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« LA LUCIDA FOLLIA DI UNA SS!ISLAM MODERATO E TERRORISMO »

DOV'E' LA NOSTRA LIBERTA'?????

Post n°192 pubblicato il 17 Dicembre 2007 da varese.cittanuova
 

Riceviamo dagli Amici della fondazione "Giorgio Perlasca" (www.giorgioperlasca.it) e volentieri
pubblichiamo:

Sul GIORNALE di oggi, 16/12/2007, una lunga
intervista di Stefano Lorenzetto a pag. 1-8 a
Magdi Allam, dal titolo " Io, bersaglio dei terroristi".
E' interessante anche in segno di solidarietà con
Magdi Allam, coraggioso combattente per la libertà
di tutti, indipendentemente dalla fede religiosa, in
un brutto momento. Il CORRIERE della SERA, ove lui scrive, ha ricevuto
una lettera firmata da molte
"personalità", di protesta e di richiesta di censura per le posizioni di
"sostegno acritico" alla politica del
Premier Olmert.  
Ci auguriamo che il CORRIERE della SERA reagisca
con l'indignazione che quella lettera merita (a
seguire dopo l'intervista).

Clicca per ingrandire

Il condannato a morte ha individuato per la sua ora
d'aria quotidiana un percorso, che definire della
salute sarebbe troppo, fra cortile e garage di questa
villetta ben mimetizzata dentro un paesino della
campagna laziale. «Sono 250 metri, misurati.
Faccio quattro giri. Un chilometro. Sedici giri,
4 chilometri». Fuori non può passeggiare. Ha dovuto
dire addio anche alla montagna, al ristorante, al
cinema. Sul cancello c'è la camionetta dei carabinieri
o della polizia, 24 ore su 24, come davanti alle
ambasciate e agli altri obiettivi sensibili.
Dal 7 gennaio proverà a evadere aprendo un sito
Internet che si presenterà con questo epitaffio:
«L'Occidente è in preda all'ideologia del relativismo
cognitivo, etico, culturale e religioso che non distingue
il vero e il falso, il bene e il male, la buona e la
cattiva azione. È arrivata l'ora di assumerci la
responsabilità storica di agire da protagonisti per
liberarci dalle ideologie suicide e omicide».
Sul capo di Magdi Allam pesa da quattro anni una
fatwa emessa dai terroristi di Hamas, acronimo
che in arabo significa «movimento di resistenza
islamico»: gli uomini-bomba degli attentati
contro gli ebrei. Lui non fa nulla per distogliere da
sé i sospetti di apostasia e tradimento. Mi viene
incontro tenendo fra le braccia il figlioletto di
5 mesi, al quale ha voluto imporre il nome del re
d'Israele che per primo posò gli occhi su
Gerusalemme: Davide.In salotto tiene una tela
antica raffigurante un cardinale. Sul marmo del
camino fa bella mostra una Madonna di bronzo
del '700 con la mano destra mozzata, un presagio
di ciò che i fondamentalisti vorrebbero fare al
padrone di casa per impedirgli di scrivere sul Corriere
della Sera e di pubblicare libri dai titoli espliciti:
da Bin Laden in Italia a Kamikaze made in Europe,
fino ai recenti Vincere la paura e Viva Israele.
 

Mi bacia con trasporto sulle guance, secondo
l'usanza araba, e mi presenta la seconda moglie,
Valentina Colombo, sposata civilmente lo scorso
22 aprile («giorno del mio compleanno, ho
festeggiato i 55»), islamista che ha insegnato
in varie università, traduttrice di quattro romanzi
del premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz. Dal
precedente matrimonio erano nati Sofia, 27 anni,
e Alessandro, 23. «Se tu fossi venuto domani,
avresti trovato il presepio e l'albero di Natale»,
quasi si giustifica. Ormai scrive da casa sua («chi
vuol fare il giornalista, deve stare alla larga dai
giornalisti, io vado in redazione a Roma solo per
incontrare qualche persona») e si sorprende a sentire
da dove arrivo: se è diventato quello che è - un
musulmano che ragiona da cristiano - lo deve
anche a un santo, Daniele Comboni, partito dalla
mia città nel 1857 per convertire l'Africa e liberarla
dallo schiavismo. «Io sono nato al Cairo e dall'asilo
alla quinta elementare ho studiato presso le suore
comboniane, le Pie Madri della Nigrizia, e poi, fino
alla maturità scientifica, in collegio dai salesiani,
grazie ai buoni uffici dei Caccia, italiani facoltosi
del ramo tessile che vivevano in Egitto da generazioni.
Mia madre lavorava da loro come bambinaia.
Si chiamava Safeya Ahmed El Sayed. Invece mio padre,
Mahmoud Ahmed, faceva l'autista».

Magdi Allam è cittadino italiano dal 1986 ma vive
nel nostro Paese da 35 anni. «Avevo sete di libertà.
Tu pensa che cosa significa, per un ragazzo di 15 a
nni, passare una giornata nelle mani del Mukhabarat,
il servizio segreto egiziano, sottoposto a un durissimo
interrogatorio con l'accusa d'essere una spia d'Israele».
Che avevi combinato?
«Parlavo al telefono in francese con la mia fidanzatina
del Cairo. Senza sapere che era sì egiziana però ebrea.

Immagina tu nel 1967, con la guerra dei sei giorni...
Ma a me che importava della religione? Ero solo
innamorato».
Come sei diventato giornalista?
«Arrivai a Roma con una borsa di studio del governo
italiano e mi laureai in sociologia alla Sapienza.
Il padre del mio miglior amico era Lamberto Antonelli,
caporedattore dell'agenzia di stampa Montecitorio.
Mi offrì di tradurgli le notizie dai giornali arabi.
Un giorno portai un bollettino ciclostilato al capo
degli esteri di Repubblica, il compianto Giorgio Signorini.
C'era dentro un mio commento sull'occupazione
della moschea alla Mecca. Me lo pubblicò».
E così finisti a Repubblica.
«Devo tutto a Signorini: collaborazioni, iscrizione
all'Ordine, assunzione. E anche le 50.000 lire che
nel 1980 mi anticipò di tasca sua per comprare il
latte in polvere a mia figlia Sofia appena nata, che
altrimenti sarebbe morta di fame. Ero sposato da
poco, l'agenzia mi pagava solo 100.000 lire al mese
e con settimane di ritardo».
Ora sei vicedirettore «ad personam» del Corriere.
Si vergognano a metterti nella gerenza?
«L'avrei auspicato. Ma la qualifica è simile a un titolo
di merito, non ho mansioni esecutive. In Italia il
formalismo prevale sulla sostanza e le regole
sindacali su tutto».
Dei cinque pilastri dell'Islam, quali osservi?
«Mai stato praticante. Mai pregato cinque volte al
giorno col capo rivolto verso la Mecca: solo di rado
in moschea. Mai digiunato durante il Ramadan.
Nasco musulmano in quanto figlio di musulmani,
ma sono
come mio padre, che pregava poco o niente e beveva,
anche troppo. A differenza di mia madre, che era
religiosa al limite del fanatismo e ha voluto essere
sepolta a Medina, la seconda città santa dell'Islam,
accanto alla moschea che custodisce le spoglie di
Maometto. Un trauma profondo, per me».

Perché?
«È un cimitero senza nomi. La dottrina wahabita,
religione ufficiale in Arabia Saudita, è ferocemente
ostile al culto dei morti. Mentre seppellivo mia madre
nella terra, avvolta solo da un lenzuolo, sapevo già che,
senza una lapide, non avrei più avuto un luogo esatto
su cui piangerla. Ho potuto appoggiare nel punto
dell'inumazione solo un sasso, uguale a tanti altri». (Ha
gli occhi lucidi).
Il grande pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta
nella vita, l'hai fatto, lo farai?
«Lo feci con mia madre nel 1991. Ricordo ancora
quei sette giri attorno alla Ka'ba e il bacio della
pietra nera. Una grande ossessione per il rito, la ricerca
spasmodica di un luogo fisico che sostanzi la divinità.
La stessa scena vista a Medina, al mausoleo di
Maometto. I fedeli cercano di sfiorarlo, portandosi
poi la mano alla bocca per introiettare la grazia nel
corpo. I soldati hanno l'ordine di impedirlo, sempre
per il tabù wahabita che circonda morti e reliquie.
Davanti alla grata si combatte ogni giorno una vera
e propria battaglia fra una religione che vorrebbe
riaffermare un Dio irraggiungibile e l'essere umano
che ha invece necessità di toccarlo con mano».
I tuoi nemici hanno messo in giro la voce che sei un
cristiano copto.
«In Egitto, dove i copti rappresentano il 10% della
popolazione, non sono mai stato costretto a declinarmi
come musulmano. Solo qui in Italia mi chiedono se lo
sono. Io penso che la persona debba prevalere sulla
sfera religiosa. Non so nulla dei copti e non ho mai
messo piede in una loro chiesa».
Ti accusano anche d'aver accettato il premio Grinzane
Cavour degli infedeli bevitori, sponsorizzato dalla
Martini e Rossi.
«Sono astemio, ma per motivi di fegato. Due versetti
del Corano parlano del vino: uno lo legittima, uno lo
sconsiglia. In Arabia Saudita, dove l'alcol è bandito, i
profumi occidentali sono venduti, caso unico al mondo,
in bottiglie da mezzo litro: servono ai distillatori
clandestini per ricavarne liquori».
Perché hai scritto Viva Israele?
«Perché da condannato a morte ho riflettuto a
lungo sul valore della vita. E ho scoperto che
all'origine dell'ideologia di odio, violenza e morte c'è
la discriminazione di Israele. Tutti hanno diritto
di esistere tranne lo Stato ebraico e i suoi abitanti.
La sacralità della vita è il fondamento della nostra
umanità. Oggi Israele è il paradigma del diritto
alla vita».

Nel 2006 hai vinto il premio Dan David, istituito
dall'omonima fondazione israeliana: 250.000 dollari.
L'anno dopo hai pubblicato questo libro. Qualcuno potrebbe
scambiarlo per un gesto di riconoscenza.
«Dan David è un imprenditore che vive in Italia, ha
fatto fortuna brevettando le macchinette per le
fototessere. I premiati sono prescelti da una
commissione formata dall'Università di Tel Aviv e dal
ministero della Cultura francese. Ho condiviso il premio
di un milione di dollari con il collega polacco Adam Michnik,
una giornalista cilena di sinistra e un musulmano
indonesiano dissidente e il 10% l'abbiamo devoluto
a studenti bisognosi. Chi mi legge sa che difendo il
diritto all'esistenza di Israele da molto prima del 2006».
Che cosa vuole il terrorismo islamico? La cancellazione
di Israele o la sottomissione dell'Occidente?
«Sicuramente la distruzione di Israele è negli statuti
di Hamas, di Hezbollah, del partito Baath capeggiato dal
presidente siriano Bashar al-Assad e nei piani dell'Iran
di Mahmud Ahmadinejad, in questo momento il
peggiore degli Stati canaglia. Ma poi c'è il terrorismo
dei taglialingue, non dei tagliagole, che vogliono piegare
il mondo al loro arbitrio, impedendo alla gente di
esprimere qualsiasi valutazione critica sull'Islam, come
dimostra ciò che è accaduto dopo il discorso di
Benedetto XVI a Ratisbona. Questo fascismo islamico
in giacca e cravatta è più pericoloso e più subdolo,
parla bene, si fa finanziare dallo Stato, sfrutta le regole
della democrazia per abbatterla».
Perché in ogni articolo te la prendi con l'Ucoii, l'Unione
delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia?
«Sono fermamente convinto che rappresenti la principale
 minaccia. Attraverso la rete di moschee che controlla,
mira a creare uno Stato teocratico islamico all'interno
dello Stato di diritto, con regole, valori, leggi e identità differenziate per i musulmani. Si considera un corpo
distinto dal resto della società».
Dunque ha sbagliato l'allora ministro dell'Interno,
Giuseppe Pisanu, a inserire l'Ucoii nella Consulta islamica
e sbaglia l'attuale, Giuliano Amato, a tenercela.
«È stato un errore madornale. Semmai c'erano tutti i
presupposti per dichiararla illegale. Amato l'ha capito e ha
 sospeso i lavori della Consulta. Non ne poteva più del
presidente dell'Ucoii, Nour Dachan, che stendeva i
documenti come se fosse lui il ministro e poi glieli
presentava col nome di Amato già scritto in calce,
ingiungendogli di ratificarli».

Tu sostieni che il segretario dell'Ucoii, Roberto
Hamza Piccardo, è responsabile della fatwa emessa
contro di te, avendoti bollato come kafir, miscredente, e
murtadd, apostata. Lui ti ha querelato una decina di
volte e mi ha detto che ti atteggi a martire per interesse.
«L'Ucoii è la referente di Hamas in Italia. Il generale
dei carabinieri Mario Mori, comandante del Sisde,
chiamò nell'aprile 2003 il direttore di Repubblica, Ezio
Mauro, chiedendogli di farmi rientrare subito dal
Kuwait: in un'informativa risultava che Hamas mi
aveva individuato come nemico da eliminare
fisicamente per le mie reiterate critiche al terrorismo
palestinese».
Condannato a morte da un venditore ambulante
di Corani, è mai possibile?
«I nostri servizi segreti hanno messo le mani sui piani
per uccidermi. Dev’essere ben chiaro che non è la
persona minacciata a chiedere la scorta, è lo Stato
a importela quando ritiene che tu sia in pericolo.
All'inizio erano due carabinieri. Oggi sono sette,
due dei quali mi seguono persino nei viaggi all'
estero. Primo livello superiore, nella classificazione
del Viminale. Un corteo di tre auto blindate, di cui
farei volentieri a meno. Coloro che mi vogliono morto
sono parecchi e sono qui in Italia».
In un'interpellanza il senatore Luigi Malabarba di
Rifondazione comunista ti ha dipinto come un
mitomane, dal momento che Hamas non ha mai
agito al di fuori dei territori della Palestina
mandataria.
«Non sa di che parla. I due attentatori che nel 2003
si fecero esplodere in un caffè di Tel Aviv erano stati
arruolati da Hamas in Pakistan, come hanno rivelato
loro stessi nel testamento videoregistrato. Il Sisde s'è
mosso sulla base di segnalazioni pervenute dai servizi
segreti egiziani, ben infiltrati a Gaza. Non
dimentichiamo che su 500 terroristi suicidi saltati
in aria dal 2003 all'anno scorso, 150 erano cittadini
britannici, 50 francesi e 8 maghrebini residenti in
Italia».
È vero che ti sei proposto come ministro a
Silvio Berlusconi quand'era premier?
«Nel 2005 dissi a Berlusconi che ero disposto a
un'esperienza politica se avesse creato un ministero
dell'Identità nazionale e dell'Integrazione.
L'idea gli piacque molto. Ma fu dissuaso da Pisanu,
offeso dai rimproveri che gli avevo mosso per aver
inserito l'Ucoii nella Consulta islamica. Adesso lo
ha creato Nicolas Sarkozy in Francia, quel ministero,
con la stessa denominazione.
Dovrei rivendicare il copyright».
Hai paura?
«No. Il loro obiettivo è proprio questo: inocularti
il terrore. Ma finché si resta liberi dentro, si è liberi
davvero».E tua moglie?
«Neppure lei. Condivide in toto la mia missione,
uso questa parola grossa».
Che cosa farete il giorno di Natale?
«Lo passeremo chiusi in casa. Valentina è cattolica,
ma non è praticante, non va a messa. Sulla nascita
di Gesù c'è questa straordinaria comunanza spirituale fra
Cristianesimo e Islam».
Una volta ti sei persino accostato all'eucarestia.
«Sì, al Cairo, avrò avuto 13-14 anni. Agii d'impulso,
pur sapendo che era un atto blasfemo, non essendo io
battezzato. Ho sempre provato attrazione per la
religiosità, anche quando mi sono professato ateo
o agnostico. Oggi sono convinto che l'Occidente
possa riscattarsi solo riscoprendo Dio».
Che cosa t'impedisce di convertirti al Cristianesimo?
«Niente e nessuno. Il giorno che decidessi di
farlo, sarei orgoglioso di annunciarlo».

 
 
 
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