Stanza AnEcOiCa

Post N° 168


STAT ROSA PRISTINA NOMINENOMINA NUDA TENEMUS Sto ovviamente parlando de Il nome della rosa, in cui ciò che il filosofo Eco ha chiamato “semiosi”, ovvero il processo di produzione dei segni e le loro vicissitudini attraverso i codici, è fortemente presente. D’altronde quale migliore dimostrazione della teoria echiana della semiotica come disciplina della menzogna, se non un romanzo, un testo che è sempre premeditata bugia? Per di più un romanzo ambientato in quel Medioevo in cui Eco si era già addentrato a partire dai tempi della sua tesi di laurea. Il nome della Rosa è un giallo teologico e narra l’avventura investigativa di Guglielmo da Baskerville (cognome espressamente riferito a Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle) e il novizio Adso da Melk, per smascherare il responsabile di una serie di omicidi all’interno di un monastero benedettino dell’Italia del nord nell’anno 1327. “Nell’anno del Signore 1327, mentre canuto senesco come il mondo…”Possiamo subito dire che il romanzo non è altro che la prosecuzione letteraria delle teorie sulla “semiosi illimitata” esposte da Eco nelle sue opere accademiche, princìpi contenuti nel già citato Trattato e in Lector in fabula. Per addentrarsi con piacere nella fitta trama del testo, al lettore è richiesta un’altissima dose di “cooperazione interpretativa” e “conoscenza intertestuale”, tenendo sempre ben presente che ogni libro vive e si alimenta grazie al continuo rinvio e dialogo con altri libri. Citando in modo ironico il Wittgenstein de il Tractatus logico-philosophicus che scriveva che “di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, l’autore, dichiarando nelle ultime parole del risvolto di copertina che “ciò di cui non si può teorizzare, si deve narrare”, lancia la sua sfida fin dal titolo, che può così essere interpretato: Il nome della rosa è il nome della rosa e il nome della rosa è una rosa. Ogni segno, linguistico e non, è definibile e interpretabile solo attraverso altri segni in una catena infinita, come quando apriamo il dizionario per cercare il significato di una parola e troviamo altre parole per descriverci il senso del termine indagato, in una serie interminabile di rimandi. Andamento circolare anche nel romanzo che si chiude con la frase: “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”, tradotto con “permane la rosa originale con il nome, abbiamo poi soltanto nudi nomi”. Frase da intendere in senso nominalista, con la parola “rosa” che non avrebbe alcun significato se le rose dei nostri giardini smettessero di esistere. Se la rosa come tale scompare, scompare anche il suo nome. Ecco, allora, il significato del labirinto apertamente ispirato anche da Borges del romanzo: metafora della continua ricerca della verità - secondo l’insegnamento dell’ermeneutica - , nella sempre incombente possibilità di smarrirsi in una catastrofica perdita di coordinate spazio-culturali.  Ti adoro… hai “Il Nome Della Rosa” sul tuo comodino… Io Ti Adoro…