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Post n°12 pubblicato il 07 Novembre 2008 da arnolimit
Visto che presto il mare ci sovrasterà, forse avere questa sarà molto utile in futuro: Lunghezza fuoritutto: 100 metri. Velocità: 100 nodi. Questi i due parametri fondamentali richiesti per un nuovo “gigayacht”. Sì, stiamo parlando di una barca da diporto. E’, secondo gli esperti, la nuova richiesta di quel mercato del lusso che non conosce confini nella sua esigenza di avere sempre e solo un prodotto “unico”, qualcosa che effettivamente possa permettere di dire: “Questo ce l’ho solo io”. Poco conta se l’oggetto costa 100 o 200 milioni di dollari: il vero valore è la rarità, come per un quadro di van Gogh o di Giotto. E’ stato calcolato che, verso la fine del secolo scorso, le persone al mondo in grado di permettersi un super yacht non fossero più di ottanta. Ora pare siano circa seimila. L’argomento “100 metri-100 nodi” affascina per i risvolti tecnici che comporta. Per un progettista nautico è un lavoro straordinario anche se, si sa, in assoluto le barche più difficili da disegnare sono quelle piccole e piccolissime. Va da sé che c’è posto per piscine, spa, sale da ballo, camere da letto, bagni con idromassaggi allo champagne, living, sale conferenze, cucine e quant’altro (sala operatoria compresa) uno sceicco o un ricco uomo d’affari possa aver voglia/bisogno di avere. Ma questi sono problemi che saranno risolti da “Design Studio Levi ltd”, una società, con sede a Londra, coordinata dai fratelli Martin e “Ki” Levi, che si avvale delle capacità progettuali tecniche di quel mago degli scafi veloci (e non solo) che è loro padre, Renato “Sonny” Levi, e di un gruppo altamente professionale che si occupa anche dell’interior design di imbarcazioni (e altro) molto elitarie. Cento nodi significa 182 chilometri orari. In acqua. E’, grossomodo, come andare ben oltre trecento chilometri all’ora a terra. Ci sono, oggi, molte barche da competizione che filano di più, ma sono scafi da 12 / 15 metri fuoritutto che hanno a bordo solo motori, serbatoi e equipaggio (max tre persone). Qui stiamo parlando di una imbarcazione di 36 (diconsi trentasei) metri di larghezza, a tre piani, con più di tremila metri quadrati di superficie interna (fateci mente locale: sono quindici appartamenti da 200 mq ciascuno). Mica la stessa roba di uno schizzetto da 40’ o 50’. Nel suo libro “Milestones in my designs”, il progettista scrive: “Alla fine del 1968, i fratelli Mario e Sergio Sonnino (titolari, allora, del cantiere Italcraft, ndr) mi chiesero di parlare per studiare un progetto radicalmente nuovo: Sergio disse che questo disegno doveva essere il “mio canto del cigno”. Lo trovai buffo: in fondo avevo appena 44 anni… Le richieste dei Sonnino furono poche ma impegnative: un veloce cabinato da circa 13 metri ft, con due cabine, cucina, bagno, pozzetto, grande prendisole, e motorizzazione data da due diesel Cummins da 350 cv ciascuno. Da allora sono passati quasi quaranta anni e oggi la sfida si è raddoppiata: da 50 a 100 nodi, con uno scafo da 100 metri e un peso di 2mila tonnellate a pieno carico (“Drago” ne pesava appena 6!). “Per quanto concerne la motorizzazione, abbiamo bisogno di circa 120mila cavalli e le trasmissioni dovranno essere ovviamente del tipo con eliche di superficie”, ha continuato “Sonny” Levi e ha aggiunto: “Nella versione standard, che ho chiamato “Levi Ram Wing 100”, ho previsto serbatoi per circa 2mila miglia di autonomia.” Nel 1986, Richard Branson (il proprietario del Gruppo Virgin) varò, su progetto di Renato “Sonny” Levi, il suo “Virgin Atlantic Challenger II°”, un motoryacht da 22 metri ft che, alla fine di giugno di quello stesso anno, sotto la spinta di due diesel MTU da 2.000 cv ciascuno e di trasmissioni con eliche di superficie, impiegò due ore in meno della grande nave americana. Ma gli yankee dissero che il “Nastro azzurro” era finalizzato ai grandi transatlantici e non alle “toy boats” e perciò non lo riconobbero agli inglesi. Rimase, comunque, storico il record che venne poi superato dall’americano Tom Gentry e che ora appartiene ad un catamarano con bandiera danese: si chiama “Cat-Link V” e, nel luglio del 1998, ha coperto la distanza in due giorni, 20 ore e 9 minuti, alla media di 41,284 nodi. Questo scafo, lungo 91,3 m ft, era spinto da quattro diesel da 34mila cv che azionavano degli idrogetti, e poteva trasportare un carico utile di 500 tonnellate (800 passeggeri oltre a 200 automobili). C’è stato anche un record della navetta veloce italiana “Destriero”, uno scafo da 67 metri (13 di larghezza) che, nel 1992, sotto la spinta di gas turbine per circa 60mila cavalli azionanti tre idrogetti, impiegò due giorni, 10 ore e 34 minuti, tenendo un media di 53,09 nodi: stranamente nei report sia del trofeo “Nastro Azzurro” che dell’Hales Trophy questa prestazione è quasi totalmente ignorata. Sia come sia, il “Levi Ram Wing 100”, è in grado di coprire le circa tremila miglia dell’Atlantico in 30 ore, cioè in appena un giorno e sei ore. “Naturalmente, per un impiego così specifico come un record in Atlantico -sostiene Martin Levi- bisognerebbe aumentare un po’ la capienza dei serbatoi. Ma non è un problema: a bordo, non manca di certo lo spazio dove metterli…”. Record a parte, è interessante notare come “Levi R.W. 100” abbia, alla velocità (diciamo) di “media-crociera” di 50 nodi ben 2.800 miglia di autonomia (e di oltre 4mila se dovesse navigare in dislocamento a circa 15 nodi). In altri termini, questa imbarcazione può, con i serbatoi di serie, traversare tranquillamente l’Atlantico (a 40 nodi) in poco più di tre giorni. Oppure, con la semplice aggiunta di 400 tonnellate di nafta, impiegare appena 40 ore filando alla velocità media di 75 nodi… Mica male, no? E, infatti, a prestazioni di questo genere sono fortemente interessate anche le forze militari di varie nazioni: a molti Ammiragliati “intriga” l’idea di disporre di un mezzo navale capace di andare dall’Europa all’America (o viceversa) in una manciata di ore. A proposito della carena scelta, “Sonny” Levi ricorda quanto aveva scritto, anni or sono, nel suo citato libro “Milestones in my designs”, nel capitolo dal significativo titolo “Il futuro”: “Benché “Arcidiavolo” (inteso come scafo da corsa offshore, ndr) abbia avuto molte noie per motivi meccanici relativi al motore, ciononostante la sua configurazione ha dimostrato di essere assolutamente valida. Uno scafo del genere potrebbe essere adatto, in modo ottimale, per far raggiungere i 100 nodi ad una barca molto più grande e, anche se la scala della velocità è più bassa che in “Arcidiavolo”, sono certo che la portanza generata dall’effetto “ram” nel tunnel a Y, compenserebbe ampiamente il peso aggiunto in fase di costruzione…”. Per quanto riguarda gli spazi interni, i volumi sono tali che, nella versione da diporto, possono ospitare indifferentemente il più grande harem del mondo (a qualcuno interessa?) oppure un nutrito convegno di importanti uomini d’affari con tutto il loro seguito di assistenti, segretari e traduttori simultanei: “Va da sé che questo spazio sarà utilizzato e arredato in stretta funzione delle esigenze dell’armatore -dice “Ki” Levi- ma è importante sottolineare come, per la prima volta, la nostra organizzazione sia in grado di sviluppare questa parte del lavoro senza dover ricorrere a “interior designers” di altri studi. Nella storia dei progetti di “Sonny” non sono mancate valide collaborazioni con “designers” come Pininfarina (per barche commissionate dall’avvocato Gianni Agnelli e dal principe Aga Khan) e come Bannenberg (per il “G. Whiz” di Bennet S. Le Bow) ma abbiamo pensato che è più interessante, anche per i nostri clienti, avere un unico interlocutore. Inoltre, in questo modo, le esigenze di interfacciare continuamente la tecnica con l’estetica risultano molto semplificate e immediate.” Dal cumulo di disegni tecnici sbuca una serie di progetti per lunghezze fuoritutto minori: “Ci siamo resi conto -spiega Martin Levi- che non sono molti i cantieri dove si possa costruire una imbarcazione di queste dimensioni: è, infatti, indispensabile che i capannoni abbiano un portellone di fuori uscita di quasi 40 metri…”. E ride come chi sa di aver detto una piccola bugia per coprire una realtà diversa. Prosegue, infatti: “ Scherzavo… In realtà mentre eravamo in fase di studio ci siamo appassionati all’idea di valutare il progetto anche su dimensioni più “tradizionali”. Su una lunghezza di 82,5 metri ft, per esempio, abbiamo una larghezza di appena 29,7 metri… e la volumetria interna si riduce a circa 2mila metri quadrati (cioè dieci mega appartamenti classici). Quanto alla potenza, bastano 25mila cavalli per arrivare ai 50 nodi e con 71mila si superano i 90 nodi. Molto interessante è lo sviluppo che prevede un lunghezza ft di 40 metri: ne esce uno stupendo superyacht di grande rappresentanza e prestigio, ideale per il Mediterraneo”. E il materiale di costruzione? “Metallo”, rispondono alla Design Studio Levi ltd e “Ki” Levi aggiunge: “Per questo abbiamo disegnato delle finestre oblunghe e verticali. Per poterle inserire senza problemi fra le ordinate dello scafo. A nostro avviso, dovrebbe sempre esser questa la finalità di un industrial designer: associare le esigenze tecniche con quelle estetiche senza che nessuna delle due prevarichi sull’altra”. Che altro? “Solo un ringraziamento sincero alla “Media Digitali” che, dalla nostra documentazione tecnica, ha saputo ricavare le belle illustrazioni (rendering) che mettiamo a disposizione della stampa”, concludono alla società londinese. E’ vero: ha fatto un ottimo lavoro, no? Ma come avrebbe potuto non appassionarsi a un giocattolone del genere, una “barca” destinata a segnare l’evoluzione e il futuro della specie. Per altre informazioni: info@designstudiolevi.com Dati Tecnici
Di seguito, ulteriori immagini, selezionare per ingrandire. Articolo e immagini pubblicate sul fascicolo di Gennaio 2008 del mensile Barche e riprodotto per g.c. dell’autore |
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