Oltre il cancello

Jazz Portrait


Non amo tutto il jazz, ogni singolo compositore, dai primi agli ultimi. Ci sono artisti che non riesco a sentire, li trovo indigesti, non-comprensibili. Certamente anche il mio orecchio va costantemente affinandosi, e – ogni tanto – ripesco pezzi di qualche jazzman a me ostico proprio per cambiare punto di vista, cercare di adeguarmi al suo stile, leggere il suo percorso musicale. E questo fatto è molto più marcato qui, che negli altri tipi di musica, perché l’artista jazz riflette, in modo più ampio di ogni altro musicista, la realtà in cui è immerso nell’ora in cui volge la sua produzione: che non è ancora storia, ma è cronaca, costume, mescolanza di futilità con fatti e idee che poi si riveleranno importanti. Il jazz porta nelle sue note una cronologia tutta particolare. E questo aspetto va tenuto presente, perché chiunque voglia accostarsi al jazz deve (se non l’ha già…) costruire l’orecchio su certe melodie, avere la pazienza di continuare a ri-ascoltare pezzi, ri-tornare su certi passaggi, lasciarsi insomma contaminare. Questa musica mi parla anche di (e attraverso la) nostalgia.In conclusione, non posso tacere il fondamentale motivo per cui ascolto jazz: perché mi tocca come nessun’altra musica sa fare, perché mi fa sentire diversa dal momento in cui mi faccio catturare, perché mi fa venir voglia di essere una persona migliore, perché mi trasporta, attraverso balenii di inquietudine e disagio, verso qualcosa che sa di libertà, perché insomma anche il jazz è entrato a far parte di momenti che esprimono una promessa di felicità e al tempo stesso però mi dice, tranquillamente, che anche l’amore può essere un massacro.