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« che strano...il libro consigliato »

Terroni

Post n°277 pubblicato il 17 Gennaio 2011 da Vhalyr

Da una recensione di Ciro Lomonte del libro "Terroni" di Pino Aprile su "Il Covile" n° 597

Il numero 597 della rivista può essere scaricato qui: www.ilcovile.it/index.html

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L’intera storia del Risorgimento che si trova nei manuali scolastici è una mistificazione retorica che andrebbe smascherata, L’Italia è stata trasformata in uno Stato unitario con la violenza
e la menzogna, in uno dei peggiori modi possibili, calpestando l’identità delle varie componenti della sua gente. In modo particolare quella delle differenti nazioni meridionali.

I fermenti del Risorgimento componevano una costellazione di aspirazioni molto variegate
(monarchiche e repubblicane, federaliste e unitarie) di cui il governo sabaudo seppe approfittare subdolamente. Si pensi a quante anime esistevano in tal senso nel Mezzogiorno. Quanto amavano per esempio i siciliani il concetto stesso di Regno delle “due” Sicilie? Il Regno di Sicilia era stato creato nel 1130, da Ruggero II. Tre secoli dopo, Alfonso il Magnanimo si definì formalmente Rex Utriusque Siciliae, ma l’isola restò un regno a sé stante. Solo nel 1816, con Ferdinando I di Borbone, la corona siciliana venne soppressa per assorbirla definitivamente in quella di Napoli. Non a caso il 1848 produsse a Palermo un governo
che riuscì per un anno a rendere indipendente l’isola dai possedimenti peninsulari dei Borboni.

Altra questione interessante è l’origine del volgare. Alla corte di Federico II si parlava in greco, latino, arabo ed ebreo, e si scrivevano i documenti in tali lingue. In quel contesto cominciò a poetare la scuola siciliana, il cui merito è quello di aver fatto assurgere, per la prima volta, uno dei volgari del sì, parlati in Italia, al rango di lingua poetica, letteraria per antonomasia. Lo Stupor Mundi suscitò però una reazione talmente violenta al suo periodo di dominio sul Meridione d’Italia da far spazzare via, insieme agli eredi al trono, anche tante conquiste culturali, sue e dei suoi avi normanni. L’elaborazione linguistica si spostò in Toscana, dove le poesie siciliane vennero trascritte secondo la fonetica eptavocalica per adattarle al nuovo corso evolutivo dell’italiano, che avrebbe preso il sopravvento sulla base delle scelte di Dante per creare una tradizione linguistica unitaria in Italia fino a giungere alle forme dei giorni nostri. Ciò spiega perché il siciliano, a differenza del napoletano che è quasi una lingua a sé, sia un ramo germogliato dallo stesso ceppo dialettale dell’italiano, alimentato da influssi dei successivi dominatori e con una grammatica propria.


E questa è solo una minima parte della storia che i Savoia ignorarono, perché a loro serviva soltanto presentarsi come gli araldi della causa unitaria, per impossessarsi dei beni del Regno di Napoli. Mandarono avanti Garibaldi, con la copertura del governo britannico, che aveva interesse a far fuori un concorrente fastidioso sul piano del commercio delle materie prime e del-
l’industria. Vennero corrotti ufficiali dell’esercito e della marina borbonica (in alcuni casi non vennero neppure mantenute le promesse di ricompensa), creando situazioni paradossali: a volte i soldati fucilavano i comandanti che impedivano loro di combattere.

Alla fine della trionfale risalita delle camicie rosse, Vittorio Emanuele II si affrettò a raggiungere Garibaldi a Teano per impedire che il cosiddetto eroe dei due mondi scegliesse una soluzione repubblicana o semplicemente impedisse l’annessione al Regno di Sardegna. Non era solo una questione di contrapposizioni ideologiche. Senza il saccheggio brutale di tutti i patrimoni
civili ed ecclesiastici che subito dopo perpetrarono al Sud, i piemontesi sarebbero andati
verso il tracollo finanziario.

I meridionali si accorsero subito che non erano stati affatto liberati per unirsi agli altri italiani. Quella che si presentò ai loro occhi era l’ennesima conquista straniera, ad opera di nuovi dominatori più esosi e crudeli dei precedenti, i quali stavano smantellando un ricchissimo sistema economico che garantiva a tutti di vivere.
Pino Aprile fa i conti in tasca minuziosamente al Regno di Napoli. A quell’epoca nessuno emigrava dal Sud. Dal Nord sì. Iniziò così la resistenza armata, condotta da sottufficiali e soldati dell’esercito borbonico, divisi in gruppi raramente collegati fra di loro, e da alcuni malviventi che trovarono una ragione ideale per aggredire l’invasore. Tutti furono associati nella definizione
di “briganti”, funzionale alla repressione spietata che venne scatenata.

L'esercito savoiardo, dimostrò ben presto una ferocia inusitata. Si trattò di un genocidio. La popolazione di interi paesi venne sterminata, con processi sommari, per la sola colpa di avere ospitato qualche “brigante”. Alle donne venne riservata la sorte più infamante, ma non vennero risparmiati neppure vecchi e bambini. Agli ufficiali piemontesi che guidarono in azioni tanto “gloriose” i propri bersaglieri sono dedicate vie e piazze d’Italia. Quelle stesse strade che nessuno si sognerebbe di intitolare a uomini come Kappler, reo di avere fucilato dieci civili e militari italiani per ogni tedesco ucciso nell’attacco di via Rasella a Roma. In proporzione furono ammazzati molti più civili per ogni soldato piemontese morto nelle “brillanti” operazioni dell’unificazione italiana.

È impossibile sapere a quanti meridionali venne tolta la vita in questo modo, ma le stime vanno da alcune centinaia di migliaia a due milioni di morti.

Una strage di fronte alla quale anche Hitler o Stalin diventano dei pivellini, anche perché non ebbero eguale perfidia nel cancellarne le tracce. Uno dei metodi era far sparire i cadaveri
nella calce viva, in carceri tuttora visitabili come la fortezza di Fenestrelle, in Piemonte.


L’eccidio prevedeva anche le deportazioni di massa. Venne chiesta a governi stranieri, per es. del Sud America, la concessione di territori in cui confinare gruppi numerosi di meridionali. Di fronte alla preoccupazione delle autorità locali, che non sapevano come accogliere queste moltitudini, si rispondeva che sarebbe stato per poco tempo, perché l’obiettivo era farle morire di stenti. Quando persino gli inglesi protestarono, inorriditi da tale efferatezza, il governo italiano
desistette dal suo intento.

Ma continuò nei decenni successivi ad affamare il meridione, con il depauperamento delle risorse del territorio e con la leva obbligatoria. Obbligatoria nel senso che chi si rifiutava, a volte capendo soltanto di ciò che gli veniva chiesto in un’altra lingua – che la famiglia avrebbe perso le braccia che la mantenevano, veniva fucilato sul posto. E coloro che si arruolavano venivano impiegati in trincea come carne da macello, mandando avanti i soldati del Sud nelle azioni più rischiose.

Naturalmente le condizioni di miseria in cui vennero gettati i meridionali provocarono un’emigrazione di massa, anch’essa difficile da stimare. Dal 1860 ad oggi nel suo insieme, raggiunse il picco di venti milioni. Al di là dei numeri raccapriccianti, resta il fatto inoppugnabile
che partirono gli uomini più dotati. Sono interessanti a tal proposito le considerazioni dell’autore su un dato sociologico grave: al Sud sono venute a mancare tre generazioni di padri, che avrebbero avuto un ruolo insostituibile – diverso da quello materno – nell’educazione dei figli.



La psicosociologia potrebbe aiutare a comprendere come persone normali si siano potute trasformare nel Novecento negli aguzzini spietati dei lager nazisti e dei gulag comunisti. Ma può servire ancor di più a capire la crudeltà dei piemontesi nei confronti dei meridionali e la sottomissione di questi ultimi una volta costretti a forza nel ruolo dei carcerati del nuovo Regno.

Il maggiore sopruso inflitto dai settentrionali alla gente del Sud fu quello di inculcare in essi la coscienza di essere inferiori. Da allora meridionale – terrone – è diventato sinonimo di minorità genetica.

L’operazione è stata condotta con pertinacia e strumenti “scientifici”, come il darwinismo sociale di Cesare Lombroso, i cui studi sulla fisionomia dei criminali dimostrerebbero che la delinquenza sia una malattia endemica al Sud.

Del resto ancora oggi fa più notizia un falso invalido campano, che pesa in modo ingiusto ma esiguo sull’erario, rispetto alla vistosa truffa criminale di Callisto Tanzi e delle banche del Nord ai danni di tanti risparmiatori, molti di essi pensionati.

Prendiamo il caso della Cassa per il Mezzogiorno, spacciata come intervento straordinario, mentre con essa si destinavano alle opere necessarie al Sud le briciole di ciò che veniva investito al Nord dallo Stato. Davvero la mancanza di infrastrutture del Meridione è colpa dei
suoi politici e dei suoi mafiosi?



Non è sufficiente chiedere al Settentrione d’Italia risarcimenti economici e morali, né lamentarsi del trattamento subito fino ad oggi, anche dagli ultimi governi repubblicani. È necessario pretendere che vengano riconosciuti i propri talenti e i propri diritti e non permettere più a nessuno di conculcarli.

 
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