"E allora uno si domanda magari fino delle domande che hanno nessun senso, come per esempio che cosa ci stiamo nel mondo a fare, e se uno ci pensa su non si può mica rispondere che stiamo al mondo per montare tralicci, dico bene?"
Ti ricordi vecchio la prima volta che ci siamo incontrati. E' così retorica quest'apertura. Ora mi tocca raccontare come se non tu non sapessi. Ma non ho altre forme in testa, al momento. In quel parco di lambrate, le panchine, il piccione che ha cagato sui capelli della donna che stava con te. Facevo cose ai vecchi. Mi hai detto che non ne avevi bisogno. Hai indicato la donna. Mi hai chiesto un fazzoletto. La donna ha abbassato la testa, mostrato la chiazza grigio verde.
Avevo i denti sporchi di pizza e di chiara d'uomo. Il parco era bagnato, era appena spiovuto. C'era un cielo come oggi. Che musica ascolti, hai detto. Avevo in cuffia, nel player che mamma aveva vinto coi punti dell'esselunga, i rancid, una cover di marley no donna non piangere. Che cazzo ti frega, ò risposto. Ti pare la domanda da fare, ò risposto. Passavano lentissimi i tram, come lame di rasoi bic usa e getta. Avevo le calze bagnate. Foglie marce e ridotte in poltiglia, sotto le scarpe.
Poi è stato come nei film di Richard Gere. Mi hai portato a casa. Puzzavo di merda. Non ho fatto la doccia. Ho mangiato un panino con fontina e spalla. Quante spalle dovrebbe avere un uomo secondo voi. La tua donna faceva domande così. Non l'ho mai capita, meno male che se n'è andata, poi. Per sempre. Ho dormito sul tuo divano. Non mi sono tolto le scarpe. La musica era buona, non c'era neanche un disco di Santana nella tua collezione. Poco vecchio rock. Ci siamo fatti una birra. Chiara. Tiepida. Ai detto quella spiritosaggine su hot beer and cold women. Fanculo sta' zitto. Ero il tuo tamagochi, vecchio.
Ho ascoltato per tre volte a fila il secondo album di Costello. Mi è sempre piaciuto, così nervoso. Quando dice che non vuole andare a Chelsea. Vuoi che faccia qualcosa per te vecchio, ti ho chiesto. Hai indicato ancora una foto della donna. Ho alzato le mani. Avevo un po' di fontina tra i denti. Era il giorno del tuo quarantesimo compleanno. Sei anni fa, vecchio. Tre prima che (io) incontrassi Serena. Lei sì che mi ha salvato, o come si dice. Senza di lei sarei ancora a lambrate, invischiato nelle chiare dei vecchi come te. O forse no, chi lo sa. Starei montando tralicci.
Avevo diciannove anni, quel giorno. E' tutto falso quello che ho scritto. A parte le cose che facevo ai vecchi. A parte Serena. Le sue mani. La maniera in cui la luce le scivola via dalla faccia. E' una cosa di cui non ti voglio parlare. Come se potesse evaporare. Ricordo che l'unica cosa su cui abbiamo convenuto quel giorno era che senza Ian Curtis e Stephen Merrit non avrebbe mai smesso di piovere e i piccioni ci avrebbero cagato per sempre sulla testa. In quel momento avrei fatto qualcosa per te, solo per piacere, per gusto. Poi quando le cose sono andate avanti ho capito che sei un bruto cazone come tuti. Né melio né pegio. E che l'unica cosa che ci salva è ancora Ian Curtis. E' ancora Stephen Merritt, sono i libri scacioni di Carver, qualche poesia di Buk, tipo Nirvana, ricordi, e un paio di racconti della vecchia Flannery fica-di-legno (cristo, avere avuto una catechista così, una che cerca di appiopparti gesùddio e nel frattempo ti fa merabiliosi pompini letterari che ne vorresti uno a sera).
Stasera sono libero, vecchio. Ci vediamo al concerto degli yuck al rocket. Posso piangere se vuoi. Ricordare gli anni novanta che non ho vissuto. E se vuoi per festeggiare faccio qualcosa per te. Ti porto a spalla, ti reggo il bastone mentre pisci, che credevi, vecchio. Auguri, vecchiaccio. Anche da parte di sere. E perdona la mediocrità dell'immaginario, ma qui sopra del resto nessuno ci fa poi così caso.
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il 28/07/2022 alle 01:24
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