Oltre il cancello

With closed eyes


A volte spengo gli occhi dentro per non vedere. Le piccole nostalgie che bruciano nelle distanze, le emozioni e le paure stritolate per non straripare lungo i miei biglietti chilometrici di congedi e costanti ritrovarsi, in un luogo non proprio. Il sangue impazzirebbe a fermarsi su questo tempo indecentemente così denso e bello, così strangolato dalle lancette ben affilate. Io, solare e accomodante, tenace e forte, io che non mollo perchè ci credo, scrivo parole per riempire spazi, per raccontarmi l’attesa, io, che impaurita congelo passioni e pongo il mio essere debole sotto il silenziatore, a volte ha bisogno di dare parola alla solitudine, a questo vivere a metà che è per buona parte della settimana, non come se mi mancasse qualcuno, ma come se proprio fosse una mia mano o un mio piede a mancarmi, una parte di me. Come a volte non ho bisogno di parole, ma di abbracci. Io a volte proverei a starci in questa sensazione di piccolo dolore, e passarlo meglio questo tempo, in qualche modo dandogli voce, spazio, autenticità riconoscendo la fragilità naturale in certe circostanze. E so benissimo che tutto questo io non è altro che un noi. Ma tutto ciò sarebbe un tocco di libertà. Ci vuole molto coraggio a dirsi quanto teniamo alle proprie storie, ai propri sentimenti. Io allora potrei permettermi di più, come ad esempio spingermi sull’altalena senza frenare con la punta dei piedi. In ogni modo. Permettermi di lasciarmi andare.La mia eclissi. Accarezzare il cielo con gli occhi dondolando sull'altalena, come stupore primordiale fra le stelle, come incantesimo unico del lasciarsi andare.