ViolaMente

dARK GADGETS


Luglio 2007, il 21 c'è scritto sopra all'invito per inaugurare il nuovo appartamento di una coppia di amici con una festa su uno dei tanti terrazzi che si affacciano su Roma. Con quella festa, è ormai chiaro, quei due non hanno intenzione di farci visitare solo il loro minuscolo nido tinteggiato di fresco, ma vogliono farci varcare, con tutti e due i piedi, la porta di questa nuova dimensione di coppia ufficialmente conclamata, perché, finalmente, possiamo vederla dal di dentro, dopo anni - e chissà quanti - di torbidi incontri clandestini. Nonostante il mio status di giovane donna sola, penso che, tutto sommato, quella è pur una buona ragione (in fin dei conti i padroni di casa ci insegnano che c'è speranza per tutti) per prendere un treno ed andarli a festeggiare degnamente, bevendoci su tutti, e dico tutti, i bicchieri necessari per sentirmi sinceramente felice per loro.Non è decisamente il caso, però, di presentarsi senza accompagnatore al cospetto di un trionfale banchetto amoroso….ehhh no, sola no, enne oooo, e, non disponendo neanche di un surrogato di fidanzato, chiedo ad un’amica di venire, e, chiaramente, la scelgo zitella, cioè, sarebbe più garbato dire, anche lei annoverata nella categoria temporanea di giovane donna sola.E' così che ci ritroviamo nell'estivo mezzogiorno romano giusto in tempo per raggiungerne una terza, di zitella, in un’osteria di San Lorenzo. Un cacio e pepe con qualche bicchiere di vino rosso, di quelli sinceri, sì, ma acidi da scioglierti lo stomaco, per raccontarci meglio il disagio di aver preferito un mestiere che non consente di sentirti a casa in nessun luogo, della necessità di mettere radici laddove si possa conciliare la presunzione di considerarti utile per una parte di mondo sfigata, che non è il grasso occidente, evitando allo stesso tempo di sentirti uno sradicato senza affetti ad almeno 4000 km di distanza. Per raccontarci che, per lei, Roma dovrebbe incarnare questo compromesso e il colloquio, quello subito prima del piatto di spaghetti, il primo passo. E poi qualche chiacchera, di quelle lievi, sui programmi per l'estate e per la serata. Noi si è venute per la festa in terrazza. Tutte coppie? Boh, forse. Va bhè, ci facciamo due passi a trastevere e poi ci salutiamo. Si va in bus e alla fermata scopro che proprio a pochi passi c’è il Verano, il cimitero monumentale della capitale. A indicarcelo è un tipo che di cimiteri, a quanto pare, la sa lunga: il proprietario delle onoranze funebri lì attaccato, e che, in visibile mancanza di lavoro, si offre di farci compagnia nell’attesa. Mi fa accendere una sigaretta appresso all’altra e, scanzonato e cinico come solo il titolare di un negozio come quello può essere, inizia il suo sproloquio sulla morte, e sulle tombe, e sul Père Lachaise, che, a sentir lui, è sopravvalutato e, naturalmente, sulla sua Roma che si manifesta in tutta la sua grandiosità anche attraverso le lapidi, un altro pezzo di museo senza soffitto. E', tuttavia, nel preciso istante in cui si accorge che sulle tre turiste (un pochetto aspre, sospetterà), la sua somma culturale sepolcrale non è che poi susciti tutta quella gran curiosità, che tira fuori l’asse dalla manica. “Avrei un gadget simpatico per voi, ma… non so… magari tre bolognesi non hanno abbastanza spirito per accettarlo”Ed eccole lì, tutte e tre, ferite nell'orgoglio padano che, dopo essere state tacciate di non essere abbastanza brillanti e sarcastiche da un becchino, ci ritroviamo ad accettare lo scomodo omaggio: le tre bare. Per la precisione trattasi di un portachiavi, tipo quelli che ti regalano i concessionari quando compri una macchina nuova, solo che questo ha, oltre al classico anello per le chiavi, la sua bella baretta di legno chiaro, la sua croce color oro incollata sopra,  ed, infine, l’ovale con sopra scritto, a chiare lettere, il nome dell’esercizio commerciale, con tanto di indirizzo e numero di telefono, così, giusto nel caso in cui sorgesse  l'improvviso bisogno di un beccamorto.“Che bel regalo” si spinge addirittura a ringraziare la nostra cooperante “ci appenderò le chiavi della mia prima casa qui a Roma”.“Che bel regalo del cazzo” penso subito io, e continuo a pensarlo, e ripensarlo, in autobus, passeggiando a Trastevere, sul terrazzo tra un Mojito e qualcos'altro di alcolico, e anche una volta tornata a Bologna.Inutile nasconderlo, comincio subito, dalla sera stessa, a trarre informazioni presso coloro che, in questioni di superstizione, sembrano più ferrati di me e tento di individuare un modo pulito per liberarmene senza ripercussioni. Lo so, lo so a cosa state pensando, e lo ammetto pubblicamente: non è tipico di una mente illuminata  considerare un semplice oggetto con tanta irrequietudine, ma dal preciso momento in cui quella bara è diventata irrimediabilmente mia, non riesco più a darmi pace. Solo che il coraggio di buttarla via non lo trovo, probabilmente a causa dell'insano timore di essere poi colpita dalla 'maledizione della baretta'. Una specie di punizione per aver abbandonato chissà dove l’oggetto che, e non si può negarlo, simboleggia in qualche modo quell’ultima dimora che, prima o poi, accoglierà il mio corpo. Per cui, vigliaccamente, provo a rifilarla a tutti i personaggi più vicino al dark e al gothic che conosco, pensando che, in fin dei conti, il gadget potrebbe anche intonarsi al loro stile. Niente da fare, mi vergogno ripensando ad uno di questi che mi risponde che no, non è il caso, dato che nell’ultimo anno ha già subito tre lutti in famiglia. Deglutisco e mi rendo che, nonostante nessuno si dica superstizioso, il portachiavi (venduto con tutti gli aggettivi  immaginabili: divertente, originale, dark, utile, ti_prego_liberamene), viene puntualmente rifiutato e, rassegnata, valuto seriamente l'ipotesi di arrendermi, considerando razionalmente che la vita, tutto sommato, trascorre sempre la solita con o senza baretta. E l'autoconvinzione sembra addirittura funzionare, almeno fino al momento in cui non ci ritroviamo ancora noi tre, insieme, e questa volta in viaggio: e sono auto distrutte - la mia -, dita rotte - le mie -, eventi, uomini, lavori che, uno dopo l'altro, trasversalmente sfumano a tutte quante.Ed è qui, adesso, ferma ad aspettare che le mie fratture si ricalcifichino,  mentre comincio a mostrare i primi segni di squilibrio mettendomi a parlare con la baretta, che leggo la soluzione che stavo cercando proprio sul messaggio del gadget.                                               Bologna, settembre 2007Buongiorno,con questa lettera Le chiedo uno sforzo di memoria per ricordarsi di tre ragazze di Bologna che, in un assolato pomeriggio dello scorso luglio, si sono fermate ad aspettare l'autobus proprio davanti alle sue imprese funebri. Fu in quella occasione che ci intrattenemmo parlando e fumandoci qualche sigaretta insieme, e che lei ci regalò, con spirito ed ironia, tre portachiavi a forma di bara. Due dei quali sono, ahimè, a restituirle.Mi creda se le dico che non sono solita e tanto maleducata da restituire un omaggio e non vorrei parerle troppo ingrata, ma piuttosto che abbandonare questa baretta ad un destino ignoto, preferisco recapitarla al suo originario proprietario e ideatore.Sono certa che Lei ce le ha donate senza nessun augurio che il suo nominativo ci servisse veramente, ma io adesso non posso che restituirgliele, con un sorriso sulle labbra perché, oltre a qualche trascurabile contrattempo, il suo indirizzo mi serve solamente per recapitare i due gadgets al mittente.Come può dedurre da se, una di noi ha deciso di tenere il proprio portachiavi, per cui si consoli pensando che il suo gesto è stato, almeno in parte, apprezzato.Nel salutarla cordialmente le auguro con sincerità che gli affari le procedano per il meglio, perché deduco dalle strategie di marketing virale che ha dovuto escogitare che anche nel suo 'campo' la concorrenza non manchi.[per onore di cronaca, perché più vero di altri è questo racconto, la cooperante coopera nella capitale e abita in una bella casa di Trastevere con un portachiavi insignificante, io scrivo amenità su un blog, e la più impavida delle tre tiene nascosta in una mensola della cucina, irraggiungibile se non si sale sopra ad una sedia, la terza b.                                              Con il veto assoluto di portarla in vacanza con me.]