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Bill Callahan - Apocalypse

Post n°148 pubblicato il 23 Settembre 2011 da syd_curtis
 



C'è un filo che unisce tutta la musica che amiamo e quando questo filo o una parte di esso viene allo scoperto, beh, si gode come porcelli. Ma i maiali godono, poi? Porca goduria è ciò che ho provato quando ho letto sul blog degli Yuck, autori del mio disco dell'anno 2011, questa perlina a proposito di Riding for the feeling: this is one of the best songs I ever heard, una delle più belle canzoni mai ascoltate. Hanno ragione. Bill Callahan ha partorito forse il suo album capolavoro (e spendiamola, 'sta parola, su), con Apocalypse. Non che mancassero prove eccellenti nella sua discografia, eh, ma questa è Top.

Si intuisce il capolavoro sin dal mandriano di Drover, chitarra acustica, batteria e un filo rovente di elettrica sullo sfondo. La ballata è il segno scelto, la forma, il mood di fondo, coronato dal sentimento, qualunque cosa ciò significhi. Ballata che si interrompe solo nel simil-funky di America, batteria metronomica e testo che fa i conti col mito americano, dagli amati Kristofferson e Cash, cui Callahan paga tributo, sino a quel passato ingombrante fatto di Afghanistan, Vietnam, Iran, Native American, che non ci si cura di menzionare (Well everyone's allowed a past they don't care to mention).

La più bella rece di Apocalypse reperibile in rete resta, a mio parere, quella di Pitchfork, a firma Mike Powell. Un cartografo di strade interrotte, così viene definito Callahan. Oggetto della sua indagine è la distanza tra le persone, e tra ogni persona e sé stessa. Indagine che approda allo sconcerto di "There's no truth in you, there's no truth in me," da un vecchio brano del 2003, "The truth is between". Acuta la conclusione di Powell circa questa ricerca di verità, But it's more interesting-- and more flattering to him, I think-- to acknowledge the way in which he tries to climb to truth from so many different angles, where he finds footing and where he loses it, and the things he sees along the way. Seguire le tracce che trova e perde, e le cose che vede lungo la strada: ne vale la pena. Traducete in termini di letterarietà questa splendida notazione. Pensate a quanto ci piace e ci appassiona seguire il percorso degli autori che amiamo, accompagnarli nel loro lavoro di cartografi della distanza che separa noi stessi dagli altri, e della difficoltà e del dolore e della cattiva comunicazione che ne segue. Non è quel che cerchiamo dai libri, dalla musica che vale?

Dai tempi di Smog, smussati gli spigoli più evidenti, i bordi taglienti del suono e delle chitarre, sono rimasti i testi elusivi, il gusto per la metafora paradossale, stralunata, ironica (l'elusività e ironia della sua prosa: ricordo ancora quel vecchio testo Smog in cui recitava, La maggior parte delle mie fantasie riguarda l’essere di qualche utilità, come una candela, un cavatappi) e una ricerca senza soluzione di continuità, un viaggio verso una meta vaga e mutevole, uno stare ai margini, interessarsi di dettagli: ricerca che non rimanda risposte, ma solo domande, spesso sussurrate. Un sorriso vago o uno sguardo silenzioso e prolungato, accompagnato da una estrema economia di mezzi espressivi, che sfiora la laconicità e lascia impressione di tristezza, mentre non è altro che quieta osservazione. Apocalypse è un testo che parla soprattutto di vuoti, di addii, di abbandoni. E' il viaggio del mandriano col bestiame, quel suo senso di vuoto che si trasmette alle bestie, alla valle, al paesaggio. Un cantore dell'abbandono che pare uscito da un romanzo di Cormack Mc Carthy. Quel mandriano che alla fine, in one fine morning, si perderà, sino a diventare egli stesso (non è anche questa una merabiliosa metafora?) parte della strada.

Apocalypse rimanda pure quel filo di monotonia che contraddistingue i songwriter ferocemente monomaniaci e bellissimi, come Cohen, Dylan, Cave, e pochi altri ancora. Di seguito, il testo tradotto di Riding for the feeling. Verrebbe da citare "since feeling is first" di EE Cummings, non fosse così facile e probabilmente fuorviante.


Riding for the feeling.

Non è mai facile dire addio
ai visi
così di rado ne vediamo altri
tanto vicini e tanto a lungo

Ho chiesto alla sala se avessi detto abbastanza
nessuno mi ha risposto
hanno detto soltanto "non andare, non andartene"
questo fatto di andarsene è interminabile

Ho continuato a sperare in un'altra domanda
o che qualcuno dicesse
"chi pensi di essere?"
in modo che potessi rispondere

con intensità, la goccia evapora per legge naturale
in conclusione, andarsene è facile
se hai un posto dove ti è necessario essere
sto abbandonando questo concerto per un'altra stagione

La tv con l'audio azzerato
sto riascoltando i nastri
sul letto dell'hotel
la mia apocalisse

Mi accorsi che avevo detto pochissimo di strade e viaggi
o sul fatto di seguire il sentimento
lasciarsi guidare dal sentimento
è il modo più veloce per raggiungere la riva

per mare o sulla terraferma
lasciarsi condurre dal sentimento

Che ne dite se fossi rimasto là, alla fine
e avessi parlato ancora e ancora
e risposto a ogni domanda
lasciandomi guidare dal sentimento

Sarebbe stato un addio adatto?

 

 
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Gesu il 28/07/22 alle 01:22 via WEB
Capolavoro
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