La donna di nebbia

Pellegrinaggio


Nel percorso alla ricerca di un piccolo sonno, il colore del cielo e l'odore dell'aria notturna e quel silenzio ovattato coprivano sussurri ed echi di un'anima inquieta.Era giunta in un luogo desolato. In quei paraggi nessuna creatura selvaggia che potesse ricondurla al pozzo dove avrebbe potuto bere allontanando quell'irosa sete.Era certa, era nel luogo del combattimento. L'interiore debolezza causata dall'acqua amara, imbevibile, aveva evocato un demone terribile, il più subdolo di tutti.Affrontare le unghiute armi del demonio avrebbe richiamato in causa quella fragilità che è il nocciolo duro, la grande angustia, tipica di ogni persona in fuga.Il perfido si manifestò con maliose richieste di rendiconto, desiderio di cose vane, recriminazioni, nostalgie. Impronte, queste, lasciate sulla rena umida del primo mattino..."Tu hai sprecato il tuo tempo: cercavi acqua pulita e ti sei ritrovata in mano un recipiente forato, che ha disperso ciò che bramavi trovare".Bruciavano le sue parole come un rovello infuocato, che si accaniva sulla tenera carne di un cuore provato. Le ripeteva ossessivo ridendo di un riso cattivo, nemico.All'improvviso, a tanta insistenza, le venne uno stemperamento d'umore, una mordente voglia di vincere.Ora... il demone può fare cose straordinarie all'interno dell'anima: radunare un groviglio di serpi, agitarne le acque come un bellicoso mare in tempesta, seccarne la sorgente, ma... non può seminare nella  mente un pensiero che lei non voglia."Sono piccola davanti alla maestosità della natura, ma non per questo insignificante!"  disse, sollevandosi e puntando lo sguardo in quell'Occhio benevolo che le suggeriva la forza. Spostò l'attenzione sulla perfida figura: "Demone... io ti dico che agirò, intraprenderò, sarò sommamente me stessa mulinando cento azioni valorose per respingerti, sfiancarti..."Allora bevve tre vaselli di acqua amara, fissò il sole tra le mani a fessura e poi cominciò a correre sputando la sabbia che le giungeva tra le labbra asciutte."Chi vive vale. Vale, perchè deve rispondere a ciò che lo fà valere".Arrivò col fiatone dinnanzi al demone.Il demone la vide correre sull'erta roccia, come un bolide catapultato da chissà chi fin sull'orlo della sua tana. La fissò col ghigno peggiore. Emise un lugubre ringhio.Lei non abbassò lo sguardo. Sentiva dentro di sé scatenarsi una forza eroica, frutto di Santa Pazzia, e gli rimandò un grido viscerale, cavernoso, talmente potente che il ghigno del demone si stemperò in una smorfia sorpresa.Stettero a lungo così, uno di fronte all'altra, l'uno in ascolto del respiro dell'altra.Quella notte lei si addormentò in giardino, sotto una sventagliata di stelle e capì che era possibile un ritorno all'età antica, quando il lupo si lasciava accarezzare dall'agnello ed il leone si stendeva pacifico accanto alla sua preda.