geologi e geofisici dell'Università dello Utah a Salt Lake City e del California Institute of Technology a Pasadena: il vulcano dell'altopiano è a tutti gli effetti un super vulcano. Se dovesse esplodere potrebbe mutare profondamente il clima dell'intero pianeta per via della enorme quantità di polveri e ceneri che immetterebbe nell'atmosfera. A questa conclusione i vulcanologi erano già giunti da tempo, perché si sapeva che la camera magmatica del vulcano è molto ricca di gas e magma e il vulcano, quindi, è del tipo esplosivo. Yellowstone sta sopra un punto caldo della Terra, ossia un luogo dove dal mantello terrestre sale una grande quantità di magma. Secondo alcuni vulcanologi l'origine del flusso sarebbe a circa 750 km di profondità, secondo altri a 2850 km (quindi dal confine tra mantello e nucleo). A questo stadio della nostra tecnologia le due ipotesi non sono verificabili, ma in ogni caso descrivono uno stesso meccanismo: il magma non arriva subito in superficie, ma si intrude nelle rocce formando delle sacche collegate tra loro da una rete di condotti.

Ricerche sul campo hanno già permesso di identificare grandi quantità di materiale che eruzioni passate (di centinaia di migliaia di anni fa) sparsero tutt'attorno, giungendo a migliaia di chilometri di distanza. Adesso uno studio condotto dai ricercatori dell'Università dello Utah ha messo in luce un altro tassello della fisiologia di questo "super mostro". A una profondità dalla superficie compresa tra 19 e 45 km c'è una camera magmatica finora ignota, con un volume di magma 4,4 volte superiore a quella della camera già nota, sopra di essa. Secondo le proiezioni dei ricercatori, il volume complessivo del materiale fuso nelle due sacche potrebbe riempire il Gran Canyon degli Stati Uniti per quasi 14 volte. Quando si parla di camera magmatica non significa che al suo interno vi è tutto e solo magma in ebollizione, ma che esso è compreso negli interstizi delle rocce in una percentuale che, per la camera magmatica di Yellowstone, si aggira attorno al 9%. Quando nella camera magmatica più superficiale arrivano quantità di gas e magma tali da vincere la forza del "tappo" che chiude la caldera, avviene l'eruzione. Nello specifico di Yellowstone si conoscono tre di questi eventi, tutti catastrofici, accaduti 640.000 anni fa, 1,2, milioni di anni or sono e 2 milioni di anni fa. Tutte e tre coprirono di cenere gran parte del Nord America.

I ricercatori hanno comunque sottolineato che la scoperta di questo nuovo serbatoio di magma non fa necessariamente aumentare la probabilità di una nuova, imminente eruzione esplosiva, ma solo che adesso si hanno le idee più chiare di quel che sta sotto il super vulcano.

 
 
 

Un secolo di relatività

Post n°108 pubblicato il 12 Aprile 2015 da tikaele
 

La teoria della relatività ha compiuto 100 anni: un secolo fa l'immagine dell'universo veniva rivoluzionata da Albert Einstein con una delle teorie scientifiche più eleganti mai concepite, aprendo le porte su universo 'nuovo' e misterioso. Nel 1905 Albert formula la teoria della relatività ristretta, che risolve le contraddizioni tra relatività galileiana ed elettromagnetismo. Dieci anni dopo (nel 1915) l'equazione di campo - cuore della teoria della relatività generale - risolve il conflitto tra la relatività ristretta e la teoria della gravitazione di Newton. Nasce una nuova fisica e un nuovo modo di guardare l'universo.

L'energia è equivalente alla materia, E = mc2 questa formula afferma che l'impalpabile energia si può trasformare in concreta materia, e viceversa... un evento quasi magico ma comprensibile a tutti. Il resto della teoria della relatività, invece, è più difficile: per comprenderla bisogna capovolgere ciò che ci dicono i sensi, l'esperienza e perfino i vecchi libri di fisica.

Quando si parla di relatività, in genere, si mettono insieme due diversi scritti di Einstein, uno del 1905 (la relatività ristretta) e uno del 1915 (la relatività generale). Come si possono distinguere?

La relatività generale è una complessa costruzione matematica che richiese dieci anni di studi. Si occupa della forza di gravità, quella ristretta no. Perciò, tutti i fenomeni che coinvolgono l'attrazione gravitazionale, come per esempio i buchi neri, riguardano la relatività generale.

Einstein intendeva costruire un modello matematico delle leggi che governano l'universo: la relatività ristretta, infatti, funziona bene solo nelle zone di spazio-tempo in cui la gravità è irrilevante, cioè dove c'è poca materia. I risultati che Einstein ottenne costituiscono un complesso di equazioni che, proprio come un programma per computer, dà risultati diversi a seconda dei dati che vengono inseriti.

Ecco perché la relatività generale non ha mai smesso di fornire nuove informazioni: le sue equazioni possono analizzare qualsiasi situazione cosmica venga concepita, o individuata. Per esempio, le equazioni possono dire se e in quali condizioni è possibile che nel cosmo si formi un buco nero, e che cosa accadrebbe nei suoi dintorni.

Il concetto-chiave della teoria, comunque, si può facilmente esprimere in parole: la gravitazione altera lo spazio-tempo. In altre parole, una concentrazione di materia piega lo spazio (e il tempo), come una boccia da bowling piegherebbe un tappeto elastico. Le conseguenze? Quando lo spazio è deformato dalla presenza di una stella, i raggi di luce seguono la deformazione e descrivono una curva. Il tempo, dal canto suo, scorre più lentamente in vicinanza di grandi masse.

-Perché dovremmo crederci? Anche se Einstein è partito dai fatti, la sua costruzione matematica è arrivata a conclusioni azzardate.

-Non potrebbe aver fatto un errore? Sì, ma finora nessuno l'ha trovato. Anzi, gli esperimenti hanno sempre confermato la teoria. A cominciare da quello realizzato dall'astronomo britannico Arthur Eddington, che nel 1919 organizzò una spedizione all'isola del Principe, al largo della costa africana, per verificare (durante un'eclisse) se davvero la massa del Sole incurvava i raggi provenienti dalle stelle.

La relatività ristretta

Esempio: Quando osserviamo una lunga strada diritta, abbiamo l'impressione che essa si restringa in lontananza, ma non ci sogniamo affatto di confondere questa sensazione con la realtà. La relatività fa la stessa operazione: scarta tutto ciò che dipende dal punto di vista, e conserva ciò che resta costante in qualunque condizione.

Il tempo rallenta, la massa cresce, gli oggetti si accorciano. Scoprire che cosa non varia, però, non è semplice. Il tempo? Il senso comune ci dice che se una campana rintocca a New York e dopo un attimo un'altra campana rintocca a Roma, l'ordine dei due eventi è indiscutibile. La teoria della relatività afferma invece che la velocità dell'osservatore influenza anche la percezione del prima e del dopo, e dunque che lo scorrere del tempo non è universale.

-Come ha fatto Einstein ad arrivare a una simile conclusione? Lo scienziato è partito dal fatto, ben noto anche ai suoi tempi, che la luce si propaga con velocità molto elevata ma non infinita, esattamente 299.792 chilometri al secondo. Le velocità che noi misuriamo, però, dipendono dalla nostra stessa velocità: l'automobile che ci sorpassa, per esempio, a volte sembra lenta in modo esasperante. Se questo valesse anche per la luce, i raggi emessi da una stella dovrebbero sembrarci più veloci o più lenti a seconda che la Terra si avvicini o si allontani dalla stella. Invece ciò non accade, la velocità della luce non varia, e questa stranezza fu dimostrata per la prima volta da due fisici americani, Michaelson e Morley, nel 1891.

Einstein ne trasse le conseguenze: se una velocità rimane costante anche quando, secondo logica, dovrebbe variare, allora c'è una sola spiegazione: è il tachimetro a non funzionare come al solito. E non per colpa sua, spiega Einstein, ma perché cambiano gli oggetti che il povero tachimetro deve misurare: spazio e tempo non sono più gli stessi. E lo strumento registra fedelmente il risultato: una velocità che non cambia mai.

-Ma, in che modo spazio e tempo cambiano? Ecco un esempio: se un astronauta sulla Luna guardasse nella cabina di un razzo di passaggio, vedrebbe i suoi colleghi a bordo del razzo muoversi al rallentatore, e gli oggetti sull'astronave "accorciarsi" lungo la direzione del moto. Ma, anche gli astronauti in transito vedrebbero il collega sulla Luna muoversi al rallentatore. Come mai? Se da un lato il tempo rallenta, dall'altro non dovrebbe accelerare? Niente affatto. Si pensi a due uomini lontani cento metri: il primo vede l'altro rimpicciolito dalla distanza, ma, non per questo il secondo vede il primo ingrandito. La teoria della relatività introduce quindi il concetto di una prospettiva temporale causata dalla velocità.

Tutte le stranezze della relatività discendono da quest'unico concetto, anche l'equazione E = mc2. Secondo le vecchie teorie, infatti, continuando a spingere un corpo la sua velocità dovrebbe aumentare all'infinito, e questo è impossibile: nulla può andare più veloce della luce. Che cosa succede, allora? L'energia fornita non incrementa la velocità del corpo, ma la sua massa: il corpo diventa sempre più "pesante". In questo senso, la massa non è che una forma di energia. E il 6 agosto 1945, con il lancio della bomba atomica su Hiroshima, il mondo ebbe la dimostrazione più convincente di questo principio.

 
 
 

Mongolfiera HI-Tech

Post n°107 pubblicato il 03 Aprile 2015 da tikaele
 

U.S.A- Un'azienda americana sta per lanciare una forma low cost di turismo spaziale: si potrà arrivare nella stratosfera a bordo di una speciale mongolfiera di prima classe. Per un giorno provate l'ebbrezza di un viaggio ai confini dello spazio, potete prenotare un biglietto con World View, la prima compagnia "quasi spaziale" al mondo, che promette di portarvi in piena stratosfera e di riportarvi a terra dolcemente e senza traumi. Per questa lussuosa esperienza estrema preparatevi a sborsare circa 60.000 euro, il prezzo di un monolocale. Nel costo è compreso il trasporto in aereo dal luogo dell'atterraggio fino alla base dalla quale siete partiti: a seconda dei venti i due punti potrebbero essere distanti anche a 300 km l'uno dall'altro.

L'azienda sta infatti sperimentando una speciale capsula passeggeri che, legata a un pallone a elio, in circa due ore di ascesa può raggiungere la rispettabile quota di 32.000 metri, solo 4.600 in metri meno del record ottenuto nel 2012 da Felix Baumgartner. 
Dopo aver permesso agli occupanti di ammirare la Terra da un punto di vista privilegiato e aver scattato le fotografie di rito, il pallone inizierà pian piano a sgonfiarsi. La capsula inizierà a scendere e toccherà dolcemente il suolo appesa a un gigantesco paracadute. Il rientro dovrebbe durare in tutto 30 minuti. Il vascello, dal design futuristico e accattivante, è dotato di grandi oblò per ammirare il panorama e di tutti i comfort necessari a intrattenere i passeggeri e far loro dimenticare i 30 km di vuoto sotto i loro piedi: dal bar ben fornito alla connessione Internet per postare le foto dell'esperienza direttamente sui propri social network.
 

Le prime ascese commerciali sono previste per il 2016. Lo scorso 20 febbraio però l'azienda ha concluso con successo un test che ha portato la capsula a 30.000 metri di quota: è il primo rientro con paracadute conclusosi positivamente da un'altezza simile. Gli ingegneri dell'azienda americana erano infatti preoccupati da possibili problemi dovuti al freddo, alla bassa pressione e all'estrema rarefazione dell'aria.

 
 
 
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